VERONA: Carmen e Aida, 17 – 18 giugno 2022 a cura di Silvia Campana
CARMEN
di Georges Bizet
Direttore Marco Armiliato
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Personaggi e Interpreti:
- Carmen Clémentine Margaine
- Micaela Karen Gardeazabal
- Frasquita Daniela Cappiello
- Mercedes Sofia Koberidze
- Don José Brian Jagde
- Escamillo Luca Micheletti
- Dancairo Nicolò Ceriani
- Remendado Carlo Bosi
- Zuniga Gabriele Sagona
- Morales Biagio Pizzuti
Costumi Anna Anni
Coreografia El Camborio ripresa da Lucia Real
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Con la partecipazione straordinaria della Compañia Antonio Gades
Direttore Artistico Stella Arauzo
AIDA
di Giuseppe Verdi
Direttore Daniel Oren
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Personaggi e Interpreti:
- Aida Liudmyla Monastyrska
- Radamès Murat Karahan
- Ramfis Ferruccio Furlanetto
- Amonasro Roman Burdenko
- Uun messaggero Carlo Bosi
- Sacerdotessa Francesca Maionchi
Costumi Anna Anni
Coreografia Vladimir Vasiliev
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Arena, 17/18 giugno 2022
Sicuramente si percepiva una forte emozione, unita all’energia ed alla gioia di poter finalmente godere (dopo due stagioni volenterose nelle scelte ma soffocate da norme e convenzioni sanitarie) di una serata in cui al fascino dell’anfiteatro areniano si univa quello di un cartellone operistico dalla grande tradizione (il prossimo anno si festeggerà il centenario) nel corso della serata inaugurale della stagione 2022 dell’Arena di Verona.
Uno spettacolo certo trascinante, che il pubblico che gremiva gli spazi dell’anfiteatro contribuiva a potenziare con il suo entusiasmo ma la sensazione immediata (e spero per prima di sbagliarmi) che troppo poco sia cambiato nelle scelte artistiche del teatro era nettamente percepibile. La Fondazione sembra infatti aver chiaramente deciso di porsi quale punto di riferimento internazionale per il melodramma nella sua forma, mi si conceda il termine, più tradizionale e storica. Niente di male in tutto ciò, anzi, la decisione sembrerebbe precisa e coerente con un certo tipo di gusto e di utenza se non venisse a scontrarsi con ciò che un allestimento anche e soprattutto “nella tradizione” dovrebbe esigere. È ormai appurato infatti che punto di partenza per ogni compositore sia sempre e comunque stato il teatro con le sue mille dinamiche; è infatti il dramma e solo il dramma a donare significato e spazio alle emozioni descritte dalla musica ed è sempre il carattere dei personaggi e la loro relazione a renderlo credibile, carismatico ed in perenne e sempre nuovo mutamento ad ogni replica, senza tutto questo lo spettacolo d’opera rischierebbe di ridursi ad una pur affascinante “wunderkammer” di cui si ammira la preziosa varietà dei singoli pezzi, la passione mirabile del collezionista ma dalla quale, sarebbe sterile aspettarsi un omogeneo discorso unitario.
Indubbiamente il proposito di accostare un pubblico più diversificato alla conoscenza dello spettacolo operistico sembra il fulcro più nobile di questo orientamento che ad una selezione ricca e prestigiosa dei cast (ma come vedremo non sempre felice) unisce, per questa stagione, allestimenti quasi totalmente a firma zeffirelliana (a parte il Nabucco di Arnaud Bernard) viventi ormai quasi esclusivamente (le riprese registiche sono ancora approssimative e sofferenti forse per mancanza di prove) attraverso la maestosa (e datata) efficacia delle scenografie e dei costumi (per questa ripresa rinfrescate e disposte, come un tempo, anche sulle gradinate posteriori al palcoscenico) ed è troppo poco, soprattutto in Arena. In questo ambiente infatti, se si vuole riproporre la tradizione, bisognerebbe cercare di farlo sfruttando la spettacolare potenza narrativa di un palcoscenico sulle tavole del quale, nel corso degli anni, si è costruita con fatica un’immagine di melodramma popolare ed empatico, cui le scenografie facevano da maestosa cornice, ma il dipinto restava d’autore.
Fatto questo, lungo ma necessario cappello introduttivo, veniamo direttamente ai due spettacoli che hanno segnato l’apertura di questa impegnativa e ricca stagione.
A Carmen di GeorgesBizet nell’allestimento di Franco Zeffirelli datato 1995 è stato dato l’onore/onere della serata inaugurale.
L’impianto scenico complessivo si mantiene sempre molto spettacolare e affascinante ma la presenza di quel mondo parallelo, ricco di quadri animati da comparse che il regista fiorentino creava e concertava in sinergia con il fulcro drammatico dell’azione resta, nella sostanza, solo un ricordo.
Presenza sempre più preponderante in ogni ripresa di questa produzione è la danza, in questo caso affidata all’ottima Compañia Antonio Gades (direttore artistico Stella Arauzo) impegnati nella coreografia El Camborio ripresa da Lucia Real, alle coreografie veniva a mancare però una più stretta relazione con l’azione del dramma a cui spesso si sovrapponevano con logiche conseguenze acustiche non sempre felici. Un maggiore e più misurato coinvolgimento dell’aspetto tersicoreo sarebbe di tutto giovamento allo spettacolo e spero che durante le recite questo possa essere ulteriormente calibrato.
Considerata la qualità dei danzatori ed il forte gradimento del pubblico la loro presenza sembra inoltre porre alla Fondazione più di un interrogativo sull’annosa questione del corpo di ballo, che in Arena ha conosciuto un glorioso passato e che, oggi più che mai, risulta particolarmente amato.
Clémentine Margaine ha tratteggiato il personaggio della gitana attraverso una vocalità molto interessante che, soprattutto in alcune scene (“Chanson Bohème”), evidenziava morbidezza e rotondità, ma la forza del suo personaggio, ormai quasi iconico, è rimasta ai margini della sua interpretazione sostanzialmente corretta ma poco approfondita.
Brian Jadge quale Don José ha offerto una prova che è sembrata crescere con l’avanzare del dramma ed è risultato decisamente più a suo agio con l’aspetto più cupo e tormentato del personaggio cui il suo timbro naturalmente si adatta, nonostante l’emissione di forza abbia rischiato a tratti di fargli perdere quell’espressività che, volendo, gli apparterrebbe (“La fleur” ).
Positiva la prova di Karen Gardeazabal che con la sua interessante vocalità ha delineato una sensibile Micaela mentre Luca Micheletti tratteggiava attraverso la sua morbida timbrica un ottimo Escamillo, anche se forse eccessivamente guascone,
Molto bene Biagio Pizzuti quale Morales e Gabriele Sagona come Zuniga così come Nicoló Ceriani (Dancairo) e Carlo Bosi (Remendado) mentre un po’ più in difficoltà sono apparse Daniela Cappiello (Frasquita) e Sofia Koberidze (Mercedes).
Attento a mantenere una bella compattezza tra buca e palcoscenico, particolarmente complessa in questo particolare contesto, Marco Armiliato si è mosso con la matura professionalità che lo contraddistingue.
Sostanzialmente corretti il coro della Fondazione ed il coro di voci bianche A.LI.VE diretti da Ulisse Trabacchin e da Paolo Facincani.
Applausi ed ovazioni per tutti (interpreti e corpo di ballo) da parte di un pubblico realmente entusiasta e partecipe.
Per quanto riguarda la prima rappresentazione di Aida (allestimento Zeffirelli 2002) tradizionalmente scelta per completare il fine settimana inaugurale, le cose non sono andate come ci si poteva aspettare, almeno sotto il profilo strettamente musicale.
Il soprano Lyudmila Monastyrska non ha mostrato di possedere la maturità sufficiente per affrontare il suo personaggio che ha risolto sommariamente a causa di una linea vocale frammentaria in cui, senza andar alla ricerca di raffinatezze espressive, sono venute a mancare omogeneità timbrica e sicurezza nell’emissione oltre ad una dizione praticamente inesistente. Un peccato in quanto il timbro risulta di certo interesse.
Impegnato quale Radames anche il normalmente professionale Murat Karahan non ha mostrato la consueta precisione e la sua interpretazione si è dipanata priva di brillantezza e convincente musicalità.
Più solida la Amneris dipinta con sapiente mestiere da Ekaterina Semenchuk così come interessante per bella e rotonda vocalità si poneva l’interpretazione di Roman Burdenko quale Amonasro.
La classe di Ferruccio Furlanetto, impegnato quale Ramfis, impostava con nobiltà d’accento la sua interpretazione che restava però sostanzialmente priva di omogeneità timbrica.
Bene Sava Vemić ( il Re ), Carlo Bosi (Messaggero ) e Francesca Maionchi (Sacerdotessa ).
Impegnati nei movimenti coreografici di Vladimir Vassiliev i danzatori coordinati da Gaetano Petrosino: Ana Sofia Scheller, Fernando Montano e Ekaterina Olenik.
Daniel Oren dirigeva con provata professionalità l’orchestra della Fondazione in questa complessa serata.
È dunque evidente che in questa Aida qualcosa non ha funzionato, forse a causa di prove insufficienti che potrebbero motivare un esito così imbarazzante, certo possibile in teatro, ma che temo tradisca una criticità che spero trovi soluzione nel corso della stagione.
Comunque, applausi entusiastici per tutti gli interpreti a fine recita … dunque va bene così?
Silvia Campana