PARMA: Festival Verdi 2023 a cura di Silvia Campana

PARMA: Festival Verdi 2023 a cura di Silvia Campana

  • 19/10/2023

Festival Verdi 2023

 

 

Parma, 27 settembre/1ottobre/15 ottobre


Si è felicemente concluso a Parma il Festival Verdi 2023 che ha presentato, in un programma molto eclettico e diversificato, quattro nuove produzioni operistiche (due delle quali ospitate in piccoli gioielli della nostra architettura teatrale quali il Teatro Magnani di Fidenza ed il Teatro Verdi di Busseto) una Messa da Requiem, alcuni concerti e gala insieme ad una serie di piccole e grandi attività aventi come obiettivo l’avvicinamento del Festival alla città.

In questa sede affronterò le produzioni de I Lombardi alla prima crociata, Il Trovatore ed il concerto Fuoco di gioia.


photo@Roberto Ricci

La produzione della quarta opera verdiana firmata Pierluigi Pizzi sembra, nonostante le apparenze, decisamente discostarsi dal concetto di rassicurante confezione patinata in quanto, pur inserita all’interno di raffinate proiezioni (elemento ormai imprescindibile in ogni allestimento teatrale per la rapidità e l’efficacia delle soluzioni offerte) sembra spostare l’attenzione e la riflessione ad altro quale nucleo centrale della narrazione.

In questa produzione infatti è la partitura ad essere protagonista e la musica viene indicata come messaggio coesivo ed universale.

photo@Roberto Ricci

Così in quest’opera eclettica dove sono molti e diversificati i punti di attenzione (solisti, violino, coro, banda) l’attenzione viene dedicata ad una lettura tanto intima quanto sofisticata (all’assolo del violino viene schiusa la ribalta) che, mettendo in evidenza i cardini centrali di un testo che purtroppo non abbandona la sua contemporaneità (oggi poi lacerante), ne isola le tensioni (molto efficace la battaglia profilata in silhouette) e ne sviluppa un messaggio di estrema potenza espressiva.

Da sensibile ed intelligente uomo di teatro Pizzi riesce dunque ad omogeneizzare la frammentazione del testo di Solera, grazie ad immagini in negativo di impianto tanto didascalico (S. Ambrogio) quanto evocativo (la Croce), concentrando l’attenzione scenica sul significato più profondo dell’opera, che la musica così ben dipinge, riuscendo a sviluppare un messaggio intenso e coinvolgente che, scevro da sterili narcisismi, colpisce direttamente il cuore.

Complessivamente di buon livello il cast impegnato in palcoscenico.

photo@Roberto Ricci

Lidia Fridman risolve la parte di Giselda (che definire proibitiva appare un eufemismo) con esito sostanzialmente alterno.

L’artista, grazie al timbro molto particolare ed intenso, riesce a cesellare il personaggio attraverso un’espressività morbida ed efficace specie nella seconda parte dell’opera (Atto III e IV): se infatti nella chiusa del II Atto (specie la cabaletta) la vocalità non è sembrata perfettamente a suo agio (acuti stirati e troppo sommariamente sfogati) è altrettanto vero che nella complessiva caratterizzazione del personaggio l’interprete sfoggi un indubbio fascino ed una  potente teatralità, riuscendo ad impostare una caratterizzazione che, pur con non poche zone d’ombra, risulta, esaminata nel suo complesso, sostanzialmente convincente.

photo@Roberto Ricci

Il Pagano tratteggiato da Michele Pertusi vive di un delicato equilibrio che, attraverso un fraseggio sempre mirabile, rende palpabile il suo tormentato percorso interiore: sempre attentamente concentrato sulla parola, il suo personaggio risulta dunque perfettamente focalizzato sulla sua complessa vicenda che, dall’odio più efferato, lo porta alla ricerca di una dimensione altra e più elevata. Lontano da ogni compiacimento Pertusi resta altresì sempre all’interno dell’ordito interpretativo ben definendone i contorni con attenta e tagliente efficacia.

L’Oronte di Antonio Poli ha mostrato una vigorosa ed assai interessante vocalità. Contraddistinto da un timbro lirico dall’indubbio smalto l’artista si è disimpegnato con onore nella sua parte mostrando solo nel registro acuto a tratti una certa difficoltà a mantenere omogeneità nel colore e conseguente rotondità.

photo@Roberto Ricci

Molto bene Antonio Corianò impegnato a definire il personaggio di Arvino e Giulia Mazzola quale Viclinda.

Completavano il cast: Luca Dall’Amico (Pirro), Lorenzo Mazzucchelli (Acciano), Zizhao Chen (Priore) e Galina Ovchinnikova allievi dell’Accademia Verdiana.

Sensibile e raffinata Mihaela Costea al violino.

photo@Roberto Ricci

Bene il Coro del Teatro Regio guidato da Martino Faggiani.

Francesco Lanzillotta, attraverso una lettura sapiente, guidava al meglio la Filarmonica Toscanini, Orchestra giovanile della Via Emilia riuscendo a donare giusta risonanza espressiva ai differenti colori di questa complessa e multiforme partitura.

photo@Roberto Ricci

Grande successo di pubblico per tutti gli interpreti ed il Direttore.


L’impianto tecnico e quello ideologico si sposano nell’allestimento studiato da Davide Livermore per questo Trovatore che segna anche il suo debutto al Regio di Parma.

photo@Roberto Ricci

Com’è infatti sua consuetudine il regista torinese decide di costruire un impianto scenico atto a coinvolgere quanto a stordire un po’ lo spettatore con l’intento di veicolare un profondo messaggio ideologico o, forse, fare solo spettacolo di qualità.

Questi due aspetti si sposano infatti frequentemente nel lavoro che Livermore porta avanti con sempre curata professionalità ed autentica passione ma dove, e spesso in questi ultimi anni rispetto alle passate produzioni, risulta difficile dividere il linguaggio prettamente drammaturgico da quello estetico, anche se forse l’intento è proprio questo.

photo@Roberto Ricci

Come sempre gestito attraverso un’accurata rete di raffinati partner ‘tecnologici’ (video D-Work, scene Giò Forma, costumi Anna Verde e luci Antonio Castro) l’impianto da lui creato vuole raccontarci un Trovatore degli ultimi (concetto non nuovo) che vive in una sub società (ahimè molto attuale) dove zingari e personaggi dalla dubbia identità hanno il loro regno. Sofisticato e visionario il mondo presentato ai nostri occhi sembra però conoscere assai poco la miseria di quella condizione ed appare piuttosto finalizzato a realizzare quadri dalla immaginifica e ricercata intensità estetica con il rischio di contraddire, a tratti, il concetto di fondo. L’idea di base (un mondo di fuoco e cenere perenne dove si viene a camminare quasi su braci) del regista conoscerebbe infatti una sua potente intensità e perfettamente andrebbe a combaciare con la chiave drammaturgica verdiana ma troppo spesso sembra trasudare una sorta di compiacimento che rischia di comprometterne l’efficacia tutta teatrale.

Un po’ discontinuo il rendimento del cast scelto per questa nuova produzione.

photo@Roberto Ricci

Senza andare alla ricerca per il personaggio di Manrico di particolari sonorità o accenti di antico sapore, di certo per affrontare questo celebre ruolo (quasi archetipico) non basta una vocalità interessante o corretta da parte dell’interprete ma ci vorrebbe un timbro che o per colore o per accento o per particolare sensibilità espressiva gli permetta di assumere totale centralità drammatica. Ora Riccardo Massi è un professionista attento, canta con misura e sostanziale correttezza (anche se musicalmente non sempre si mostra preciso) ed il suo ritratto del personaggio non conosce particolari o gravi pecche tecniche ma risulta altresì monocorde e privo di una precisa intensità o, per dirla verdianamente, tinta. Una mancanza di definizione espressiva può risultare per certi caratteri teatrali, e Manrico è uno di questi, più grave di una carenza tecnica e la mancanza di un giusto accento può far naufragare spesso la migliore delle intenzioni.

photo@Roberto Ricci

Francesca Dotto conosce certo una sua maturità espressiva e contribuisce a tratteggiare il suo personaggio con una disinvolta teatralità ma sembra restare anch’essa ai margini di un carattere che risolve (con qualche problema nelle agilità e rigidezze nel registro acuto) in modo troppo monocorde.

Impegnato a sostituire il previsto Franco Vassallo anche Giovanni Meoni non è risultato complessivamente convincente quale Conte di Luna.

photo@Roberto Ricci

Per l’Azucena di Clementine Margaine il discorso è invece completamente differente.

La caratterizzazione che l’artista costruisce intorno al suo complesso personaggio si basa su una vocalità molto interessante e potente che, ad onta di qualche fissità, dona un ritratto della zingara, se non di intensa introspezione, certo di potente drammaticità.

Attentamente cesellato è apparso anche il Ferrando di Roberto Tagliavini.

Bene il Ruiz di Didier Pieri.

Completavano il cast la Ines di Carmen Lopez (allieva dell’Accademia Verdiana), Enrico Picinni Leopardi (un messo) e Sandro Pucci (un vecchio zingaro).

photo@Roberto Ricci

Francesco Ivan Ciampa sembrava condividere il mood dello spettacolo dando una lettura corretta della partitura ma senza offrirne particolari scorci espressivi.

Gran successo di pubblico ed applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore.


La serata dedicata al concerto Fuoco di gioia, giunto alla sua undicesima edizione ed organizzato come sempre dal celebre Club dei 27, ha mostrato con tutta semplicità quanto i cosiddetti ‘concertoni’ possano oggi come ieri, se organizzati con cura, conoscere una loro profonda qualità.

photo@Roberto Ricci

Organizzato a scopo benefico a favore dell’ABC Associazione bambino cardiopatico ODV di Parma anche quest’anno il concerto, svoltosi in un teatro Regio gremito in ogni ordine di posti, ha offerto al pubblico una rosa di artisti molto varia in amichevole partecipazione oltre alla Filarmonica di Parma diretta da Donato Renzetti, della Corale Giuseppe Verdi di Parma diretta da Claudio Cirelli e, per la prima volta, del Coro di voci bianche della Corale Verdi diretta da Niccolò Paganini.

Guidati dall’abile e fluente parlantina di Paolo Zoppi si è dato così inizio alla festa, perché di questo si è sostanzialmente trattato, ed a completare la serata ha avuto luogo la consegna del cavalierato di Verdi (riconoscimento che gode di ottima salute e viene conferito dal Club dei 27 dal 1975 a persone che nella loro vita o attività hanno onorato e diffuso in tutto il mondo il nome e le opere del Maestro)  al baritono Luca Salsi.

photo@Roberto Ricci

Bisogna infatti dire che la consuetudine di questi concerti, pur assai difficili da organizzare ed impegnativi per solisti ed orchestra, offre al pubblico l’occasione di ascoltare con maggiore concentrazione alcuni grandi artisti e questi ultimi possono affrontare grandi pagine del repertorio per approfondirne alcune sfumature, magari a volte trascurate a scapito della resa totale di un particolare personaggio.

Molti gli illustri ospiti impegnati in questa festa a della musica (Luca Salsi, Michele Pertusi, Anna Pirozzi, Giulio Pelligra, Veronica Simeoni e la debuttante Vittoriana De Amicis) e molti i brani eseguiti, da quelli più celebrati dalla tradizione ad altri meno facilmente eseguiti in concerto.

photo@Roberto Ricci

Da segnalare in particolare la bella esibizione della De Amicis che ha esibito una vocalità sopranile di estremo interesse e dalla tecnica rilevante.

La riuscitissima serata ha goduto di un grande successo da parte del pubblico che ha premiato gli interpreti con il suo entusiasmo.

photo@Roberto Ricci

Qualche considerazione finale: indubbiamente la tradizione e la responsabilità del Festival

sono grandi e sarebbe importante che questo diventasse sempre di più un appuntamento di studio e riflessione magari con proposte diverse (come il Falstaff di quest’anno per esempio) che possano mantenere aperta non tanto la popolarità della produzione di Verdi (non ne ha certo bisogno) quanto l’approfondimento dei molto aspetti che ne hanno influenzato l’opera e che lo mantengono ancora oggi attuale e stimolante. Questo sarebbe davvero un virtuoso passo in avanti.

Silvia Campana

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