TEATRO ALLA SCALA: Il barbiere di Siviglia – Gioachino Rossini, 5 ottobre 2021
Il barbiere di Siviglia
opera buffa di Gioachino Rossini in due atti
su libretto di Cesare Sterbini
tratto dalla commedia omonima francese di Pierre Beaumarchais del 1775
Direttore Riccardo Chailly
Regia Leo Muscato
Personaggi e Interpreti:
- Conte di Almaviva Maxim Mironov
- Bartolo Marco Filippo Romano
- Rosina Svetlina Stoyanova
- Figaro Mattia Olivieri
- Basilio Nicola Ulivieri
- Fiorello Costantino Finucci
- Berta Lavinia Bini
- Ufficiale Costantino Finucci
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Nicole Kehrberger
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Milano, Teatro alla Scala, 5 ottobre 2021
Il Teatro alla Scala ha proseguito la sua stagione autunnale con una nuova produzione de Il Barbiere di Siviglia di Rossini, esauritissime tutte e sei le recite, nel limite dei numeri di spettatori concessi dall’emergenza Covid, regola che ci si augura possa essere allentata e in seguito eliminata assai presto.
Partiamo proprio dall’allestimento, firmato per la regia da Leo Muscato; uno spettacolo fresco, divertente, piacevolissimo da vedere, esteticamente accattivante, che se non cambia la storia interpretativa del capolavoro rossiniano, certamente ne offre un taglio visivo e teatrale di estrema gradevolezza.
Muscato immagina che l’intera vicenda si svolga dentro un Teatro e giri intorno alla musica (se ne parla e se ne “fa” molta all’interno del Barbiere); su un boccascena ad arco si apre un sipario verde che di volta in volta svela tutti gli ambienti, palcoscenico da entrambe le visuali, platea, camerini, sala trucco, sala prove, attrezzeria (scene, molto belle, di Federica Parolini); Figaro è il factotum – appunto – del teatro, direttore di scena, suggeritore in buca, macchinista, deus ex machina dell’intera vicenda, Almaviva è musicista, direttore d’orchestra e forse autore de L’inutil precauzione, il cui spartito gira di mano in mano ed è l’opera che si sta provando per portarla in scena, Rosina è la prima ballerina di un bizzarro corpo di ballo gender (la realtà e il suo doppio), istruito dalla sulfurea coreografa Berta, Bartolo è il bizzoso e taccagno impresario, Basilio l’insegnante di musica nonché “padre spirituale” della compagnia, Ambrogio l’addetto alle pulizie. Tutto molto divertente e a fuoco, l’incastro della commedia regge a meraviglia e fa felici, con vaporosa e sapiente leggerezza, gli occhi e l’intelligenza, grazie anche ai costumi, efficacissimi e che ci riportano a un’epoca non ben precisata che richiama il primo Novecento, di Silvia Aymonino, alle coreografie di Nicola Kehrberger (molto ben risolta la scena del temporale, quasi un turbine della coscienza della frastornata e confusa Rosina, che si immagina coinvolta nel vortice della danza dalle sue compagne/i) e alle luci adeguate di Alessandro Verazzi.
Non meno meriti vanno all’eccellente concertazione di Riccardo Chailly -, che ha eseguito l’opera nella più recente edizione critica curata, come già quella del 1969, da Alberto Zedda ed edita nel 2014 – sul podio dell’Orchestra scaligera in gran spolvero. Chailly ama Rossini e ne offre una lettura lucida, analitica, mai priva di tensione interiore e vibrante nervatura sonora; così la poetica dei “crescendo” si fa rapinosa ed elettrica e moltissime soluzioni sonore (il “ronzio” da alveare nella “Calunnia”, il malizioso ritmo danzante e colloquiale impresso al duetto Figaro-Rosina, la tinta ispanica stesa con delicatezza sulla Serenata di Almaviva) suonano affatto nuove e fascinose. Una visione interpretativa di altissimo livello e sempre avvolgente per il canto.
Canto che era offerto da una compagnia di interpreti credibilissimi sia scenicamente che vocalmente. Su tutti domina il Figaro mercuriale e mattatore di Mattia Olivieri; entra in scena e il pubblico è subito dalla sua. Interprete carismatico, voce di bellissimo timbro, ampia, sonora, sicurissima in acuto, vario e incisivo nell’accento, non una nota, una parola vanno sprecate. Ah bravo Figaro, bravo bravissimo, è il caso di dirlo!
Altrettanto maiuscola la prova di Marco Filippo Romano, eccezionale Bartolo, vero erede della tradizione dei buffi all’italiana. Scenicamente perfetto, è divertente senza essere sovraccarico, il canto sillabato è snocciolato con la precisione di un congegno ad orologeria (scandendo ogni parola oltretutto), una tecnica di ferro sostiene una vocalità sana e sbalzata. A sua volta conquista la platea e con mille ragioni.
Lodi anche a Nicola Ulivieri (Basilio), in grande forma, che ha il suo momento di gloria con una crepitante “Calunnia” ma è convincente e artista in ogni suo intervento, dove ha modo di far sfoggio della sua autorevolezza vocale.
Maxim Mironov (Almaviva) si conferma cantante di grande classe, eleganza e raffinatezza (il suo “Se il mio nome saper voi bramate” è stato un prezioso ed ammirevole cesello sonoro), nonché interprete di notevole fascino, che risolve anche gli ardui fuochi d’artificio del rondò finale “Cessa di più resistere”, giocando maggiormente sul gioco di vaporosi arabeschi vocali che non sull’insolente pirotecnia degli acuti.
Svetlina Stoyanova è una Rosina teatralmente deliziosa, che non possiede forse una voce onnipotente quanto a seduzione timbrica o incisività nel registro grave, ma la sa usare molto bene, con finezza nel porgere e gusto nelle variazioni.
Brava e “in parte” l’accattivante e combattiva Berta di Lavina Bini. Costantino Finucci ha completato con onore la locandina nel doppio ruolo di Fiorello e Ufficiale, mentre il Coro della Scala, preparato da Alberto Malazzi, ha tenuto alto il suo nome. Last but not least Paolo Spadaro Munitto, nei suoi significativi accompagnamenti al fortepiano.
Successo calorosissimo, con applausi scroscianti, alla terza replica.
Nicola Salmoiraghi
foto Brescia e Amisano