INTERVISTA A LEO NUCCI – a cura di Attilio Cantore

INTERVISTA A LEO NUCCI – a cura di Attilio Cantore

  • 22/12/2019

a cura di Attilio Cantore


Un nuovo e suggestivo allestimento de La bohème inaugura la Stagione 2019-2020 del Teatro Municipale di Piacenza (20-22 dicembre). L’appuntamento chiude splendidamente l’anno delle celebrazioni per il centenario della morte del librettista arquatese Luigi Illica. Nel solco del Progetto Opera Laboratorio, come ormai da tradizione si esibiscono sul palcoscenico piacentino giovani cantanti, autentiche promesse della lirica. A firmare la regia, il leggendario Leo Nucci, affiancato da Salvo Piro; con le scene di Carlo Centolavigna, i costumi di Artemio Cabassi e le luci di Claudio Schmid. Sotto la bacchetta di Aldo Sisillo, l’Orchestra Filarmonica Italiana, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati e le Voci Bianche del Coro Farnesiano Piacentino preparate da Mario Pigazzini. Lo spettacolo è in coproduzione con il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena e il Teatro Giovanni Battista Pergolesi di Jesi ed in collaborazione con l’Opéra de Marseille (info: teatripiacenza.it). Durante l’anteprima dell’opera, abbiamo incontrato il Maestro Leo Nucci nel foyer del teatro.

L’allestimento è calato in una poetica realtà francese ottocentesca, venata di eleganza appena caramellata e sognante. Si percepisce un vibrante amore per la città di Parigi.

«Io amo Parigi, amo la Francia. Si può dire che sono “mezzo francese”: io e mia moglie abbiamo una casa in Francia; è una nazione che porto nel cuore. Anche se la Parigi di un tempo non è più quella di oggi… Ad ogni modo, ho voluto trasmettere questo mio amore in questo allestimento de La bohème».

Subito una curiosità. Nel secondo quadro dell’opera inserisce un “personaggio” inedito: una piccola fisarmonicista, intrigante cameo che occhieggia forse a certe fragili figure femminili in cerca di sogni nel dissipato labirinto di affetti sciupati, à la manière de Édith Piaf.

«Sì, la fisarmonicista è una novità, che certamente guarda a quell’universo. Ho voluto che Musetta si immedesimasse in questa figura. Ma, a dirla tutta, Puccini qualche anno prima de La bohème aveva composto un Piccolo Valzer, dal cui tema deriva l’aria di Musetta. La piccola fisarmonicista suona, appunto, questo valzer, in un breve assolo».

E c’è anche un albero di Natale che campeggia al centro della scena.

«La sottolineatura del 24 dicembre (“la vigilia di Natale” cui si inneggia nel primo quadro) è costante. Allora mi è parso giusto inserire questo elemento decorativo. Ovvio, la tradizione dell’albero di Natale, come si sa, nasce in Germania: in Francia arriverà nel 1834 con Elena di Sassonia, quado andò in sposa a Luigi Filippo… lo stesso del quale si parla ne La bohème. Non ho voluto fare il cosiddetto “teatro vecchio”. Piuttosto, ho voluto fare della sana filologia».

Elementi di indiscussa genialità informano il libretto confezionato da Giacosa e Illica.

«Proprio oggi con mia moglie facevamo, per l’appunto, una riflessione sulla genialità di questo libretto: non dico sia superiore alla musica, ma indubbiamente è un testo letterario straordinario, che possiede una marcia in più rispetto a tanti altri libretti coevi».

Nella cerchia dei bohémiens, Schaunard è il musicista: qui a Piacenza interpretato dal giovane baritono Stefano Marchisio. Nel vestiario e nel trucco, rimanda senza dubbio a Giacomo Puccini. Delizioso omaggio…

«Il personaggio di Schaunard mi è particolarmente caro: ho interpretato il ruolo innumerevoli volte, insieme a quello di Marcello. Nel 1974, peraltro, ho avuto l’onore di conoscere il Maestro Tenaglia, archivista della Casa Ricordi, colui il quale aveva ottenuto direttamente da Puccini la firma per poter avallare le scritture: un tempo, infatti, senza l’autorizzazione del compositore i cantanti non potevano esibirsi. Tenaglia mi disse che Puccini voleva prima di tutti Schaunard. Quando è in scena – nel primo, nel secondo e nel quarto quadro – Schaunard guida musicalmente tutti gli altri: lui è il musicista; lui è Puccini stesso. Ecco perché l’ho voluto presentare in una “foggia pucciniana”, con cappello e baffi».

 

Chi non è mai stato in teatro quale insegnamento può innanzitutto trarre assistendo a uno spettacolo? 

«Essendo il teatro d’opera, nella sua meravigliosa “follia”, la forma di teatro più complessa e completa, insegna dei valori importantissimi: quelli delle varie arti. Infatti, qui noi abbiamo l’arte della musica colta (musica profonda, che scava dentro il sentimento della parola), l’arte del costume, l’arte della architettura. Ci sono mille fattori riuniti, che forse possono sembrare vaghi nel quotidiano vivere ma che venendo a teatro possono diventare patrimonio culturale personale e condiviso. Il teatro d’opera riguarda le problematiche sociali, le problematiche di costume, le problematiche storiche. È un accrescimento incredibile».

Il Teatro Municipale di Piacenza, realtà virtuosa che propone sempre mirabili allestimenti e che valorizza i giovani cantanti. Ne è esempio eclatante il Progetto Opera Laboratorio, che la vede protagonista. Quali sono i consigli che si sente di offrire a chi in questi anni, non sempre facili, muove i suoi primi passi nel mondo della lirica?

«Oggi è difficile fare carriera così come era difficile una volta, ma con difficoltà differenti. Ecco, una sola cosa che mi azzarderei a suggerire è questa… Non pensare che la carriera si faccia solo con l’agente: la carriera si fa sul palcoscenico, gratificata dagli applausi del pubblico. Ma per prendere gli applausi bisogna prepararsi. Il nostro mestiere impone una costante disciplina».

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