Al Teatro Alighieri Il turco in Italia di Rossini Venerdì 5 e domenica 7 febbraio
Il turco in Italia, dramma buffo in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Felice Romani, ritorna sul palcoscenico del Teatro Alighieri – a quasi quarant’anni dall’ultima rappresentazione – venerdì 5 (ore 20.30) e domenica 7 febbraio (ore 15.30). La regia di questo allestimento è di Federico Bertolani, le scene sono di Giulia Zucchetta, i costumi di Federica Miani e le luci di Claudio Schmidt. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini è diretta da Giovanni Di Stefano, mentre il Coro del Teatro Municipale di Piacenza è istruito da Corrado Casati.
Nel ruolo di Selim, l’illustre principe turco che sbarca in Italia, l’esperto basso Simone Alberghini. Il baritono Marco Filippo Romano sarà Don Geronio, marito tenuto in poco conto da Donna Fiorilla (affascinata dal turco) a sua volta interpretata dal giovane soprano spagnolo Leonor Bonilla. Nei panni di Don Narciso il tenore Body Owen mentreProsdocimo, probabilmente il personaggio più innovativo in tutto il teatro di Rossini, sarà interpretato dal baritono Andrea Vincenzo Bonsignore. Completano il cast il mezzosoprano Loriana Castellano nel ruolo di Zaida e il tenore Manuel Amati in quello di Albazar.
Venezia, 22 maggio 1813: L’italiana in Algeri; Milano, 14 agosto 1814: Il turco in Italia. Solo un anno separa questi due titoli rossiniani che seguono la moda delle “turcherie” di inizio Ottocento: nel primo un’italiana naufraga ad Algeri, nel secondo un turco giunge a Napoli per conoscere gli usi europei. Come succederà anche a Roma nel 1816 per Il Barbiere Siviglia, gli spettatori della prima del Turco alla Scala furono molto tiepidi, ma l’opera conquistò rapidamente in altre città d’Europa tutto il successo che meritava, rimanendo per molti decenni nei gusti del pubblico dell’Ottocento. La sua riscoperta, il suo ritorno in repertorio, risale al 1950, quando al Teatro Eliseo di Roma l’opera viene diretta da Gianandrea Gavazzeni, scene e costumi di Mino Maccari, cantano Maria Callas, Mariano Stabile e Sesto Bruscantini. Così scriveva Gianandrea Gavazzeni sul suo Diario: «Dramma buffo questo Turco in Italia che manifesta una cultura matura, una coscienza musicale e drammatica largamente europea. Vi si ascolti, infatti, qual voce prenda il particolare mozartismo di Rossini, com’esso assuma forma di passione e mescoli, con la superiore saggezza del genio creatore, elementi desunti da tradizioni operistiche diverse (Mozart e i Napoletani, ad esempio). La stessa posizione, di fronte a Mozart, che Stendhal avrà di fronte a Rossini. E insieme l’opera brulica di anticipazioni su ciò che verrà dopo, in Rossini ancora, e in Donizetti». Un’opera di grande raffinatezza, meno frequentata di altre, ma dalla drammaturgia modernissima, quasi pirandelliana.
Il regista, Federico Bertolani, è rimasto colpito dalla “napoletanità da cartolina” dell’opera, che a suo avviso può essere ricondotta al teatro di Eduardo De Filippo, a canzoni napoletane e a film quali L’oro di Napoli e Il turco napoletano: “i personaggi del Turco in Italia si confondono facilmente con i protagonisti delle canzoni napoletane che fino agli anni Settanta del Novecento hanno ben descritto che tipo di umanità si poteva incontrare per Toledo o alle pendici del Vesuvio”. Più in particolare: “Donna Fiorilla così simile alla Donna riccia o alla Malafemmena, Don Geronio dal canto suo sembra ricalcare l’inettitudine di Ciccio Formaggio o il marito disperato in cerca di Zazà o di Titina; facile poi ritrovare Selim nel Sarracino di Carosone ed ancora Don Narciso nel protagonista di ’O quaglione e infine come meglio descrivere la bellezza naturale e genuina della giovane Zaida se non con le parole di Come faccette mammete?”. Tuttavia, nell’allestimento, l’ambientazione napoletana mira a suggerire una “lettura registica fondata sulla forza dell’umanità dei suoi personaggi” ritenuti rappresentanti di una possibile “italianità”. La città partenopea, pertanto, è evocata non con intento macchiettistico, ma attraverso l’uso di mappe: “Napoli, così presente nel libretto e nella musica, diviene allora uno spazio suggerito più che descritto, un contenitore vitale e mutevole. […] Il continuo inseguirsi, perdersi e ritrovarsi dei personaggi si traduce sulla scena in una grande mappa di Napoli, che si scompone e ricompone con i movimenti dei pannelli scorrevoli sui quali è disegnata”. La Napoli immaginata dal regista è collocata intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso; la evoca una scenografia ideata da Giulia Zucchetta (e realizzata con la collaborazione della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia) che crea un contesto minimalista e moderno dove agiscono tutti i personaggi, anch’essi con costumi da primo dopoguerra italiano ideati da Federica Miani.
La vicenda è ambientata a Napoli, dove l’arrivo del turco Selim scompiglia i rapporti tra Fiorilla, suo marito don Geronio e l’amante di lei, don Narciso, scatenando inoltre la gelosia della zingara Zaida, amante di Albazar, ma già promessa sposa di Selim. Ghiotta situazione per Prosdocimo, un poeta che passava di lì e che ha “da fare un dramma buffo” ma non trova l’argomento: eccolo accontentato. Proprio questo personaggio rivela l’originale struttura drammaturgica dell’opera, tanto da far pensare – con un secolo d’anticipo – alle invenzioni di Pirandello. Nel secondo atto si raggiunge una delle più esilaranti vette del teatro d’opera, sapientemente sottolineata dal brio della partitura rossiniana: a causa di vari travestimenti, compariranno in scena due Selim e due Fiorille, un gioco di metateatro che alla fine si risolverà nel migliore dei modi: Fiorilla si ricongiungerà al marito e Selim tornerà in Turchia con Zaida. Un piccolo epilogo chiude l’opera: Prosdocimo è lieto della conclusione del suo dramma e si augura che lo sia anche il pubblico.
Martedì 2 febbraio alle 17.30 nella Sala Corelli del Teatro Alighieri (ingresso libero) l’appuntamento ‘Prima dell’opera’, organizzato in collaborazione con la Società Dante Alighieri di Ravenna sarà a cura del critico musicale di Marco Beghelli. Docente di Filologia Musicale nell’Università di Bologna – dove ha fondato l’Archivio del Canto – Beghelli è autore di edizioni critiche di partiture operistiche (Rossini, Schubert, Vivaldi, ecc.) e di pubblicazioni sull’opera. Fra i libri più recenti: Ermafrodite armoniche: il contralto nell”Ottocento (con Raffaele Talmelli) per l’Editore Zecchini.
Info e prevendite: tel. 0544 249244 – www.teatroalighieri.org
Biglietti da 14 a 45 euro. Speciale giovani: under 14 5 euro; 14/18 anni e studenti universitari 50% tariffe ridotte.