VERONA: Tosca – 2 e 30 agosto, i cast a confronto a cura di Silvia Campana

VERONA: Tosca – 2 e 30 agosto, i cast a confronto a cura di Silvia Campana

  • 06/09/2024

Arena di Verona, 2/30 agosto


photo©Ennevi

Quest’anno l’ormai celebre allestimento di Tosca creato da Hugo De Ana nel 2006 per gli spazi areniani accoglieva due cast di assoluto rilievo internazionale.

Anna Netrebko è un’artista che ad ogni sua interpretazione lascia il segno e da cui si pretende sempre un’assoluta perfezione. Il suo pubblico è infatti ormai abituato ad elevati livelli esecutivi ed anche in questo debutto nel ruolo in Arena (nonostante una temperatura da girone infernale dantesco) l’artista non ha deluso le aspettative, ritagliando un profilo della protagonista decisamente inedito.

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Impulsività, gelosia e vendetta sono gli istinti che guidano le azioni della sua Tosca. Tanto avventata e passionale quanto pronta ad ogni sacrificio, essa vive di prodigiosi fiati (“Vissi d’arte”) che sostengono un’interpretazione che, ad onta di qualche affaticamento, si conferma complessa ed in costante sinergia con lo svolgimento del dramma, lasciando spazio all’immagine di una donna annientata dalla violenza del suo gesto (fine II Atto) dove l’irruenza, giungendo repentina e violenta, ne soffoca la ragione; dopo decenni di interpretazioni di granitica (ed anche ottima) fattura, prendiamo dunque finalmente coscienza della sensibilità di questa donna, spesso tacitata dal suo forte temperamento, che la porta ad esitazioni, sospetti, sbagli.

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Lo Scarpia di Luca Salsi agisce in simbiosi con lei, che da tempo ben conosce nei suoi eccessi e fragilità, al punto quasi di scoprirsi, sempre sicurissimo del suo potere, mai temendo una possibile reazione da parte sua dalla quale è certo, ben giocando le sue carte, di ottenere ciò che vuole.  La vocalità poi, dall’accento sempre crudele e derisorio, si muove all’unisono con l’interpretazione in un gioco sempre oscillante tra ferocia e sarcasmo, determinando una miscela dalla potente drammaticità espressiva.

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Yusif Eyvazov affronta il personaggio di Mario Cavaradossi piegando al meglio la sua peculiare timbrica, donandogli tutte le sfumature che un intelligente uso di fraseggio ed accento può contribuire a costruire.

Affatto differente invece il taglio dato dal secondo prestigioso cast impegnato.

Ad Elena Stikhina certo non difettano le doti tecniche e vocali (si mostra infatti perfettamente a suo agio con la scrittura pucciniana) ma, sotto un profilo prettamente interpretativo, non riesce a spingersi al di là di una corretta e professionale lettura, restando ai margini di questo complesso carattere femminile che necessita sempre di una sua precisa chiave interpretativa.

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Impostato su di una vocalità sempre morbida e ben misurata lo Scarpia di Ludovic Tézier definisce un ritratto del personaggio quasi ferino in cui sembra prevalere una caratterizzazione dal sapore vagamente verista che, pur di grande effetto, rischia di non valorizzare pienamente questo carattere, certamente il più centrale e attentamente descritto dell’opera.

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Attesissimo, come ormai sempre in ogni sua apparizione, Jonas Kaufmann indossava per la prima volta in Arena i panni di Mario Cavaradossi e la sua interpretazione non ha deluso le aspettative del pubblico, grazie soprattutto all’estrema misura teatrale con la quale egli ha dipinto (il termine è più che appropriato) il personaggio.

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La sua vocalità, pur un po’ velata nel registro centrale, si è espansa appieno cesellando ogni singolo accento nel corso del dramma e, attraverso un mobile gioco espressivo tra fraseggio e cromatismi, ha contribuito ad una definizione interpretativa intensa e raffinata confermandosi interprete dall’indubbio talento teatrale.

A posto Giulio Mastrototaro (Un sagrestano), Gabriele Sagona (Angelotti), Carlo Bosi (feroce Spoletta) e Nicolò Ceriani (Sciarrone).

Completavano il cast Carlo Striuli (Un carceriere) ed Erika Zaha (Un pastorello).

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Bene come di consueto il coro della Fondazione e quello di voci bianche A.Li.Ve. rispettivamente diretti da Roberto Gabbiani e Paolo Facincani.

Daniel Oren alla guida dell’orchestra della Fondazione Arena indugiava a tratti in tempi un po’ troppo meditati ma nel suo complesso dava spazio ad una chiave di lettura approfondita e mai banale.

Silvia Campana

 

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