MONACO DI BAVIERA: Les troyens – Hector Berlioz, 14 maggio 2022 a cura di Jorge Binaghi
LES TROYENS
Grand opéra in cinque atti
Hector Berlioz
Libretto Hector Berlioz
Direttore Daniele Rustioni
Regia Christophe Honoré
Personaggi e Interpreti:
- Cassandre / Der Schatten von Cassandre Marie-Nicole Lemieux
- Hécube, Königin von Troja Emily Sierra
- Ascagne, Sohn des Énée Eve-Maud Hubeaux
- Didon, Königin von Karthago Ekaterina Semenchuk
- Anna, Schwester der Didon Lindsay Ammann
- Soldat aus dem trojanischen Volk Daniel Noyola
- Chorèbe / Der Schatten von Chorèbe Stéphane Degout
- Priam / Der Schatten von Priam Martin Snell
- Hélénus, Sohn des Priam Armando Elizondo
- Enée Gregory Kunde
- Panthée Sam Carl
- Der Schatten von Hector Roman Chabaranok
- Ein griechischer Heerführer Daniel Noyola
- Narbal Bálint Szabó
- Iopas Martin Mitterrutzner
- Mercure Andrew Hamilton
- Hylas Jonas Hacker
- Erster trojanischer Soldat Theodore Platt
- Zweiter trojanischer Soldat Andrew Gilstrap
Scene Katrin Lea Tag
Costumi Olivier Bériot
Luci Dominique Bruguière
Video Comité dans Paris
Maestro del Coro Stellario Fagone
Drammaturgia Katja Leclerc
Bayerisches Staatsorchester
Bayerischer Staatsopernchor
Nationaltheater, 14 maggio 2022
Diceva un tale Kavafis che le nostre fatiche sono come quelle dei troiani. Berlioz, così diverso, sembrava credere lo stesso e compose un capolavoro resistitente, mal compreso (forse ancora oggi) ma che lentamente, malgrado tutte le difficoltà, trova sempre più un posto tutto suo nel cosiddetto “repertorio” dei teatri lirici (non vedo il problema di presentare né di vedere uno spettacolo per più di cinque ore se nessuno contesta – e forse come soggetto sono meno interessanti – Parsifal o I maestri cantori). Ho avuto la fortuna di conoscerlo presto in vita mia grazie a un Teatro Colón di Buenos Aires che allora sapeva quale fosse il suo compito ma anche all’arte incomparabile di Régine Crespin, interprete ideale dei due personaggi femminili principali.
Peccato che la straordinario sforzo dell’Opera dello Stato di Baviera si sia dato con la zappa sui piedi di un nuovo allestimento contestatissimo alla prima ma soprattutto profondamente stupido, che non c’entra niente né con lo spirito della musica di Berlioz nè con la vicenda narrata da Virgilio e riscritta dal proprio compositore. Non saranno i nudi maschili (che hanno fatto consigliare lo spettacolo come non adatto ai minori di 18 anni, forse per fare un po’ più di pubblicità o per voluta ignoranza dei minorenni di oggi) a spaventare (molto estetici se si vuole) ma vederli sdraiati in piscina a prendere il sole mentre il coro canta fra le quinte ‘Gloria a Didone’ (una regina in vestaglia con una sorella vestita come una di quelle signorine che abbondano in certi locali vicini alla stazione centrale di questa città) non solo irrita e spiazza ma finisce per creare un’inutile confusione. La seconda parte continua tutta su questo tono e non intendo perdere e far perdere più tempo con il racconto di scemenze varie che affliggono anche i “balletti” (qui non proprio tali). La prima parte è forse meno peggio ma neanche i televisori che la signora Andromaca spegne perchè la visione (fugace) dei soprusi dei Greci non faccia del male alle anime sensibili. Responsabile di questo il regista Christophe Honoré e tutta la sua squadra, che non conoscevo e francamente preferirei non ritrovare mai più in un teatro lirico. Ma il male è stato fatto: per la prima volta vedevo dei posti vuoti in teatro, e il numero cresceva dopo ogni pausa, gli applausi erano tiepidi e non troppo convinti e si sentiva anche qualche protesta.
Dal punto di vista musicale i risultati sono stati decisamente migliori anche se sicuramente non indimenticabili. Sugli scudi il Coro istruito alla grande da Stellario Fagone. Anche la celebre Orchestra del Teatro era all’altezza delle difficoltà della partitura ma le scelte di Daniele Rustioni erano discutibili, soprattutto in una prima parte (La prise de Troie) piuttosto senza tensione ma con tanti decibel. Les Troyens à Carthage per fortuna andavano meglio ma non raggiungevano mai livelli che ho ancora e sempre ben presenti (Sebastian, Gergiev, Gardiner, Pappano).
Gregory Kunde è tuttora un fuoriclasse e nel suo Enea stupisce la potenza e la stabilità della voce anche se nel grande duetto di amore non ha più la flessibilità di prima. La sua grande aria finale è stata accolta con una vera e meritata ovazione.
Marie-Nicole Lemieux era come sempre una bravissima cantante e attrice e solo in qualche momento faceva ricordare che non è nè una Falcon nè un soprano, che sono più idonee alla caratterizzazione della profetessa Cassandra della prima parte.
Ekaterina Semenchuk (arrivata per sostituire la collega scritturata) ha fatto una Didone migliore che a Parigi con più sfumature e ugualmente ben cantata. Non è un’attrice molto interessante e nella grande scena dell’ultimo atto ha sbagliato forse nell’accento e nel fraseggio, ma ha cercato onestamente di dare il rilievo dovuto a un ruolo anch’esso irto di difficoltà. Entrambe sono state molto applaudite.
Anche Stéphane Degout ha reso molto bene il suo Corebo sebbene si tratti di una voce più lirica che drammatica.
Mi ha sorpreso che alcune parti “secondarie” (ma difficili) non siano state trattate con la dovuta cura. Bálint Szabó per la prima volta per me ha fatto male e il suo Narbal era quasi inascoltabile. Per motivi di volume succedeva lo stesso con Martin Mitterutzner nei panni di Iopas. Bene invece l’Hylas di Jonas Hacker e interessante (particolarmente nei gravi) l’Anna di Lindsay Ammann. Eve-Maude Hubaux merita altri parti che non quella di Ascanio che la regia ha ridotto al ridicolo. Del resto possiamo citare l’ombra di Ettore (Roman Chabaranok) e i due soldati troiani della spassosa scena del quarto atto (un’invenzione geniale di Berlioz degna del suo amato Shakespeare), Theodore Platt e Andrew Gilstrap.
Come si vede, ma per diverse ragioni da quelle invocate da Kavafis e Berlioz, le nostre fatiche sono ancora e sempre quelle dei Troiani, sempre ostacolati dall’esterno e dall’interno.
Jorge Binaghi