ARENA DI VERONA: Nabucco 12 luglio 2017

ARENA DI VERONA: Nabucco 12 luglio 2017

  • 14/07/2017

NABUCCO

Dramma lirico in quattro parti. Libretto di Temistocle Solera

Musica di Giuseppe Verdi

NUOVO ALLESTIMENTO

 

 

Direttore: Jordi Bernàcer

Regia e costumi: Arnaud Bernard

 

  

Personaggi e interpreti:

  •  Nabucco: Leonardo López Linares
  • Ismaele: Mikheil Sheshaberidze
  • Zaccaria: Rafał Siwek
  • Abigaille: Rebeka Lokar
  • Fenena: Carmen Topciu
  • Gran Sacerdote di Belo: Romano Dal Zovo
  • Abdallo: Cristiano Olivieri
  • Anna: Madina Karbeli

Scene Alessandro Camera

Lighting designer Paolo Mazzon

ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA

Maestro del Coro Vito Lombardi

Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia


…di come Ismaele divenne magicamente Chénier

L’idea di una trasposizione temporale del Nabucco in epoca risorgimentale ha in sé un senso. Si pensi soltanto alla reazione dei milanesi già alla prima rappresentazione dell’opera alla Scala, i quali identificatisi nel popolo ebraico ivi descritto, misero in fuga le guardie austriache all’uscita del teatro. Ma fu molto meno di un tafferuglio. Bene dunque, potremmo dire, ma è un’operazione che comporta dei rischi, primo dei quali costituito dall’accuratezza di dettagli.

Ma andiamo avanti con ordine. La scena si apre intorno alla Scala di Milano, ove già sussistono le emblematiche barricate che furono teatro di scontri pressappoco sei anni dopo la presentazione del Nabucco. Vi insistono i milanesi supportati in qualche modo dall’esercito del Re di Sardegna. Di li a poco irromperanno gli austriaci a cavallo… Nabucco è dunque il generale Josef Radetsky? Si noti a questo punto che le Cinque Giornate di Milano portarono i milanesi alla vittoria grazie all’intervento tattico del Consiglio di Guerra il quale ordinò tra le altre cose che le strade venissero cosparse di vetri ed ogni sorta di detriti per impedire agli austriaci l’uso della cavalleria. Mossa che peraltro costrinse gli austriaci in ritirata all’interno delle mura del Castello Sforzesco, ma ecco che qui in questa kermesse, dove gli ebrei milanesi combattono Nabucco Radetsky anche la Scala diviene Castello. Ismaele, in perfetto stile giordaniano cade vittima del suo stesso popolo sparato dal Sacerdote di Belo. Ismaele, anch’egli milanesizzato e successivamente avvolto nella bandiera italiana, così come avviene per gli eroi caduti in guerra. Non piccolo il dettaglio della bandiera italiana, e non già come ci si aspetterebbe, quella del regno d’Italia! Giacché l’assenza del fregio Reale ci proietta in avanti nel tempo di almeno cento anni, ovvero all’avvento della Repubblica nel 1946. Altro dettaglio non da poco, l’esposizione d’uno striscione da parte del coro, all’uopo pubblico scaligero, riportante il noto motto rivoluzionario viva V.E.R.D.I. (acronimo di viva Vittorio Emanuele Re DItalia), che comparirà molto dopo le Cinque Giornate con la successione al trono del figlio di Re Carlo Alberto qui protagonista. E per non farci mancare niente, abbiamo anche la contaminazione da parte di un folto gruppo di calabresi, storicamente non presenti sulla scena, ma che furono loro malgrado ispiratori della rivolta meneghina. Non dunque l’intero costume alla Ernani, bensì il solo cappello venne indossato (in relazione con lo sciopero del tabacco) dai milanesi quale atto di sfida nei confronti dell’invasore! Vi è persino lo storico bis che però, contrariamente a quanto la tradizione milanese vorrebbe e qui riferito dalla regia, non fu per il va pensiero bensì per l’immenso Jeovah. Ultimo appunto va ad un’assenza di collimazione nell’epilogo tra la conversione di Nabucco e la cacciata dell’austriaco, incongruenza non di poco conto.

Regia dunque, quella di Arnaud Bernard, d’impatto emotivo alla quale seguono i costumi per mano dello stesso. Ottimi invece i movimenti scenici, del tutto credibili e in cui è facile riconoscere il singolo nonostante la presenza in scena delle masse.

Ciò detto, vanno comunque riconosciuti i meriti ad uno spettacolo che grazie anche alle bellissime scene curate da Alessandro Camera ed alle luci di Paolo Mazzon di notevole gusto, diverte e piace. Lo spettacolo funziona, ma allo stesso tempo viene lecito domandarsi perché lo Stato finanzi la Cultura quando della cultura ha ormai perso i tratti, ed abbia un atteggiamento ostracista nei confronti ad esempio del musical o dell’operetta, sebbene almeno in taluni casi, cultura lo sono davvero.

Resta da dire della difficile lettura dello “spettacolo nello spettacolo”, dove all’interno della Scala si rappresenta il Nabucco e all’esterno della stessa lo si vive attraverso gli eventi ed il relativo transfer sui personaggi “reali”.

Della direzione di Jordi Bernàcer possiamo dire che non va oltre la correttezza, laddove avremmo amato sentire un po’ più di Verdi attraverso quei colori che ne caratterizzano la natura. Penso ad esempio al “va pensiero” che qualcuno vorrebbe più intimistico e altri al pari d’una accesa rivolta popolare. A quest’ultima parrebbe orientata la regia, quindi perché non enfatizzarne i toni? Coro, insieme con il rispettivo Maestro Vito Lombardi e Orchestra dell’Arena come sempre semplicemente fantastici, e lo stesso dicasi dei tecnici impegnati nel movimento di una macchina scenica imponente e complessa.

Degli interpreti va detto che credo possa risultare difficile per un attore interpretare il ruolo del cavernicolo indossando abiti da astronauta e che quindi spesso le intenzioni sono risultate un tantino compromesse. Lo studio di un ruolo ne prevederebbe l’incarnazione, almeno nel caso in cui si voglia raggiungere quello stato di grazia in cui l’artista da’ il meglio di sé. Forse con più tempo a disposizione anche Zaccaria avrebbe potuto divenire capo dei rivoltosi, al pari di Carlo Gerard, o Nabucco il generale Radetsky, Ismaele il poeta Chénier e via discorrendo. Riescono bene i ruoli meno definiti e impegnati (e forse proprio per questo) quelli di fianco e mi riferisco a Romano dal Zovo nel Gran Sacerdote di Belo, a Cristiano Olivieri con Abdallo e a Madina Karbeli che oltre ad un’attorialità spiccata e versatile non perde occasione per dare ulteriore prova della notevole qualità vocale capace di emergere distintamente nei concertati e di farsi notare nei pur brevi interventi. Risalendo la scala per ordine di importanza, troviamo la Fenena interpretata dal mezzosoprano rumeno Carmen Topciu dalla timbrica a tratti sopranile e poco ispirata nell’aria “oh, dischiuso è il firmamento”, ma sostanzialmente corretta. Sempre nell’ambito del corretto potremmo dire anche di Rafat Siwek, basso impegnato nella parte di Zaccaria. Di Ismaele, il tenore Mikheil Sheshaberidze che ho trovato cresciuto e che malgrado un doloroso incidente in scena al ginocchio (del quale si è appreso solo a posteriori) ha mostrato la sua grande generosità portando avanti la recita con scioltezza. Del baritono Leonardo Lopez Linares, nulla da eccepire almeno in termini di correttezza, ma per nulla convincente nel personaggio. Di Rebeka Lokar, Abigaille, motivo primo della mia trasferta in quel di Verona c’è da dire di più. Il suo debutto areniano è stato sostanzialmente più che corretto, anche se quello che è stato un autentico miracolo nella recentissima Madama Butterfly non si è ripetuto qui, almeno non con quella stessa intensità tale da suscitare lo stesso stupore. La perfetta maturazione di un ruolo di cotanta grandezza ha certo bisogno di più prove, cosa che non è mai concessa al secondo cast. La fibra e le necessarie premesse perché possa arrivare alla reiterazione di un risultato tanto raro e di quel livello oserei dire di natura quasi mistica ci sono tutte. La personale attesa per la stagione prossima del Coccia di Novara in cui la risentiremo nel ruolo è che vedremo confermate tutte le aspettative che si ripongono in un’artista del suo calibro. “All’aperto si gioca a bocce” (Arturo Toscanini).

Conclusione: se mai verrà ancora il tempo in cui i veri protagonisti saranno la musica ed i suoi interpreti, e se in quel tempo rivedremo la regia svolgere la sua nobile funzione, allora in quel tempo potremo tornare a godere di quelle emozioni che tanto vorrebbero suscitare in noi proprio quelle regie che oggi le stanno negando.

 

 

 

 

Pubblico entusiasta come sempre avviene nello scenario areniano dove gli applausi a scena aperta si sprecano e ci si attarda su quelli finali. Qualche sporadica defezione in corso d’opera, ma amo pensare fossero turisti asburgici!

Roberto Cucchi

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