PALERMO: il ritorno di Ulisse in patria – Claudio Monteverdi, 10 febbraio 2019

PALERMO: il ritorno di Ulisse in patria – Claudio Monteverdi, 10 febbraio 2019

  • 14/02/2019

Il ritorno di Ulisse in patria

Libretto di Giacomo Badoaro da Omero

Musica di Claudio Monteverdi


Direttore e arrangiamenti musicali
 Philippe Pierlot  
Regia e animazione video William Kentridge
Personaggi e Interpreti:
  • Ulisse / Humana fragilità Jeffrey Thompson
  • Penelope Margot Oitzinger
  • Telemaco / Pisandro Jean-François Novelli
  • Nettuno / Antinoo / Tempo Antonio Abete
  • Melanto / Fortuna / Anfinomo Anna Zander
  • Amore / Minerva Hanna Bayodi
  • Eumete / Giove Victor Sordo
Assistente alla regia per la ripresa Luc de Wit
Scene Adrian Kohler e William Kentridge
Marionette e costumi Adrian Kohler – Handspring Puppet Company
Luci Wesley France
Costruzione marionette Adrian Kohler & Tau Qwelane
Editing video Catherine Meyburgh
Assistenti animazione Anne McIlleron e Nina Gebauer
Ricerca immagini e video Gail Behrmann

Ricercar Consort
Handspring Puppet Company
Allestimento originale (1998) prodotto da La Monnaie/De Munt (Brussels, Belgium), Handspring Puppet Company (Cape Town, South Africa), Wiener Festwochen (Vienna, Austria),Kunsten FESTIVAL des Arts (Brussels, Belgium) con il supporto del governo fiammingo.
Nuovo allestimento (2016) Quaternaire / Paris con il supporto dell’Asia Culture Center-Asian Arts Theatre (Gwangju, Corea del Sud), del Lincoln Center’s White Light Festival (New York City, U.S.A.) e del Musikfestspiele Sanssouci und Nikolaisaal (Potsdam, Germania).


Tre piani: le immagini, il bel canto e la dimensione plastica. È lì che si installa il racconto de “Il ritorno di ‘Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi, messo in scena a Palermo. L’opera (che è parte della cosiddetta trilogia veneziana) ispirata all’omerica Odissea e con il pregevole libretto di  Badoaro (che coniò, in questa circostanza, un detto rimasto celebre:”Un bel tacere mai scritto fu”), torna a Palermo dopo oltre 20 anni di assenza dai cartelloni. Pochi strumenti, interpreti che si calano contemporaneamente in più d’una parte, una sequela di immagini proiettate dall’inizio alla fine e poi le marionette a dare sussulti alla storia. La scelta del regista, il sudafricano William Kentridge, è raffinata, forse d’azzardo per la platea della sala grande del Massimo. È risultato inusuale questo secondo appuntamento con il calendario operistico che ha visto, in luogo del tradizionale allestimento con orchestra e coro, un adattamento che non azzardiamo a definire “da camera” e che sicuramente avrebbe espresso il meglio in uno spazio di dimensioni ridotte. L’acustica perfetta del Massimo, però, fa la sua parte ed anche questa opera “fuori contesto” porta a casa il bottino di applausi e solo qualche sparuta defezione da parte del pubblico. Andiamo per ordine: orchestra e coro  del Massimo si trovano in Oman, a rappresentare la Traviata insieme a Placido Domingo (che dovrebbe presto esibirsi a Palermo). Ecco la scelta coraggiosa di mettere in cartellone l’opera di Monteverdi, affidata al Ricercar Consort, ensemble belga, guidato dal gambista Philippe Pierlot. Il genere è quello rinascimentale- barocco, con qualche ispirazione alla musica medievale. Sei in tutto gli esecutori, compreso il maestro concertatore, che diffondono note precise, compatte, attuali seppur infilate in arrangiamenti di tempi davvero lontani. L’atmosfera è volutamente cupa: le luci basse sul palco, le marionette di Adrian Kohler e della Handspring Puppet Company sono una via di mezzo tra le icone sacre, da portare in processione e una rivisitazione delle celebri statue classiche. Abilissimi i maestri, che hanno dato vita ai fantocci, affiancati, attimo per attimo, dagli interpreti, in una scelta non casuale, ma di resa simbiotica tra l’anima musicale/espressiva e il personaggio. Sullo sfondo la scelta del regista di proiettare immagini di gusto retrò: domina il bianco e nero, in un racconto visivo impadronito da immagini di ecografie, endoscopie e microchirurgia. Ecco continui palpiti (che ora sembrano quelli del cuore, ora quelli di un battito di ali).Si alternano paesaggi, gli stessi dove verosimilmente Ulisse avrà peregrinato in cerca della strada maestra, guidato da quel battito di cuore, perennemente rappresentato nella sua veste squisitamente medica, meglio meccanica, quale motore della sopravvivenza di qualsivoglia essere. 

Il palco enorme, ospita in realtà una messa in scena “piccola”, che deve contenere la sua distribuzione nello spazio, così da non perdere il pathos. Nei cento minuti (senza intervallo) una parte di pubblico ha avuto difficoltà a mettere a fuoco l’intero senso dell’opera. Spezzarla, però, avrebbe deviato quell’atmosfera onirica e fuori dal tempo, che comunque regista e interpreti sono riusciti a creare. Margot Oitzinger, fragile e drammatica Penelope, tiene fede all’intento di Monteverdi, dando vita a un personaggio senza particolari evanescente. È cauta, malinconica, si lascia andare (ma non troppo) quando la sorprende il lieto fine tanto atteso. È una voce carezzevole precisa, applaudita a più riprese dal pubblico. Jaffrey Thompson è un Ulisse in vestito scuro, con la personalità vocale ed espressiva più marcata, tra quelle presenti sul palco. Antonio Abete interpreta Nettuno, Antinoo eTempo, con garanzia e pregio vocale. Un adattamento per molti, ma non per tutti. Il ritorno di Ulisse in patria riceve i consensi del pubblico, che avrà curiosità di rivedere questo ensemble di interpreti e musicisti, possibilmente calati in una dimensione a loro più congeniale.

Maristella Panepinto
Share this Post