TEATRO ALLA SCALA: Andrea Chénier – Umberto Giordano, 11 maggio 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi
ANDREA CHÉNIER
Umberto Giordano
Dramma di ambiente storico in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica
Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Personaggi e Interpreti:
- Andrea Chénier Yusif Eyvazov
- Carlo Gérard Ambrogio Maestri
- Maddalena di Coigny Chiara Isotton
- La mulatta Bersi Francesca Di Sauro
- La contessa di Coigny Josè Maria Lo Monaco
- Madelon Elena Zilio
- Roucher Ruben Amoretti
- Fléville Sung-Hwan Damien Park
- Fouquier Tinville Adolfo Corrado
- Matthieu Giulio Mastrototaro
- Un incredibile Carlo Bosi
- L’abate Paolo Nevi
- Schmidt/Il maestro di casa Li Huanhong
- Dumas Emidio Guidotti
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Produzione Teatro alla Scala
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 11 maggio 2023
È sempre tempo di Andrea Chénier, nel senso che mai ci si stanca di ascoltare e riascoltare, vedere e rivedere questo popolare capolavoro di Umberto Giordano. Costruzione musicale abilissima e coinvolgente, arie e duetti da sempre restati tra i più amati del grande repertorio, vicenda drammatica da feuilleton storico che non manca mai di centrare il bersaglio… insomma, al di là dei consueti e triti sussulti snob, grande, anzi grandissima opera.
Alla Scala è tornata nell’allestimento che già inaugurò la Stagione 2017/18, con la regia di Mario Martone (ripresa da Federica Stefani), le scene di Margherita Palli, i costumi di Ursula Patzak, le luci di Pasquale Mari e le coreografie di Daniela Schiavone. Uno spettacolo bello, teatrale, agile, scorrevole – la piattaforma girevole che mostra di volta in volta le varie ambientazioni permetterebbe un’esecuzione senza interruzioni e di fatto c’è un unico intervallo – di impostazione classica ma di taglio non banale, in poche parole decisamente riuscito (al contrario della recente, cervellotica e “sbagliata” Fedora, sempre a firma di Martone).
Sul podio dell’Orchestra scaligera, Marco Armiliato ha assicurato solidità e professionismo a Chénier, padrone come pochi altri del repertorio, bilanciando con equilibrio il rapporto tra buca e palcoscenico; solo qualche tempo, in particolare durante le arie, si sarebbe desiderato meno lento.
Nel ruolo del titolo, come già nel 2017, Yusif Eyvazov; il tenore azero ha fatto in questi ultimi anni passi da gigante; se il timbro rimane di colore non fascinoso, ma comunque peculiare, l’interprete è in continua crescita; fraseggia, accenta, tinge la frase con varietà di intenzioni e dizione impeccabile; in più gli acuti sono spavaldi e sicurissimi, lo slancio nel canto impetuoso, l’espansione del suono di tutto riguardo. Insomma, bravo, senza riserve, e il ruolo del Poeta non è certo una passeggiata.
Chiara Isotton debuttava come Maddalena di Coigny ed ha ottenuto gli applausi più scroscianti della sera. Questo soprano, ormai lanciato verso una luminosa e meritata carriera internazionale, ha ancora una volta ribadito tutti i pregi ascrivibili alla più gloriosa scuola di canto italiana: voce di bellissima pasta, omogenea in tutta la gamma, con centri e gravi di vellutato splendore, acuti raggianti, pianissimi perfettamente appoggiati sul fiato, volume ragguardevole, intensa partecipazione emozionale, fraseggio vibrante e appassionato. Un’interpretazione maiuscola, culminata, oltre che nei trascinanti duetti con Eyvazov, con un’esecuzione magistrale de “La mamma morta” in cui non si sapeva se ammirare di più la bellezza del canto o la palpitante autenticità dell’artista.
Ambrogio Maestri (rientrato in produzione dopo le prime due recite cancellate per indisposizione in cui è stato sostituito da Luca Salsi) era Carlo Gérard. Di questo baritono si apprezzano sempre l’ampiezza del mezzo e l’autorevolezza del cantante. Probabilmente, come è umano per qualsiadi artista, la piena forma non era ancora ripresa e ciò si poteva intuire qua e là in talune incertezze di intonazione e nella laboriosità avvertita nelle salite in acuto. Raccolte le forze e concentrato ha dato il meglio in un “Nemico della patria”, affrontata con partecipazione e generosità vocale.
Nella numerosa schiera di secondi ruoli i migliori erano l’inossidabile, musicalissimo Incredibile di Carlo Bosi, il sonoro Fouquier Tinville di Adolfo Corrado, la veterana Elena Zilio quale Madelon (82 anni e un carisma scenico e vocale che ancora oggi molte più giovani le invidierebbero), la convincente Francesca Di Sauro (Bersi) e i bravi allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala, Sung-Hwan Damien Park (Pietro Fléville) e Li Huanghong (Schmidt/Il Maestro di Casa).
Un artista di cui ho assoluta stima come Giulio Mastrototaro, probabilmente in serata non felice come può capitare o alle prese con un ruolo che non è vocalmente “suo” come il sanculotto Mathieu, è parso non a fuoco come in altre occasioni; flebile la Contessa di Coigny di Josè Maria Lo Monaco. Completavano la locandina Rubén Amoretti (Roucher), Paolo Antonio Nevi (L’Abate) ed Emidio Guidotti (Dumas).
Eccellente come di consueto il Coro preparato da Alberto Malazzi; da annotare infine l’apporto del Corpo di ballo del Piermarini, diretto da Manuel Legris.
Teatro stracolmo e successo incandescente al termine.
Nicola Salmoiraghi