GENOVA: La vedova allegra – Franz Lehár, 2 gennaio 2022 a cura di Silvia Campana
La vedova allegra
Teatro Carlo Felice, 2 gennaio 2022
Quando si sceglie di allestire un titolo tanto popolare ed amato quanto insidioso nella sua apparente semplicità come La Vedova allegra (Die Lustige Witwe) di Franz Lehár una delle problematiche principali che bisognerebbe affrontare è quale tipo di linguaggio scegliere per comunicare con il pubblico al quale la pièce si rivolge. Il genere musicale dell’operetta infatti, del quale la partitura di Lehár è titolo tra i più poliedrici e raffinati, vive di quel non semplice equilibrio, quasi una simbiosi, tra parola, canto e gestualità, senza il quale lo sbilanciamento del meccanismo teatrale si rivelerebbe immediato e, in alcuni casi, fatale alla buona riuscita dello spettacolo.
Nel caso del nuovo allestimento presentato a Genova dal Teatro Carlo Felice, si può felicemente sottolineare che la nuova produzione era sostenuta da un progetto artistico intelligente e funzionale che, nel presentare la nota partitura in modo diretto e coinvolgente per il pubblico, ne approfondiva le dinamiche teatrali anche mettendo in evidenzia i meccanismi scenici di uno dei palcoscenici italiani certo più completi sotto il profilo scenotecnico.
Il progetto parte dall’idea del regista Luca Micheletti (qui anche interprete quale Danilo) di riscrivere (fatte salve le arie della grande tradizione) il libretto, realizzando una nuova traduzione italiana e adattamento drammaturgico più adeguato al nostro sentire valendosi anche della collaborazione, per la versione ritmica, di Elisa Balbo (qui interprete di Hanna Glawari) e si pone come virtuoso e professionale esempio di vincente collaborazione artistica. È la passione per il teatro che si respira in questo spettacolo, una passione comunicata con giusta eleganza (questa operetta quasi la esige) attraverso un linguaggio misurato ma coinvolgente nella sua briosa leggerezza.
La regia impostata da Micheletti sfrutta al meglio le caratteristiche del palcoscenico genovese, non lesinando colpi di scena in una visione che sembra uscita dall’universo estetico evocato dai figurini di Erté: un banchetto intorno ad un tavolo rotante su cui troneggia un gigantesco lampadario di cristallo nel I Atto, l’arrivo di Hannah Glawari in mongolfiera nel II, culminante poi nella scena del “pavillon” con la presenza di una variopinta giostra (che mutua il mondo di Mary Poppins con il labirinto di specchi creato da Orson Welles ne La signora di Shangai in una metafora sullo sfaccettato e complesso, dietro l’apparente giocosità, universo femminile), per chiudersi nel III con uno Chez Maxim visto attraverso una duplice lente che alterna il palcoscenico al retropalco dove peraltro, con straniante intensità, si chiudono i giochi amorosi tra Danilo e Hanna e teatro e finzione giocano a rimpiattino, sulla scena e nella vita, in una vorticosa danza che diverte con sciolta brillantezza.
Un bell’impianto registico dunque che può trovare la sua efficacia in teatro solo se supportato da un cast che, nel particolare caso dell’operetta, deve contemplare artisti professionali, eclettici e completi. Luca Micheletti costruisce il suo Danilo in perfetta sinergia con il mondo da lui creato, attraverso una recitazione sorniona e raffinata che lo rende motore dello spettacolo, cui dona un’interpretazione vocalmente robusta e sfaccettata sostenuta da un fraseggio ed accento fluidi ed impeccabili. Al suo fianco Elisa Balbo tratteggia un’affascinante Hanna Glawari cui l’interessante vocalità dona elegante sobrietà e giusta partecipazione.
Misurati Francesca Benitez (Valenciennes) e Pietro Adaini (Camille de Rossillon) mentre Valter Schiavone (Njegus) e Filippo Morace (Barone Mirko Zeta) si mostravano eccellenti nel dialogare con i loro personaggio curandone ogni minima sfaccettatura. A posto il resto del cast: Claudio Ottino (Visconte de Cascada), Manuel Pierattelli (Raoul de St. Brioche), Giuseppe Palasciano (Kromow), Francesca Zaira Tripaldi (Olga), Luigi Maria Barilone (Bogdanowitsch), Kamelia Kader (Sylviane), Alessandro Busi (Pritschitsch), Letizia Bertoldi (Praskowia), Francesco Martucci (Maître Chez Maxim) e Federica Sardella (Zozo) a cui è necessario aggiungere le simpatiche Grisettes ed i danzatori.
Buono il Coro del teatro diretto da Francesco Aliberti. Alla guida dell’orchestra del Teatro Carlo Felice Asher Fisch trovava giusti colori e dinamiche pirotecniche per trasmettere questa variopinta partitura che non ha mancato di entusiasmare il pubblico che riempiva la sala in ogni ordine di posti. Una produzione senza alcun dubbio assai riuscita e che il teatro genovese dovrebbe, data la qualità e l’ottima risposta di pubblico (e di questi tempi!) replicare ogni anno durante le festività, facendone quasi un appuntamento fisso ed atteso.
Silvia Campana