FERRARA: Manon Lescaut – Giacomo Puccini, 20 gennaio 2023 a cura di Matteo Cucchi

FERRARA: Manon Lescaut – Giacomo Puccini, 20 gennaio 2023 a cura di Matteo Cucchi

  • 18/02/2023

Manon Lescaut

opera in quattro atti di Giacomo Puccini

La prima rappresentazione ebbe luogo la sera del 1º febbraio 1893 al Teatro Regio di Torino


 

Direttore Marco Guidarini

Regia Aldo Tarabella

Personaggi e Interpreti:

  • Manon Lescaut Alessandra Di Giorgio
  • Lescaut Marcello Rosiello
  • Renato Des Grieux Paolo Lardizzone
  • Geronte di Ravoir Alberto Mastromarino
  • Edmondo Saverio Pugliese
  • L’oste, il Sergente degli Arcieri Marco Innamorati
  • Il maestro di ballo, il lampionaio Cristiano Olivieri
  • Un musico Irene Molinari
  • Il comandante della Marina Alessandro Ceccarini
  • Un parrucchiere Greta Battistin, Giulia Petrucciani

 

Scene Giuliano Spinelli

Luci Marco Minghetti

Costumi Rosanna Monti

Coreografie Luigia Frattaroli

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini

Coro Archè

Maestro del Coro Marco Bargagna

Produzione Uffici del Teatro del Giglio

Creazione dei suoni campionati Andrea Baggio

 Nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca

Copruduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro A. Galli di Rimini, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Comunale di Ferrara

 

Teatro Comunale di Ferrara – 20 Gennaio 2023


Il quinto appuntamento al Teatro Comunale di Ferrara per la stagione di opera e balletto 2022/2023 è dedicato ad un Puccini in esordio. Tra l’estate del 1889 e l’autunno del 1892 il compositore toscano è infatti al lavoro su Manon Lescaut, la sua terza opera dopo il debutto di Le Villi nel 1884 e dell’Edgar nel 1889, produzioni – entrambe – destinate ad un magro risultato. Manon Lescaut rappresenta dunque l’entrée del successo pucciniano e il trampolino di lancio per quella fortunatissima collaborazione con il librettista Giuseppe Giacosa; un sodalizio che farà nascere tre celeberrime opere italiane quali La Bohème, Tosca e Madama Butterfly.

Manon Lescaut, come tutte le opere pucciniane fino a Tosca, trae le sue origini dalla letteratura francese del XVIII-XIX secolo, La Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut scritta dall’abbate Antoine François Prévost. La figura di Manon è oltremodo controversa, specie se osservata da un punto di vista contemporaneo. La giovane donna del romanzo francese era destinata alla casta e rigorosa vita monastica che avrebbe dovuto frenare le sue cupide inclinazioni. Una decisione del tutto arbitraria del fratello che già in apertura del dramma mette in luce quegli abusi patriarcali all’ordine del giorno in un periodo che ancora non aveva visto nascere le lotte femministe. Manon è dunque vittima delle imposizioni famigliari e si vede tolto il libero arbitrio almeno fino al suo incontro con il Cavaliere Des Grieux con il quale fuggirà a Parigi. La storia d’amore tra i due protagonisti non ha però un lieto fine men che meno un lieto divenire. Des Grieux passerà infatti tutto il periodo parigino a cercare di soddisfare le abitudini della sua amante ormai abituata al lusso. Arrivato a chiedere soldi in prestito e a cercare la fortuna al gioco perderà tutto più volte e altrettante lei lo tradirà per uomini più ricchi non sopportando l’idea di vivere nella miseria. Manon è dunque tanto vittima di una società maschile quanto carnefice del suo ingenuo amante. Possiamo vederla sia come una dark lady shakespeariana (una borghese versione di Lady Macbeth se vogliamo) sia, e questa è una prospettiva più contemporanea, molto lontana dall’idea autoriale ma più interessante per una riflessione sociologica, una donna che con i mezzi a sua disposizione ha cercato di liberarsi dal giogo famigliare finendo di fatto col vendere sé stessa per vivere nel lusso. Dopo una serie di travagli sui quali in questa sede è superfluo soffermarsi (anche perché lontani dalla versione del libretto di Luigi Illica, Marco Praga e Domenico Oliva) tra i quali l’esilio americano a New Orleans lei, in fuga, morirà di stenti e lui avrà salva la vita e la sua anima guarirà da una parentesi drammatica della sua vita. La versione letteraria è dunque assai diversa dalla versione pucciniana poiché la prima vede ruotare le vicende attorno ad un protagonista maschile che all’inizio del romanzo altro non è che un giovane ingenuo che si lascia trasportare da un’idea di amore malsana condannata dall’autore francese; è utile infatti ricordare che l’autore è un ecclesiastico della prima metà del XVIII secolo pertanto possiamo vedere la sua opera quasi come un romanzo di formazione per i giovani del tempo. La versione pucciniana già dal titolo toglie il primato al protagonista maschile rendendo i due amanti perno degli eventi. Le differenze con il romanzo sono notevoli ma si tratta in parte di una revisione atta a modernizzare l’opera rendendola più vicina alla realtà contemporanea al Puccini. Manon non è destinata al convento ma al matrimonio con un ricco banchiere, la causa dell’esilio non sarà una truffa ad un aristocratico ma l’adulterio e la rapina ai danni di Geronte (il banchiere di cui sopra), ecc. Sarà invece l’epilogo il più grande discostamento dalla fonte letteraria e che porterà il finale dell’opera al gusto amaro del tardo Ottocento (in parte riconducibile ai drammatici epiloghi verdiani): nessuna salvezza per lui e nessuna salvezza per lei, come nell’Aida i due amanti sono infatti destinati a morire insieme.

Le riflessioni sociologiche scaturite dalle vicende di Manon hanno portato il regista di questa rappresentazione ferrarese, Aldo Tarabella, a omaggiare gli attuali moti femministi in Iran replicando il gesto del taglio della ciocca di capelli. Credo di essermi già espresso in tal senso nel corso della recensione al Matteotti Medley inscenato al Comunale di Ferrara il 28 ottobre 2022: la volontà di una grande fetta di pubblico di esorcizzare l’arte dalla politica altro non è che una pigrizia intellettuale. Sarò breve a riguardo dato che non è questa una rubrica che tratta di tali temi ma la politica non è e non deve assolutamente essere solo ricerca del consenso elettorale (come sembra invece essere da molti e troppi anni) bensì una razionale ed etica amministrazione della realtà sociale e nazionale in cui ci viviamo. L’arte ha il sacrosanto diritto di mostrare la realtà così come viene percepita dagli artisti e se questo vuol dire esprimere un pensiero politico così sia; l’arte non è un mero appuntamento in agenda col quale riempire un vuoto temporale ma occasione di riflessione, comunicazione tra artista e fruitore.

Superando ora questa stringata digressione la regia di Aldo Tarabella ha dato luogo ad un’ottima rappresentazione. Le scene ideate da Giuliano Spinelli hanno come cardine un monumentale palazzo posto sullo sfondo che muterà le sue fattezze divenendo uno specchio delle ambizioni di Manon; un lavoro il suo che dimostra ancora una volta quanto la scenografia possa essere più di un mero sfondo per le vicende. I costumi di Rosanna Monti, così realistici e complessi, hanno contribuito non poco a ricreare una realtà parigina mista tra Settecento e Belle Époque. Già dalla partenza lo spettacolo si apre con grandi promesse presentando una maestosa scenografia, ricchi costumi e una scena fortemente popolata. Un primo atto interpretato in modo non del tutto convincente dai cantanti protagonisti crea qualche piccola titubanza ma i motori delle voci si scaldano e Alessandra Di Giorgio (Manon Lescaut) insieme Paolo Lardizzone (Renato Des Grieux ) raggiungono il loro pieno potenziale sciogliendo ogni dubbio. Complice di questo esordio poco efficace è l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, diretta da Marco Guidarini, che ha coperto le voci protagoniste. Sempre il primo atto è stato la sfortuna di Saverio Pugliese (Edmondo) che coperto dall’orchestra ha visto offuscato il suo unico momento di presenza scenica. Più fortunato è stato invece il lavoro di Alberto Mastromarino che comparendo anche nel secondo atto nel ruolo di Geronte ha potuto riscattarsi egregiamente.

Una rappresentazione in definitiva eccellente sul piano scenico ma non completamente efficace musicalmente; quantomeno non per tutto il corso dello spettacolo.

Matteo Cucchi

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