BARCELLONA: La dama di picche – Pëtr Il’ič Čajkovskij, 1/2 FEBBRAIO 2022 a cura di Jorge Binaghi
La dama di picche, op. 68
opera in tre atti e sette scene composta da Pëtr Il’ič Čajkovskij
libretto di Modest Čajkovskij
basata sull’omonimo racconto di Aleksandr Puškin
Direttore Dmitri Jurowski
Regia Gilbert Deflo
Personaggi e Intepreti:
- Hermann Yusif Eyvazov, George Oniani
- Comte Tomski / Zlatogor Łukasz Goliński, Gevorg Hakobyan
- Príncep Ieletski Rodion Pogossov, Andrey Zhilikhovsky
- Txekalinski David Alegret
- Surin Ivo Stanchev, Albert Estany – Dimitar Darlev, Nika Guliashvili
- Txaplitski Antoni Lliteres
- La contessa Elena Zaremba, Larissa Diadkova
- Lisa Lianna Haroutounian, Irina Churilova
- Polina/ Milovzor Lena Belkina, Cristina Faus
- La governanta Mireia Pintó
- Maixa Gemma Coma-Alabert
- Mestro di cerimonia Marc Sala, Antoni Lliteres
- Prilepa Mercedes Gancedo, Serena Sáenz
Scene e costumi William Orlandi
Coreografia Nadejda L. Loujine
Luci Albert Faura
Coro del Gran Teatre del Liceu
Direttore del Coro Pablo Assante
Cor delle voci bianche VEUS – Amics de la Unió de Granollers
Direttore del Coro voci bianche Josep Vila i Jover
Orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu
Gran Teatre del Liceu, 1/2 febbraio
Il Liceu è tornato a riprendere un allestimento de La Dama di picche di Čajkovskij noto al pubblico da anni (e molto gradito) per la regia di Gilbert Deflo con scene e costumi di Willian Orlandi. Risulta davvero spettacolare in certi momenti (secondo atto), “bella” in altri (il primo, in particolare la prima scena), adeguatamente sinistra nell’ultimo e nella scena della camera della Contessa. Segue puntualmente la trama e le didascalie, e per me questo non è un motivo di rimprovero, ma resta il fatto che si tratta di una bellissima confezione, con delle pause oggi inaccettabili nell’atto terzo, e che di vera regia quasi non se ne può parlare perché gli artisti hanno tutti atteggiamenti convenzionali e generici. Faccio presente però che per me vale molto di più questo tipo di spettacolo che certe soluzioni cervellotiche che ho dovuto sopportare in passato e che, per esempio, hanno massacrato la pastorale del secondo atto (quando non l’hanno soppressa, tanto siamo tutti più bravi di compositore e librettista). Una volta parlato della regia, che oggi sembra la cosa più importante e più da valutare, passo all’elemento della “colonna sonora”, cioè l’interpretazione della musica di tale Pjotr Ilich… che è stata in linea di massima interessante, soprattutto tenendo conto del fatto che, come altrove, ci sono state delle sostituzioni non volontarie e alcune dell’ultima ora. Ma finora non si è perduta una recita e questo è qualcosa che conta. Anche la presenza del pubblico, se non numerosissima almeno buona (non è che il Liceu abbia una grande tradizione di repertorio russo e più in generale slavo, purtroppo – e non sarà l’unica grande sala europea con questo grande problema – ma alcuni titoli sono amati, e questo, come del resto il suo autore, tra i primi).
Il Coro suonava molto debole nella prima scena del primo atto (senza che si potesse capirne bene il motivo), ma poi si riprendeva (istruito come sempre da Pablo Assante). Ma anche il coro di bambini “Veus” di Granollers (diretto da Josep Vila i Jover) che non si presentava per la prima volta sul palcoscenico del Liceu, si è appena fatto sentire.
Per fortuna l’orchestra era in buona forma e molto in sintonía con la bacchetta di Dmitri Jurowski che teneva alto lo stendardo del cognome: il fraseggio aveva sempre un senso chiaro e corretto e anche come concertatore dimostrava di avere le carte in regola.
Le due Contesse erano senz’ombra di dubbio l’elemento più alto di entrambi i cast. Molto diverse fra di loro, Elena Zaremba era più fredda, distante e raccapricciante mentre Larissa Diadkova si presentava piuttosto come la ‘vecchia strega’ (nome che le viene dato più di una volta). Entrambe fornivano anche una bella prestazione vocale e non si è sentita per niente l’assenza di uno dei nomi annunciati, anzi. Più importante ancora, forse solo attraverso la loro interpretazione si faceva completamente presente quell’angoscia, quell’insoddisfazione agghiacciante di voler vivere a tutti i costi anche senza capire bene come e perché, che è la forza motrice di questo capolavoro dove i tre personaggio principali muoiono (due suicidi) e dove non è difficile avvertire l’elemento autobiografico del suo grandissimo e sventurato autore.
Yussif Eyvazof nei panni di Hermann, il protagonista, otteneva il risultato migliore ch’io gli abbia mai visto su un palcoscenico. Qui il colore della voce importa meno che altrove, ma se non è bello o personale e si hanno altre qualità come la sicurezza dell’emissione e dell’acuto, una buona omogeneità tra i registri e un attore più che corretto, abbiamo un buon ritratto di quest’antieroe tormentato. George Ohniani ha forse un timbro più bello, ma con qualche tensione nell’estremo acuto; soprattutto, però, è inesistente come attore.
Lisa è un personaggio meraviglioso (speriamo che un giorno non ce lo vietino perchè le sue motivazioni e parole sicuramente oggi suonano eccessive e “maschiliste”). Se la voce di Lianna Haroutounian non mi convince neppure in questo ruolo (il suono metallico e il vibrato eccessivo nei piani) devo ammettere che come attrice è stata brava. Non lo era invece Irina Churilova, non so se per poca esperienza, che dal punto di vista vocale era però più interessante, sebbene a fine recita arrivasse stanca e qualche nota fosse fissa o direttamente urlata.
Ci sono tante voci maschili in quest’opera e le parti minori (mica facili) venivano ricoperte molto bene. I due baritoni (cioè, quattro) erano parecchio bravi con qualche differenza. Il Tomski di Lukasz Golinski risultava più elegante in canto e presenza scenica di quello di Gegorv Hakobyan, perfino nel personaggio del “vecchio ricco” della pastorale. Se il giovane Andrey Zhilikhovsky era un príncipe Yeletski ideale per figura e linea di canto (otteneva un “bravo” un po’soffocato nientemeno che da Anna Netrebko seduta dietro di me), credo fosse più completa, benché la famosa aria sia risultata meno “lirica”, la prestazione di Rodion Pogossov.
La pastora Prilepa veniva condivisa da due soprani “locali”: più leggera e “ingenua” quella di Serena Sáenz, dalla carriera sempre più importante, più densa quella di Mercedes Gancedo, entrambe molto brave. I loro pastori, che si facevano notare più nella parte precedente di Polina, erano Cristina Faus (di timbro più scuro) e Lena Belkina, che mostrava però una grande dimestichezza con entrambe le parti. Tantissimi applausi soprattutto alla fine.
Jorge Binaghi