BERGAMO: la Cenerentola, 9 dicembre 2017

BERGAMO: la Cenerentola, 9 dicembre 2017

  • 15/12/2017

dramma giocoso di Jacopo Ferretti

musica di
Gioachino Rossini
prima rappresentazione
Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817
edizione critica di
Alberto Zedda – © Fondazione Rossini / Ricordi

direttore Yi-Chen Lin

regia Arturo Cirillo

Personaggi e Interpreti:

  • Don Ramiro Ruzil Gatin
  • Dandini Clemente Antonio Daliotti
  • Don Magnifico Vincenzo Taormina
  • Clorinda Eleonora Bellocci
  • Tisbe Elena Serra
  • Angelina Cecilia Molinari
  • Alidoro Alessandro Spinascene Dario Gessati
    costumi Vanessa Sannino
    luci Daniele Naldi
    assistente alla regia Antonio Ligas
    assistente alle scene Emanuele Sinisi
    assistente ai costumi Sylvie Barras
    orchestra I Pomeriggi Musicali
    coro Coro di OperaLombardia
    maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
    nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia

a cura di Paolo T. Fiume


Nuova prova al Sociale di Bergamo per l’allestimento di OperaLombardia della Cenerentola di Gioachino Rossini. Il pubblico tiepido e un po’ intemperante del sabato pomeriggio ha potuto godere di una recita di buon livello, e dispiace che in una circostanza favorevole per orario e fama del titolo la platea avesse comunque parecchie poltrone libere. Certamente il Teatro della Città Alta non è né dei più pratici, né dei più spaziosi, ma il “pellegrinaggio” per raggiungerlo attraverso i lastrichi tortuosi (rigorosamente a piedi, solitamente anche con una certa premura) ha un suo indubbio fascino particolare che varrebbe la pena di provare, almeno una volta.

Lo spettacolo di Arturo Cirillo è il vero punto forte della produzione. Un solo spazio di superficie trapezoidale è plasmato e sapientemente sfruttato per creare tutti gli ambienti in modo efficace e convincente. L’ambientazione è fuori dal tempo, e attraversa scenari dal fiabesco all’industriale, passando per il rococò. Alcune trovate per quanto convenzionali sono piacevoli e ben realizzate, come il paravento che divide i protagonisti dei due duetti chiave dell’opera (Un soave non so che di Don Ramiro e Angelina, Un segreto d’importanza di Dandini e Don Magnifico). Altre sono del tutto originali e riuscitissime, tra cui il ritorno costante e simbolico della carrozza, sempre trasformata e presentata in modo differente, inclusa la versione di Alidoro che porta Cenerentola, tappezzata di bianchissime luci a led, quasi a rappresentarne visibilmente la purezza ed il nitore. Le scene di Dario Gessati sono studiate, eleganti, molto ben realizzate. I costumi, curati da Vanessa Sannino, hanno punti di ordinarietà (Don Ramiro e Dandini) e di eccellenza (Clorinda, Tisbe e Don Magnifico). Se la dignità regale (vera o mascherata) viene rappresentata con una sobria – ma già vista – eleganza militareggiante, l’indegnità grottesca del barone arrivista e pataccaro e delle sue figlie misto di insolenza, di capriccio e vanità è rivestita di un abbigliamento efficacissimo. Inappuntabili le luci di Daniele Naldi, freschissime e sempre in intelligente dialogo con la regia. Forse giusto un po’ didascaliche in alcuni momenti (lo switch sul rosa nel duetto d’amore, per esempio), ma complessivamente di livello superiore e viste raramente anche in spettacoli di apertura dei più grandi teatri. L’unico appunto alla regia è di tipo coreografico: i movimenti à la Ponnelle di alcuni concertati sono ormai un po’ fiacchi, e una buona idea non resta necessariamente tale per trent’anni. Basta tergicristalli viventi nei finali rossiniani del primo atto. Ci dev’essere un altro modo.

Adeguata la bacchetta di Yi-Chen Lin dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali. La giovane direttrice cinese già allieva tra gli altri di Alberto Zedda offre una lettura sempre moderata e rispettosa, che però nel tentativo (riuscito) di mantenere equilibrati i volumi tra buca e palcoscenico pecca spesso in ricchezza timbrica. In particolare le differenze dinamiche sono talvolta opache, con caute oscillazioni tra mezzopiano e mezzoforte che per quanto in linea di principio sensate non restituiscono appieno la partitura nel fulgore smagliante che contiene. Il frequente squilibrio degli ottoni, viste le maggiori difficoltà di controllo nei volumi più ridotti, è cartina di tornasole di un amalgama non perfettamente raggiunto. Molto buoni invece i tempi, generalmente moderati; peccato per una certa tendenza a muoversi trattando le voci con rigore metronomico, con il risultato che Don Magnifico è pesantemente in difficoltà nell’impervio sillabato della sua aria e per non rompere il fiato arriva al caffè quasi una battuta prima dell’orchestra.

Complessivamente valido il Don Ramiro di Ruzil Gatin. Il giovane tenore russo ha dalla sua un bel timbro perfetto per il ruolo e una certa agilità in tutti i registri, unita ad acuti smaglianti. Purtroppo questi pregi lo portano ogni tanto ad un eccesso di confidenza con la parte: alcune colorature diventano imprecise nell’intonazione e certe messe di voce un po’ instabili.

Eccellente la Angelina di Cecilia Molinari. La giovanissima mezzosoprano veneta ha un timbro magnifico, sempre controllato ma caldo, dalla sorprendente agilità nell’acuto e dal ricco colore nei gravi, che è poi una rarità in ruoli scritti per contralto ma molto esigenti in coloratura. Il personaggio è elegante e sobrio, e la bontà in trionfo è veramente impersonata con dignità statuaria.

Ottimo il Don Magnifico di Vincenzo Taormina. Il ruolo è difficilissimo ma vocalmente risolto in modo impeccabile, con un volume non esuberante e con qualche difficoltà sui sillabati più agili, ma con un grande controllo timbrico e con il sapiente equilibrio indispensabile perché un basso buffo non diventi un basso ridicolo. Grandissima arte scenica, personaggio completamente centrato (e acclamato dal pubblico), brillante e caricato ma senza cliché.

Sempre adeguato e dalla buona prestazione vocale il Dandini di Clemente Antonio Daliotti.

Buono il duo di sorelle di Eleonora Bellocci (Clorinda) ed Elena Serra (Tisbe). Corretto e piacevole, per quanto un po’ in difficoltà nella certamente non semplice Là del ciel nell’arcano profondo, l’Alidoro di Alessandro Spina.

Puntuale e preciso, oltre che dalla buona resa timbrica, il Coro OperaLombardia. Applausi per tutti, con un particolare calore e qualche acclamazione per Angelina.

Paolo T. Fiume

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