BARCELLONA: Die Zauberflöte – Wolfgang Amadeus Mozart, 18-21 giugno 2022 a cura di Jorge Binaghi
Die Zauberflöte
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Direttore Gustavo Dudamel
Regia David McVicar
ripresa da Angelo Smimmo
Personaggi e Interpreti:
- Sarastro Stephen Milling
- Tamino Javier Camarena – Julien Behr
- Oratore Matthias Goerne – Pau Armengol
- Sacerdote / armigero 1 Albert Casals
- Sacerdot / armigero 2 David Lagares
- Regina della notte Kathryn Lewek – Sara Blanch
- Pamina Lucy Crowe – Serena Sáenz
- Prima dama Berna Perles
- Seconda dama Gemma Coma-Alabert
- Terza dama Marta Infante
- Papagena Mercedes Gancedo
- Papageno Thomas Oliemans – Joan Martín-Royo
- Monostatos Roger Padullés
Gran Teatre del Liceu, 20/21 giugno
A distanza di sei anni ritorna il titolo che in tanti considerano il testamento spirituale di Mozart, Die Zauberflöte (Il flauto magico). Se questo è vero la prima cosa che viene da dire è che le persone considerate insieme (quello che si chiamava “umanità”) sembrano sempre più lontane dalla meta, non solo per cattiveria e ignoranza (anche) ma soprattutto per mancato interesse.
Coerentemente con questo atteggiamento adesso questo titolo – non è il solo – che prima si eseguiva con le dovute precauzioni è diventato uno dei più frequenti dappertutto col rischio di diventare banale e la magia va a farsi benedire. Ma pare che a quasi tutti vada bene così, ci vanno anche i piccoli (e così siamo sicuri di acquistare un nuovo pubblico per un genere che più di uno reputa in stato terminale), il teatro è pieno o quasi, allegria, allegria. Tanta che pare che sia sfuggito alle ire dei fanatici del politicamente corretto un libretto chiaramente misogino (da collocare però nell’ottica dell’epoca) e con anche un moro cattivo (apparentemente ha dato più fastidio quest’ultimo caso, perché non una volta si è sentita la parola “nero” e quando Pamina racconta a Sarastro “del perverso moro” la traduzione tralascia l’ultimo vocabolo. Il personaggio poi è più pallido della luna a cui canta).
Per di più in quest’opportunità il richiamo era doppio: la bacchetta di Gustavo Dudamel e il debutto di Javier Camarena nel ruolo di Tamino. Entrambi hanno fatto bene e molto bene rispettivamente ma non che ci sia stato alcunché di eccezionale. Il maestro in particolare non risultava sempre all’altezza della sua fama (dovuta – tutto va detto – più al repertorio sinfonico che a quello operistico) anche se si è dimostrato buon concertatore. L’orchestra lo seguiva con entusiasmo e attenzione ma gli archi sono rimasti un po’ in secondo piano. In più di un momento si aveva l’impressione di assistere a una versione di Fidelio. Il coro (istruito da Pablo Assante) era molto bravo e bravissimi i ragazzi che interpretavano i tre Geni (dal Coro di voci infantili Veus di Granollers, diretto da Josep Vila I Jover).
Camarena era un ottimo Tamino anche se questo non credo sia il tipo di personaggio o di repertorio più adeguato alle sue capacità (anche se il centro dimostrava di essere più robusto che in passato)
L’allestimento sostituiva il precedente – molto lodato, e a ragione – per la regia di Barrie Kosky e anche se in origine doveva venire da Amsterdam finiva per arrivare (malgrado la Brexit) dal Covent Garden di Londra senza spiegazione. Si tratta di uno spettacolo firmato da David McVicar (ripreso da Angelo Smimmo, presente ai saluti) che, senza troppi sforzi d’immaginazione, si vede con piacere benché non dica niente di nuovo e si muove – forse correttamente ma la musica e il testo parrebbero dire e volere altro – al livello della fiaba, con tanto di serpente, animali e animaletti, bei costumi, colori ecc (le tre prove invece non riuscivano a fare effetto). Se c’è stato qualcosa in più forse sarà stato dovuto agli artisti, anche se, quasi tutti, pensavano soprattutto a cantare bene (niente male, soprattutto quando lo si può fare).
Stephen Milling era un bravo Sarastro, meglio il secondo giorno, quando né voce né registro grave parevano con meno volume e risonanza in confronto di prestazioni precedenti. Essendo per di più l’unico interprete della parte per tutte le recite (parecchie) speriamo abbia tenuto duro. Quasi lo stesso succede con Matthias Goerne (tranne in una recita) per la parte molto più semplice e breve dell’Oratore (come direbbe papà Germont “pur tanto lusso…”). Monostatos era Roger Padullés, l’attore superiore al cantante.
L’altro Tamino era un mozartiano molto interessante e nella tradizione tedesca (in un paio di momenti ho pensato a Helge Roswenge), Julien Behr, che debuttava così al Liceu. Le due Astrifiammanti erano Kathryn Lewek, di voce più corposa e con dei buoni acutí (splendido fa nella prima delle due arie) anche se talvolta un tantino calante e con suoni asprigni, e Sara Blanch, voce alquanto più piccola e di timbro meno incisivo ma perfettamente udibile e sicura negli acuti. L’accompagnamento della seconda aria (la più applaudita in entrambe serate) risultava parecchio denso in particolare verso la fine.
Pamina e Papagena venivano assalite dal virus prima della prima. Così, insieme all’eccellente Lucy Crowe (di acuti un po’ metallici e fissi a fine recita), l’altra Pamina era Serena Sáenz (scritturata come Papagena) ch’era all’altezza del compito. A Papagena arrivava così la civettuola e vocalmente in forma Mercedes Gancedo.
Le tre Dame erano Berna Perles, Gemma Coma-Alabert e Marta Infante: cantavano e si muovevano bene ma i loro timbri rimanevano sempre assolutamente indipendenti senza mai fondersi del tutto. Bene Albert Casals e David Lagares nei ruoli sia di Sacerdoti sia di Guardiani del tempio.
Papageno, forse “il” personaggio di quest’opera (soprattutto quando non si prende in considerazione l’aspetto filosofico o metafisico), veniva affidato a Thomas Oliemans e Joan Martín-Royo. Entrambi cantavano bene, ma il primo mi ha fatto più impressione in ruoli drammatici, anche se, se la cavava bene. Il secondo è ben noto (almeno in Spagna) per aver fatto del ruolo una sua specialità mai inficiata dalla routine e come al solito veniva premiato a fine recita con una lunghissima ovazione, più che meritata. Tutto esaurito per la prima e sala molto piena per la seconda recita.
Jorge Binaghi