TEATRO ALLA SCALA: Il turco in Italia – a cura di Nicola Salmoiraghi, 18 ottobre 2021
IL TURCO IN ITALIA
opera buffa in due atti
di Gioachino Rossini
su libretto di Felice Romani
Direttore Diego Fasolis
Regia Roberto Andò
Personaggi e Interpreti:
- Selim Erwin Schrott
- Donna Fiorilla Rosa Feola
- Don Geronio Giulio Mastrototaro
- Don Narciso Antonino Siragusa
- Prosdocimo Alessio Arduini
- Zaida Laura Verrecchia
- Albazar Manuel Amati
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Video Luca Scarzella
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Durata spettacolo: 3 ore e 15 minuti incluso intervallo
Milano, Teatro alla Scala – 18 ottobre 2021
Lì si era fermato tutto, il 22 febbraio del 2020. Il sipario della Scala si era aperto sulla prima della nuova produzione de Il turco in Italia e il giorno dopo chiuse per la lunga, buia parentesi dell’emergenza Covid, che ci auguriamo ormai alle spalle in quella triste e drammatica misura.
Ora, nell’autunno in gran parte rossiniano del Piermarini (prima Italiana, poi Barbiere) ecco il ritorno del Turco, che si riprende la scena dove l’aveva lasciata. La partitura del Pesarese non è probabilmente popolare come le due che l’hanno preceduta, è stata rimaneggiata dallo stesso autore, presenta qualche pezzo “spurio” delegato dal musicista a penna di collaboratore non meglio precisato, eppure il risultato è godibilissimo, frizzante e sorprendentemente moderno, laggiù nel 1814. Si parla di donne che rivendicano libertà di scelta e di comportamenti in amore (Fiorilla) – anche se poi il pentimento, quanto sincero non si sa, è dietro l’angolo – e il gioco del teatro nel teatro – il poeta Prosdocimo vuole scrivere un dramma buffo e della vicenda è motore e burattinaio, cercando ispirazione nel comportamento dei personaggi che egli stesso manovra – crea un rutilante gioco di specchi in cui realtà e finzione si confondono.
Di questa caleidoscopica, scoppiettante scrittura, dove il Genio rifulge in ogni rigo di pentagramma, Diego Fasolis, impeccabile nel repertorio barocco e sul podio dell’Orchestra scaligera come già l’anno scorso, ha offerto una lettura certamente analitica e attenta, ma che è parsa talvolta mancare dello scintillio, del brio necessari e con talune sonorità sovraccariche di troppo, già a partire dalla Sinfonia. Il timoniere, comunque, a conti fatti e note concluse, ha condotto sicuramente in porto la nave di Selim.
Lo spettacolo con la regia di Roberto Andò (ripresa da Emmanuelle Bastet), le scene essenziali di Gianni Carluccio (autore anche dell’efficace gioco luci), i costumi (assai belli, in stile impero) di Nanà Cecchi e le proiezioni video di Luca Scarzella, narra la vicenda con eleganza e sorridente partecipazione, senza raccontare nulla di particolarmente nuovo e originale. Case che rimangono sospese a mezz’aria, interni astratti, fondale volutamente “finto” di onde marine che si rincorrono, fanno da panorama a un racconto teatrale che dipana la vicenda assecondandola, senza mai entrarvi con un tentativo di visione “nuova”. Lo spettacolo si fa guardare piacevolmente, ed altrettanto in fretta lo si dimentica, come una fugace ed effimera visione.
La compagnia di canto radunata era di assoluta eccellenza, in parte mutuata dall’edizione 2020. Nei panni del turco Selim si è fatto valere Erwin Schrott: personalità scenica carismatica, voce ampia e bellissima, sicura in tutta la gamma, timbro brunito di indubbio fascino, scolpitura della frase e incisività nell’accento, tutto in lui concorre a farne un’artista di qualità superiore, che ha anche sfoggiato adeguata morbidezza e fluidità nel canto di bravura, quando richiesto dal ruolo.
Al suo fianco ha spiccato la Fiorilla di Rosa Feola, brillante nella definizione del ruolo, sicura nelle agilità, stilisticamente inappuntabile; un’interprete in cui la coloratura ha sempre fine espressivo, come dimostrato nell’impegnativa aria finale, che sposta l’atmosfera sul versante patetico-larmoyant, “Squallida veste e bruna”, le cui impervie volute belcantistiche sono state rese dal soprano a regola d’arte, e la tecnica non era mai disgiunta dall’emozione.
Sugli scudi anche la prova del bravissimo Giulio Mastrototaro (Don Geronio), beniamino del pubblico. Il baritono ha fatto di questo personaggio buffo un carattere a tutto tondo, umanissimo e simpatico. Canta benissimo, e in più la voce è di notevole volume e bel colore, il che non è sempre scontato in questo genere di repertorio. Ha fatto della sua spassosa aria del secondo atto – canto sillabato assolutamente esemplare – “Se ho da dirla avrei molto piacere”, cantata dalla Barcaccia del Vicerè al secondo ordine di palchi, un vero e trascinante capo d’opera.
Antonino Siragusa ha esibito i suoi meriti rossiniani nel fittizio personaggio di Don Narciso, e in particolar modo nell’aria “Tu seconda il mio disegno” ha avuto modo di sbalzare a dovere e con souplesse agilità e sovracuti.
Il Poeta Prosdocimo, demiurgo della vicenda, quasi sempre presente in scena, era affidato al notevolissimo talento e alla voce di Alessio Arduini, un baritono che è ormai è una certezza: voce sapientemente gestita, di preziosa qualità, che dal centro solido e pastoso sale risolutamente e autorevolmente in acuto senza alcuna difficoltà, forte di una musicalità in cui gusto espressivo ed eleganza d’interprete si fondono mirabilmente.
Completavano la locandina Laura Verrecchia, brillante ed accattivante Zaida, e Manuel Amati (voce piccola, ma educata e armoniosa) come Albazar, che si è ritagliato il suo momento nell’ aria “Ah! Sarebbe troppo dolce”, affrontata come un provino davanti a Prosdocimo in platea, dapprima intenzionalmente impacciato, poi sempre più sciolto e scenicamente disinvolto
Il Coro del Teatro, guidato da Alberto Malazzi, ha completato il quadro da par suo, così come il basso continuo al fortepiano di James Vaughan. Occorre dire che qualche recitativo, qua e là e come riportato dal programma di sala, è stato sforbiciato, anche se questo non ha compromesso una fruizione dell’opera musicalmente integrale nella sostanza.
Nicola Salmoiraghi