TEATRO ALLA SCALA: Lucia di Lammermoor – Gaetano Donizetti, 16 aprile 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi
LUCIA DI LAMMERMOOR
Gaetano Donizetti
Dramma tragico in tre atti
Libretto di Salvatore Cammarano
Direttore Riccardo Chailly
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Personaggi e Interpreti:
- Enrico Boris Pinkhasovich
- Lucia Lisette Oropesa
- Edgardo Juan Diego Flórez
- Arturo Leonardo Cortellazzi
- Raimondo Michele Pertusi
- Alisa Valentina Pluzhnikova
- Normanno Giorgio Misseri
Luci Vinicio Cheli
Video Eric Duranteau
Collaboratrice del regista e drammaturga Anne Blancard
Nuova produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 16 aprile 2023
Avrebbe dovuto inaugurare la Stagione 2020/21, poi, causa pandemia, ecco arrivare finalmente oggi sulle tavole del Piermarini il nuovo allestimento di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, con regia, scene e costumi di Yannis Kokkos (luci di Vinicio Cheli, video di Eric Duranteau).
Sgomberiamo subito il campo dall’argomento: si tratta di uno spettacolo sobrio, asciutto, essenziale, collocato in un’epoca senza tempo, molto vicina al nostro immaginario, con suggestioni gotiche e notturne, di astratta eleganza, e dove non succede nulla che non sia prevedibilissimo e già visto mille volte, nelle situazioni e nei gesti stereotipati tipici della Lucia di tradizione; poi la personale capacità interpretativa ed espressiva di ogni singolo interprete fa la differenza. Se si è visto decisamente di meglio, si è visto anche di infinitamente peggio, ma non direi che i motivi di interesse di questa produzione risiedessero, già in origine, nella parte visiva.
Riccardo Chailly ha proposto dell’opera donizettiana la versione integralissima basata sull’edizione critica curata da Gabriele Dotto e Roger Parker: tutti i tagli riaperti, nessuna scena assente, raddoppi, pertichini, tutto risponde all’appello; e in questa veste (e le opere del Belcanto, ancora attualmente, sono spesso sottoposte a vessatori colpi di forbice) Lucia di Lammermoor giganteggia nello splendore del capolavoro dell’opera romantica che effettivamente è, e di cui è pilastro irrinunciabile. Solo così se ne comprende davvero la grandezza musicale e drammaturgica. Allora, vorrei porre una legittima domanda, senza apparire per questo “circense” ma semplicemente appassionato di voci – su cui, e sui cui atletismi, perché no, il Teatro musicale si basa, lo ricordo -; d’accordo, è spuria e aggiunta nel 1889 per Nellie Melba, ma perché espungere la pirotecnica cadenza con il flauto (o ancora meglio glassharmonica, come giustamente impiegata dal Maestro Chailly)?
Fatti i conti è praticamente da sette generazioni che Lucia si ascolta così e così è entrata nel cuore degli spettatori; oltretutto questa cadenza è del tutto aderente sia teatralmente che psicologicamente alla situazione teatrale – specchio dello sdoppiamento allucinato di Lucia – soprattutto quando si dispone di un’interprete che potrebbe farne veicolo espressivo, come sarebbe stato in questo caso. Ritengo quindi personalmente (ma l’opinione era condivisa da molti in sala) che la scena della pazzia così risulti in un certo senso monca e si penalizzi non poco la protagonista, che, ribadisco, avrebbe come in questo caso tutte le carte in regola per eseguirla a regola d’arte. Rispettare la lettera di uno spartito significa secondo me incamerarne anche quel genere di tradizioni che questo spartito hanno contribuito a rendere immortale. Compiacere anche il pubblico non significa fare lo show, ma semplicemente rendere viva la musica.
Detto questo – questione di gusti, certo – il Maestro Chailly, alla guida dei complessi scaligeri, ha fornito una lettura musicale e interpretativa magistrale di Lucia, tra turgori romantici, vibranti abbandoni, ricerca di sfumature notturne e inquiete – tutta l’ultima scena di Edgardo, percorsa da dolorosi brividi cesellati in orchestra, era un capolavoro – tempi densi di appassionata, incalzante teatralità. Una bellissima Lucia, la sua, a cui è mancato solo il piccolissimo coraggio di “tradire” un poco per essere ancora più vera.
Lisette Oropesa ha dominato la serata nei panni della protagonista. Attrice coinvolgente e commovente, interprete espressiva e sopraffina, ha governato vocalmente ogni suo momento da autentica fuoriclasse; acuti, sovracuti, colorature, variazioni sciorinati con la sicurezza e la souplesse di una tecnica che non teme nessun ostacolo, dolce e straziata nei passaggi lirici, estraniata e quasi metafisica nel suo delirio; la scena della pazzia è stata un capo d’opera di vocalità sublime e interpretazione mozzafiato; per cui dispiace, sì dispiace, che il trionfo avrebbe potuto essere il doppio…
Juan Diego Flórez non possiede probabilmente né la “polpa” né il volume ideali per il ruolo di Edgardo, ma che canti benissimo, con tecnica inattaccabile, gusto delicatissimo e sfumato, risolutezza ancora inalterata nel registro acuto e sovracuto (di cui ha fatto sfoggio in gagliarde puntature, peraltro a lui concesse…) è innegabile e sarebbe disonesto negarlo. Se non è il Ravenswood dei sogni in assoluto, attenti che si fa ben presto a scivolare negli incubi, a furia di fare pulci ad artisti di questa levatura.
Brunito, pastoso e convincente, il vocalmente centrato Boris Pinkhasovich come Enrico, e splendido Michele Pertusi, artista sempre di intelligenza musicale superiore in ogni sua prova, che ha donato al suo Raimondo – restituito da tutti i tagli riaperti alla statura di protagonista al pari di soprano, tenore e baritono – il magnifico, umanissimo colore di una voce di basso timbrata, doviziosa di colori e accenti, autenticamente vibrante di verità, sempre.
Bene Leonardo Cortellazzi (Arturo). Completavano volenterosamente la locandina l’allieva dell’Accademia della Scala Valentina Pluzhnikova (Alisa) e Giorgio Misseri (Normanno).
Come di consueto di efficacissimo sbalzo sonoro la prova del Coro scaligero preparato da Alberto Malazzi.
Teatro esauritissimo e successo convinto e prolungato.
Nicola Salmoiraghi