VERONA: La voix humaine – The telephone, 30 novembre 2021 a cura di Roberto Cucchi
dittico
LA VOIX HUMAINE
THE TELEPHONE
Direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta
Regia Federica Zagatti Wolf-Ferrari
Personaggi e Intepreti:
La Voix Humaine
- Elle Lavinia Bini
The Telephone
- Lucy Daniela Cappiello
- Ben Francesco Verna
Scene Maria Spiazzi
Costumi Lorena Marin
Luci Paolo Mazzon
ORCHESTRA DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese
Teatro Filarmonico di Verona 30 novembre 2021
Dall’invenzione di Antonio Meucci, il cui brevetto ne attribuisce la paternità a Graham Bell, il telefono è entrato di prepotenza nella quotidianità di ogni singolo individuo con l’intento di accorciare le distanze e il risultato ormai definitivo di renderle incolmabili.
Federica Zagatti Wolf-Ferrari porta sulla scena del Teatro Filarmonico di Verona un problema epocale che è entrato nella vita di tutti noi, quello generato dalla tecnologia delle comunicazioni. Galeotto il dittico La Voix Humaine – The Telephone (or L’Amour à trois), rispettivamente di Francis Poulenc su base letteraria di Jean Cocteau e, di Giancarlo Menotti autore di musiche e libretto. Il sipario si apre su una scena eloquente, quella ottima di Maria Spiazzi; in un mondo, o meglio sarebbe dire su di un mondo, troneggiano un letto matrimoniale tra due comodini, e uno specchio. Il telefono suona ed Elle, ottimamente interpretata nella vocalità come nella resa scenica dal soprano Lavinia Bini, risponde.
Sarà lui? No, è soltanto l’ennesimo errore della commutatrice (quelli che oggi chiameremmo operatori, e che il tempo ha poi sostituito con le macchine). Sul mondo si stende un cavo aggrovigliato che con lo scorrere del tempo diviene sempre più corto. Elle è sull’orlo del suicidio, la comunicazione finalmente stabilita è spesso interrotta per problemi tecnici, all’altro capo del telefono un uomo col quale la conversazione si svolge in un misto di bugie e frasi d’amore. La tensione sale. Il filo diviene più corto, sempre più corto, fino a portarsi via la cornetta e togliere alla protagonista la possibilità di rimediare. Il letto macchiato di sangue (fin dall’inizio della rappresentazione), l’uso smodato di farmaci, la scompostezza del ragionamento, la comunicazione interrotta, il cavo spezzato, il tutto lascia poco spazio ad interpretazioni diverse dalla tragica fine della protagonista.
Quel che ci arriva è il limite imposto dalla comunicazione a distanza, la voce filtrata dal mezzo tecnologico perde la sua umanità, il distacco è facilitato. Chiudere un rapporto è semplice come riagganciare il telefono.
Il cambio di scena avviene in pochissimi secondi durante i quali gli anni scorrono sul tabellone dei sovratitoli. Ad ogni decennio cambia lo stile del carattere, dall’art deco passando per lo psichedelico degli anni ’70, per il digitale degli ’80, il pixel dei ’90… sino ad arrivare al 2021. La tecnologia avanza rapidamente, più di quanto l’uomo stesso che la concepisce sia in grado di metabolizzare.
Ora sul mondo campeggiano solo scatoloni, acquisti on-line (il riferimento ad Amazon è piuttosto esplicito). Dallo spazio scende una jungla cavi interrotti (ivi compreso quello che reggeva il ricevitore de La Voix humaine) , siamo nell’era degli smartphone, questa. Ora Menotti ci appare quantomeno profetico. Lucy, il bravissimo soprano Daniela Cappiello, è un influencer o aspirante tale, o piuttosto una vittima come tante del consumo compulsivo, poco importa. Ben, l’altrettanto bravo baritono Francesco Verna, cerca inutilmente uno spazio per inserirsi tra un selfie ed una conversazione superficiale e l’ulteriore irrinunciabile chiamata, per dichiararsi alla sua amata. Il tempo stringe, Ben è in partenza ma riuscirà a comunicare con Lucy soltanto al cellulare una volta preso il treno.
Il contenuto tragicomico è ormai chiaro a tutti: lo strumento tecnologico che avrebbe dovuto e potuto avvicinare le persone le ha di fatto allontanate, generando negli anni diverse e gravi patologie. Le persone non vivono più nel mondo ma su di esso. Il contatto diretto, fisico per così dire, è stato sostituito da fugaci contatti continuamente interrotti che nulla hanno a che vedere con la comunicazione. Il rosso degli oggetti alla moda, offre la soluzione di continuità, il file rouge, tra la seconda opera, con il sangue che imbratta il letto della prima. La comunicazione, nel senso stretto del termine, dapprima compromessa nella Voix humaine, è definitivamente alienata in The telephone. Stare nel mondo, o starci sopra senza farne davvero parte?
I costumi Lorena Marin completano la narrazione in modo efficace, le luci di Paolo Mazzon sono molto ben dosate. La direzione dell’inappuntabile Orchestra della Fondazione Arena di Verona è affidata al polso sicuro e raffinato di Francesco Lanzillotta, un’esecuzione davvero perfetta.
Resta il problema annoso di un teatro bellissimo che offre spettacoli di sicuro interesse e di notevole livello ma che nelle nostre tornate abbiamo sempre trovato pressoché deserto. Questo, in una città che campa (per non dire vive, e vive bene) anche grazie all’indotto generato dall’Arena con i suoi spettacoli ed i suoi numeri da capogiro. Le energie messe in campo sono positive a quando la meritata risposta del pubblico?
Roberto Cucchi