NOVARA: Don Giovanni, 15 dicembre 2017
DON GIOVANNI
(o sia Il dissoluto punito)
Dramma giocoso in due atti
Musica di W.A. Mozart, su libretto di Lorenzo Da Ponte
Prima rappresentazione: Praga, Teatro Reale, 29 ottobre 1787
Regia Giorgio Ferrara
Direzione d’orchestra Matteo Beltrami
PERSONAGGI e INTERPRETI
Don Giovanni, giovane cavaliere estremamente licenzioso DIMITRIS TILIAKOS
Il Commendatore, padre di Donna Anna CRISTIAN SAITTA
Donna Anna, dama promessa sposa di Don Ottavio LUCIA CESARONI
Don Ottavio BRIAN MICHAEL MOORE
Donna Elvira, dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni FRANCESCA SASSU
Leporello, servo di Don Giovanni ANDREA CONCETTI
Masetto, contadino amante di Zerlina DANIEL GIULIANINI
Zerlina, contadina ARIANNA VENDITTELLI
Contadine e contadini, servi, suonatori e coro di sotterra (coro)
Scene Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo
Costumi Maurizio Galante
Luci Giorgio Ferrara, Fiammetta Baldiserri
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro San Gregorio Magno
Maestro al cembalo Daniela Pellegrino
Coproduzione Fondazione Teatro Coccia Onlus e Ravenna Festival
a cura di Paolo T. Fiume
Serata di eccellente livello al Teatro Coccia di Novara per la prima di Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Un trionfo di pubblico, sia in termini numerici che di plaudente riconoscimento, ha suggellato una rappresentazione di indubbia qualità, in coproduzione tra la Fondazione Teatro Coccia e Ravenna Festival, con la collaborazione del Festival di Spoleto 60 e Cartagena Festival Internacional de Música. Una vera e magistrale dimostrazione delle potenzialità che hanno anche certe realtà locali, certamente non agiate in termini di finanziamenti, quando siano messi in gioco autentico impegno e capacità organizzative ed artistiche fuori dal comune.
Tradizionale e pacata la regia di Giorgio Ferrara, molto centrata sul proscenio (tutte le grandi arie solistiche sono a tenda chiusa tra i cambi scena), dalla drammaturgia – studiata con René de Ceccatty – convenzionale ma piacevole e mai confusa. C’è forse qualche possibile appunto nella scelta delle luci, dall’apparenza un poco statica, ma con una decisa ripresa nel finale, dove il Commendatore (con una operazione forse non più nuovissima ma sempre di grande appeal) entra dal fondo della sala, tinta di uno spettrale rosso sangue, in mezzo a un pubblico sorpreso di trovarsi d’un tratto letteralmente “all’inferno”. Se l’ouverture si era aperta con la proiezione delle celebri citazioni di Søren Kierkegaard, nell’ultima scena il pensiero corre inevitabilmente al sartriano l’enfer, c’est les autres. L’idea è quella di interpretare l’intreccio, pur nell’integrale rispetto del libretto, come “il sogno di una danza macabra fatto da un filosofo della disperazione”: nelle parole dei registi, “l’attesa della morte e della condanna invade l’opera intera”; “i personaggi, tutti morti, sono radunati come ombre spettrali in un cimitero e, alzandosi dalle bare, rivivono, nel sogno dello scrittore […] il loro dramma di seduzione, di passione, di menzogna, di sortilegio e di dannazione, come un ultimo scherzo della morte”. Se l’attributo conferito al filosofo danese può far destare qualche dubbio, il risultato resta ugualmente interessante, e certamente la sfida di interpretare un pensiero complesso attraverso immagini vincolate da musica e libretto è ardimentosa.
Ci si aspettava forse qualcosa di più dalla scenografia di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: l’ambientazione tra cripte e cimiteri non è sempre chiarissima, la scena resta sostanzialmente fissa eccetto che per la disposizione di colonne e arredi marmorei. Meglio di tutto funziona forse infatti la scena autenticamente sepolcrale del dialogo con la statua del Commendatore. La realizzazione è comunque di qualità, tranne che per la comparsa di alcuni cipressi non proprio iperrealisti.
Belli i costumi di Maurizio Galante.
Di eccezionale livello il podio di Matteo Beltrami, direttore musicale del Teatro Coccia. L’assieme è governato con grandissima abilità, senza alcuna sbavatura e con un controllo maniacale ed affascinante delle dinamiche: basta ascoltarlo per capire cosa può veramente essere un crescendo, un passaggio istantaneo al mezzopiano, una chiusa ben concertata. I tempi sono sempre impeccabili, mai seduti e mai sfuggenti, studiati con precisione sui ruoli e sugli interpreti. Il volume dell’orchestra è forse ogni tanto abbondante, specie con i cantanti a fondo scena e probabilmente anche a causa dell’acustica della scena, ma nelle parti in proscenio risulta assolutamente equilibrato. Il pubblico gli tributa una calorosa ovazione. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini offre, come ci si poteva attendere, un’esecuzione semplicemente eccellente. La partitura mozartiana è restituita con l’accuratezza, il vigore e l’energia che le sono propri, sempre con totale controllo e precisione, nel più brillante fulgore timbrico. Ottimi anche i complessi di palcoscenico dell’Orchestra Talenti Musicali.
Di alto livello complessivo il cast, a cominciare dal ruolo eponimo interpretato dal baritono greco Dimitris Tiliakos, che si destreggia con vigore e abilità tra le mille sfumature della parte, con un buon controllo e piacevoli mezze voci (la canzonetta Deh vieni alla finestra su tutte). La recitazione restituisce con accuratezza quella sensazione di bisogno quasi patologico di eccessi e dissolutezza, già presaga di un destino funesto, che a tratti è lasciata trasparire dall’orgoglio aristocratico dell’impenitente. Sicuro e ottimamente nella parte il Leporello di Andrea Concetti, compresa una gustosa versione del celeberrimo “catalogo”. Nel trio di soprani spicca la Donna Elvira di Francesca Sassu, dal timbro affascinante, solido ed elegante, sempre rotondo e mai eccessivo, generalmente molto sicuro nelle agilità e a suo agio su tutta l’impegnativa tessitura. Acclamatissima la Donna Anna di Lucia Cesaroni, specialmente al termine del dirimente rondò Non mi dir, bell’idol mio. Fresca di debutto nel ruolo a Spoleto, dimostra già una coerenza e una comprensione del personaggio invidiabile, sempre supportata da un canto solido e ben padroneggiato. Piacevole anche la Zerlina di Arianna Vendittelli, come pure il Don Ottavio di Brian Michael Moore. Spicca per qualità vocali e arte scenica il Masetto di Daniel Giulianini. Imponente il Commendatore di Cristian Saitta, che ricambia con il debito vigore l’invito a cena di Don Giovanni. La voce è tonante, solida e di bel timbro, forse a tratti un po’ spinta e leggermente crescente, ma sicura e di resa efficacissima. Sempre corretti e puntuali i recitativi al cembalo di Daniela Pellegrino. Ottimo e di gustoso impatto timbrico il Coro San Gregorio Magno.
Questo è l’obiettivo a cui dovrebbe tendere l’Opera. La sicurezza di trovarsi, anche un venerdì sera in una piccola città, di fronte a una qualità solida e degna della storia di un teatro di tradizione, che non faccia costantemente ripensare al confronto coi maggiori palcoscenici, che permetta a momenti di chiudere gli occhi e non avere bene la certezza di trovarsi a Novara, e non in una delle sale più blasonate del pianeta. Questa è la dimostrazione che è possibile, e i convinti applausi e acclamazioni tributati anche a scena aperta non ne sono che il degno riconoscimento, a ulteriore riprova che il tanto esecrato tepore del pubblico è svelto a riscuotersi nel momento in cui gli venga offerto qualcosa che non lasci spazio agli addii del passato.