Anna Bolena a Roma: una vittoria della Musica che suggerisce la via per una necessaria Donizetti Renaissance

Anna Bolena a Roma: una vittoria della Musica che suggerisce la via per una necessaria Donizetti Renaissance

  • 14/03/2019

Anna Bolena
Musica Gaetano Donizetti

Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani

Prima rappresentazione
Milano, Teatro Carcano, 26 dicembre 1830

 

DIRETTORE Riccardo Frizza
REGIA Andrea De Rosa

Personaggi e Interpreti principali:

  • Enrico VIII Alex Esposito 
  • Anna Bolena Maria Agresta 
  • Giovanna Seymour Carmela Remigio
  • Riccardo Percy René Barbera
  • Smeton Martina Belli
  • Sir Hervey Nicola Pamio
  • Lord Rochefort Andrii Ganchuk *

* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Luigi Ferrigno da un’idea di Sergio Tramonti
COSTUMI Ursula Patzak
LUCI Enrico Bagnoli

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento
In coproduzione con Lithuanian National Opera and Ballet Theatre

a cura di Antonio Cesare Smaldone


A nostro avviso le Recite pomeridiane hanno sempre un fascino particolare, figlio sereno di quel naturale abbandono al “piacevole diletto” che nasce tipicamente di domenica e che contribuisce a concludere lietamente la settimana, salvo poi rinnegare il “piacevole diletto” stesso quando la mensa ben apparecchiata riserva disordini nel servizio che mal valorizzano le sontuose pietanze. Lo spirito che ci ha accompagnato qualche giorno fa nella discesa romana per la Terza Recita di “Anna Bolena” (Tragedia lirica in due Atti di Felice Romani per le musiche di Gaetano Donizetti) è stato proprio quello di recarci a convivio, serenamente invitati dalla potenziale bontà della Compagnia di Canto e, non di meno, dalla gustosa prelibatezza che è stata la scelta di mettere in Scena in maniera integrale uno dei capolavori donizettiani.

Come in premessa, sicuramente ciò che ci resta di questo pomeriggio romano è la bontà delle intenzioni in linea generale in distonia con la completezza della realizzazione: se sotto il profilo musicale non si può trovare appunto alla ottima e coscienziosa Direzione Musicale di Riccardo Frizza (altrettanto si faticherebbe a cercare punti deboli nella Compagnia di Canto), la resa registica (seppur il progetto abbia un forte senso compiuto e percepibile in maniera ideale) risulta spesso lasciata più al subitaneo talento teatrale degli artisti in scena che allo svolgimento fisico di un canovaccio ben congegnato. E così la mensa risulta ricca e succulenta ma, a volte, le portate quasi sono invertite. In operazioni di resa filologica come questa è davvero difficile poter comprendere come, a dispetto di uno sforzo musicale di primo livello, non si abbia avuto modo di chiarire, spesso e volentieri, la rispondenza attoriale con quanto il disegno drammaturgico spiega… esempio banale: se due persone si stanno parlando, normalmente si guardano… parlarsi a distanza di un paio di piani di una torre, e specialmente di certi argomenti recati all’interlocutore in confidenza, è quantomeno surreale (sempre che non avessero già a disposizione all’epoca primitive forme di cuffie bluetooth).

Il progetto registico di Andrea De Rosa è ricco di ottimi spunti e di intense suggestioni; questo trova la sua connotazione in un sistema di Scene molto imponenti (Luigi Ferrigno da un’idea di Sergio Tramonti), dal condivisibile tetro incombere, che ci presenta costantemente una struttura “a scatole” (in realtà “a gabbie”) che, su diversi piani, incastrano in spazi sempre più angusti sia la scena in senso generale che, al suo interno, i tre elementi topici individuati dal regista. Un “albero secco” è il primo di questi elementi che ritroviamo ad aprire la narrazione drammaturgica; molte sono le simbologie idealmente applicabili all’interpretazione di questa scelta, quella che preferiamo associarvi è senza dubbio la rispondenza iconografica (fortemente legata anche al periodo storico della vicenda che si narra) con “La Vergine dell’Albero secco” di Petrus Christus ove il fiammingo incornicia la Vergine nel noto “albero della conoscenza”, ormai scarno e senza ratio a seguito della profanazione mortale. Un “letto bianco di morte” più che di virgineo fulgore è il secondo elemento che, dopo la prima parte della vicenda, spiega benissimo la fase successiva, garantendo uno scontro diretto tra Enrico VIII e la sua consorte che può così andare oltre all’invettiva plausibile e verosimile, unificandosi nell’appiglio disperato dell’una alla gabbia dorata del talamo e nei colpi alla stessa inferti dal sovrano senza però mai arrivare a toccare la regina. La tristemente nota “Torre” è il terzo elemento, il più chiaro per simbologia e il più controverso per la gestione dello spazio.  Se il significato è palese, la gestione degli incastri tra le parti in causa risente spesso di una poca chiarezza di azioni e rispondenze… peccato, anche perché il punto è nodale.  Signora indiscussa del pomeriggio è la Musica, a cominciare dalla possibilità offerta grazie alla scelta del Direttore Musicale di Ascoltare nei due ruoli femminili principali la voce di due soprani.

In primis va lodata oltremodo la chiarezza analitico-espressiva di Riccardo Frizza che, riuscendo sempre a tenere il senso generale della conduzione non manca mai di porci in evidenza le caratteristiche più “segrete” della Partitura, offrendo all’ascoltatore il piacere di un coinvolgimento emotivo profondo e completo e, altrettanto, garantendo alla Compagnia di Canto di poter dar massimo sfoggio alle sue qualità. Eccellente nella guida dell’Orchestra dell’Opera di Roma, anche quando deve riuscire a tenere insieme la parte corale che, in evidente carenza, in altre mani non sarebbe sopravvissuta così in una operazione di questo tipo.

Enrico VIII era Alex Esposito. L’Artista conferma come sempre di essere quell’interprete eccellente di ruoli scomodi (sia per la difficoltà attoriale che, non di meno, per la richiesta tecnica). Il trionfo finale tributatogli da parte del pubblico è forse poca cosa rispetto alla vis  drammatica che, con un connubio intelligente e istintuale al tempo stesso, lo ha posto in trionfo agli occhi dell’Arte ogni volta che ha mosso anima e corpo sulla scena.

Anna Bolena era Maria Agresta.  Artista che ha disegnato una Regina con tutto quello che ci vuole per poterla presentare al pubblico e ad un all’allestimento attento ai dettagli. La capacità di gestione del mezzo vocale, unitamente ad un senso scenico fortissimo ma mai eccessivo,  l’hanno vista giustamente acclamatissima sotto tutti i profili.

Giovanna Seymour era Carmela Remigio. Poche volte accade che la resa di un’Artista segua pari pari l’evoluzione del suo personaggio: così come per Giovanna alla fine della vicenda, Carmela Remigio diviene al fine della Recita Regina dell’Allestimento. Attraverso una condotta vocale impeccabile (caratterizzata da cesellature di dettagli finissimi) ed un’ineguagliabile resa scenica (sia per interpretazione che per traslazione drammaturgica) ha significato a tutti gli intervenuti quanto sia ancora possibile essere Artisti al servizio dell’Arte, raccogliendo la riconoscenza del pubblico (letteralmente in delirio) e confermando di saper fare la differenza.

Riccardo Percy era René Barbera. Il Tenore che già aveva incantato l’anno scorso in molti Teatri con la sua duttilità di repertorio e “debutti”, ha offerto una prova più che degna.  Dopo un inizio un po’ in sordina, ha trovato una sicura e appagante realizzazione sino alla fine con meritorio e convinto riconoscimento della Platea.

Smeton è la sorpresa della serata: Martina Belli ha reso la parte e offerto il suo talento in maniera completa e coinvolgente; raro è ricordarsi precisamente di parti apparentemente non centrali: di lei ci si ricorda benissimo e ottimamente.

È opportuna una menzione per il Lord Rochefort di Andrii Ganchuk, figlio del programma “Fabbrica” che continua a produrre giovani talenti che non temono il confronto con repertori e realtà di primo piano.

Domenica romana da ricordare, operazioni culturali importanti che fanno venir voglia di ritornare.

Share this Post