SASSARI: Pagliacci – Ruggero Leoncavallo, 7 luglio 2023 a cura di Loredana Atzei
PAGLIACCI
Dramma in un prologo e due atti
Libretto e musica di Ruggero Leoncavallo
Direttore Sergio Oliva
Regia Alberto Gazale
Personaggi e Interpreti:
- Nedda Angela Nisi
- Canio Luciano Ganci
- Tonio Marco Caria
- Peppe Murat Can Guvem
- Silvio Gabriele Nani
- Primo contadino Fabrizio Mangatia
- Secondo contadino Claudio Deledda
Scene Antonella Conte
Costumi Luisella Pintus
Disegno luci Tony Grandi
Fonica Alberto Erre
Orchestra e Corco dell’Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Coro delle Voci Bianche dell’Associazione Corale “Luigi Canepa”
Maestro del coro Antonio Costa
Maestro del coro delle voci bianche Salvatore Rizzu
Nuovo allestimento dell’Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Piazza d’Italia, 7 Luglio 2023
Il Teatro lirico di Sassari punta tutto sull’ultimo titolo della stagione estiva invitando i cittadini di Sassari a godere dell’Opera in Piazza d’Italia, e vince la scommessa due volte:
La prima volta con un pubblico che risponde in massa facendo registrare per “Pagliacci”, dramma in due atti di Ruggero Leoncavallo, il tutto esaurito ai botteghini a mezzora dall’apertura.
La seconda scommessa invece è vinta sul palco grazie ad una rappresentazione efficace, onesta, coinvolgente, da un Direttore di polso e ad un buon cast vocale.
Il palco è montato nel salotto cittadino a ridosso del Palazzo della Regione in stile neoclassico.
Più di 900 sedute sono disposte a formare una grande platea che si estende fino al monumento di Vittorio Emanuele II, oltre il quale le transenne limitano l’ingresso ma non la fruizione.
Lo spettacolo infatti è accessibile a tutti grazie al palco opportunamente rialzato che garantisce una visione nitida da ogni punto della Piazza, e all’amplificazione curata da Alberto Erre che propaga il suono e risolve i problemi legati all’acustica.
C’è chi si è portato le sedie da casa, chi è restato in piedi, chi se lo è goduto comodamente seduto ad uno dei tanti tavolini dei locali.
Da segnalare la grande presenza di giovani e bambini, incuriositi e affascinati da una serata diversa e dai tanti artisti che si muovono in platea: giocolieri, clown, mimi, figuranti sui trampoli.
Appena si superano le transenne inizia il gioco di specchi su cosa sia vero o falso, con il pubblico che entra a viva forza nel teatro e diventa parte di quel coro Greco che attonito assiste al dramma che si consuma all’interno della commedia.
E’ anche qui il fascino di quest’opera. Un insieme di meccanismi che porta sia il protagonista che il pubblico stesso ad interrogarsi dove finisca la finzione e inizi la realtà.
A guidare l’Orchestra dell’Ente Marialisa de Carolis la bacchetta sicura del M° Sergio Oliva che, con grande mestiere tiene salde le redini per ottenere l’equilibrio tra i musicisti, il coro diretto dal M° Antonio Costa, il coro delle voci bianche della corale Canepa diretto da Salvatore Rizzu, e i solisti.
Cosa non semplice considerato il luogo, l’ampio palco, gli spostamenti dei cantanti che vanno dal dietro le quinte fino allo scendere in platea.
Con la difficoltà per questi ultimi anche di seguire il gesto del Direttore e quindi gli attacchi.
D’altra parte se per Canio: “Il teatro e la vita non son la stessa cosa…” ugualmente il Teatro e la Piazza non son la stessa cosa e non possono essere trattati allo stesso modo.
Giudicare un’esecuzione o una voce in spazi che presentano criticità acustiche che devono essere risolte per forza di cose con amplificazione e microfoni è molto più complesso perché entrano in gioco tanti fattori che influiscono sulla resa vocale.
Il successo della serata non significa che è stata raggiunta la perfezione ma che si è riusciti a raggiungere una buona coordinazione tra tutte le parti in causa: cantanti, tecnici, Direzione orchestrale, cori, tanto da ottenere dei buoni risultati in termini di efficacia teatrale.
Pertanto non sono mancate le piccole defaillance o i contrattempi, come l’ambulanza passata all’inizio del secondo atto con Colombina pronta ad entrare in scena. In questo caso non si può non ammirare il grande sangue freddo del Direttore nel fermare tutto per consentire al suono della sirena di disperdersi.
Sono cose che succedono negli spettacoli dal vivo e che non hanno comunque pregiudicato una serata che ha incuriosito, divertito, e appassionato migliaia di spettatori, ma che è doveroso descrivere per comprendere bene ciò che è andato in scena.
Bello il preludio dove tutti i colori emergono dal riassunto dei temi portanti.
Dopo il piccolo scollamento, all’inizio, tra coro e orchestra tutto prende l’avvio in modo soddisfacente.
Applauditissimo l’intermezzo che riprende i cantabili del prologo. Un po’ di confusione invece alla ripresa del coro del secondo atto.
La scelta ricade sull’edizione critica di Giacomo Zani che differisce dalla prima edizione per alcuni dettagli.
Ad esempio la frase di Tonio del primo atto “So ben che lo scemo, contorto son io”, diventa “So ben che difforme, contorto son io” . ll recitativo di Nedda che viene cambiato da “Aspide ormai, ti sei svelato. Tonio lo scemo” a “Aspide va, paura non mi fai. Io t’ho compreso”. E per la mancanza nel recitativo tra Silvio e Nedda del termine “scemo” in direzione di Tonio che diventa dunque “Oh, Tonio il gobbo”, “Il gobbo è da temersi.”
Ma il cambiamento più evidente è nel finale che ci riporta alla prima esecuzione dell’opera diretta da un giovanissimo Toscanini, quando Victor Maurel, il baritono ingaggiato per il ruolo di Tonio, pretese in virtù della sua fama (era stato infatti il primo Jago nell’Otello di Verdi) di ampliare il suo ruolo con il “prologo” e soprattutto di concludere l’opera.
Il dibattito su chi debba effettivamente pronunciare la battuta è ancora vivo tra i melomani perché da questa scelta si determina il senso del finale.
Ma il fatto stesso che si senta risuonare il tema di Canio è già un’indicazione precisa sulla volontà dell’autore che peraltro nelle recite successive riconsegnò la battuta al tenore.
La regia di Alberto Gazale, baritono di fama e Direttore Artistico del lirico di Sassari, è tradizionale, conserva tutti gli elementi del libretto prendendosi però una licenza sul finale.
Una regia solida e senza invenzioni astruse, sostenuta dalle scene tradizionali di Antonella Conte, dai costumi colorati e vivaci di Luisella Pintus e valorizzata dalle luci di Tony Grandi, che consegna alla città un’opera dal sapore circense su cui aleggia una vaga atmosfera Felliniana.
Nel vedere arrivare in scena una Nedda con capelli biondi dallo sbarazzino taglio a caschetto il pensiero corre immediatamente a “La Strada”, storico film con Giulietta Masina e Anthony Quinn.
E il Canio di Luciano Ganci, che possente sfoggia il torso nudo con l’addome fasciato da una fusciacca rossa, ricorda lontanamente il forzuto Zampanò.
Ma è una somiglianza che si ferma alle apparenze.
Il suo è un Canio lineare, rabbioso, senza sfumature. Sin da subito. Anche nel suo annunciare lo spettacolo a 23 ore, c’è qualcosa di minaccioso. Si palesa istantaneamente come uomo violento animato da una rabbia a stento repressa. Lo si evince da come mastica, avvelenato dalla gelosia, la frase “Un tal gioco è meglio non giocarlo con me…” e dalle parole “Adoro la mia sposina” pronunciate a denti serrati mentre avvicina il suo volto a quello della donna. Il suo modo di porgersi fisicamente e di cantare non lascia margini di incertezza sul suo carattere, ne attenuanti al suo comportamento.
Ganci è dotato di un mezzo vocale considerevole che sfrutta al meglio scandendo la parola in modo esemplare, esibendo un canto omogeneo, una salita agli acuti facile e un gran controllo dei fiati di cui fa gran sfoggio nel registro alto.
Dal punto di vista interpretativo la scelta è quella di premere il pedale dell’acceleratore sulla aggressività dell’uomo già dall’inizio. Così quando si arriva al fatidico “Recitar mentre preso dal delirio…” abbiamo la sensazione che Canio pianga non perché straziato dal tradimento della donna che ama, ma per la sua incapacità ad accettare di perdere l’oggetto dei propri desideri. E’ chiaro che la sua è sete di possesso, non amore.
Angela Nisi tratteggia una Nedda spaventata dalla brutalità di Canio, ma desiderosa di vivere, di essere libera. E’ una giovane ragazza che arde come il sole estivo. Il concetto è ben espresso dal canto “Stridono lassù…”. I suoi pregi sono soprattutto nella proiezione del suono e negli acuti pieni e lunghi. I trilli che precedono la ballatella, così come gli armonici, sono probabilmente appiattiti dal microfono e quindi la resa, ad un orecchio inesperto, potrebbe sembrare più piatta di quanto non sia realmente. Sbarazzina e cinica nel respingere le profferte amorose di Tonio, sensuale e amorosa nell’incontro con Silvio, simpatica e divertente nel ruolo di Colombina nella prima parte della Commedia sviluppa poi bene, con espressivi accenti drammatici, tutta la parte del tragico finale.
Tonio ha la voce vellutata, profonda e ricca di sfumature di Marco Caria. Esegue un prologo caratterizzato da una bella linea di canto e dipinge con bellezza lirica la sua dichiarazione d’amore a Nedda. Convincente nelle sue manifestazioni di ira e meschinamente viscido nel portare a termine la sua vendetta. Ma anche molto simpatico nel ruolo di Taddeo, capace di sfruttare la balbuzie musicale in modo comico e strappare una risatina quando alla domanda di Colombina: “E Pagliaccio è partito?” Risponde: “Egli partì!” Accompagnando la risposta con un fischio e il gesto inequivocabile del braccio ad indicare una direzione ben precisa.
Una tipica boutade da teatro dell’arte che ottiene l’effetto desiderato.
Silvio, il campagnolo giovane amante di Nedda, è interpretato dal baritono Gabriele Nani. Voce corposa e dal bel timbro. Si districa bene scenicamente e con Nedda si esibisce in un seducente duetto d’amore, tuttavia ci sono alcuni momenti in cui l’intonazione viene meno. Potrebbe trattarsi di una giornata no, oppure la prestazione è stata inficiata da un ritorno audio non ottimale.
Bene il divertente Arlecchino del tenore Murat Can Guvem che intona una gradevole serenata conclusa con l’acuto, e si esibisce con grande musicalità nel duetto con Colombina .
Corretti vocalmente e ben delineati scenicamente il primo e il secondo contadino Fabrizio Mangatia e Claudio Deledda.
Non resta che descrivere l’atteso finale con Colombina che apparecchia la tavola così come Tonio, da par suo, ha apparecchiato la vendetta.
Quando entra in scena Canio, nelle vesti di Pagliaccio, schiumante di rabbia e disperazione, Tonio osserva tutto con malcelato divertimento e al momento giusto allunga il coltello a Canio istigandolo all’omicidio.
Eccola qui la licenza registica. Secondo il libretto Canio fa tutto da solo e prende il coltello dal tavolo. In questo modo invece il ruolo di Tonio risulta ancora più infido. Le luci diventano rosse come il sangue che macchia le mani di Canio. Nedda e Silvio giacciono a terra morti.
Il Pubblico sgomento è irrigidito dall’orrore. In sottofondo i timpani incalzano. Tonio avanza verso il proscenio. Non è più Tonio lo scemo. E a ben vedere non lo è mai stato. Ha avuto la sua rivalsa sulla donna che lo ha respinto.
Si toglie la ridicola parrucca arancione e pronuncia la fatidica frase accompagnandola con una risata beffarda che non fa altro che sottolineare l’orrore “La commedia è finita!”, strappando così la scena a Canio, nell’opera… e nella vita stessa.
Loredana Atzei