BERGAMO: La fille du régiment – Donizetti, 21 novembre 2021 a cura di Nicola Salmoiraghi
La fille du régiment
Opéra comique in due atti di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione: Parigi, Opéra-Comique, 11 febbraio 1840
Edizione critica a cura di Claudio Toscani
Direttore Michele Spotti
Regia Luis Ernesto Doñas
Personaggi e Interpeti
- La Marquise de Berkenfield Adriana Bignagni Lesca
- Sulpice Paolo Bordogna
- Tonio John Osborn
- Marie Sara Blanch
- La Duchesse de Krakenthorp Cristina Bugatty
- Hortensius Haris Andrianos
- Un caporal Adolfo Corrado
- Un paysan Andrea Civetta
Percussioni Ernesto Lopez Maturell
Scene Angelo Sala
Costumi Maykel Martinez
Coreografie Laura Domingo
Lighting design Fiammetta Baldiserri
Drammaturgo Stefano Simone Pintor
Assistente alla regia Vanessa Codutti
Assistente alle scene Denia Gonzalez
Assistente alle luci Emanuele Agliati
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con il Teatro Lírico Nacional de Cuba
Teatro Donizetti, 21 novembre
Grazie all’entusiastica vitalità e alla visione a 360° gradi del Teatro musicale del suo direttore artistico, Francesco Micheli, Donizetti Opera – o Festival Donizetti, se preferite – ha sempre più consolidato la sua realtà di polo teatrale di assoluta vivacità nonché rilievo artistico.
Lo ha dimostrato sicuramente il nuovo allestimento de La fille du régiment, uno dei tre titoli operistici – di cui riferirò a turno – dell’edizione 2021, finalmente restituita al pubblico e anche al Teatro Donizetti, scintillante di nuova vita dopo il restauro.
La coproduzione con il Teatro Lirico Nacional de Cuba, avrà ispirato l’allestimento? Con la regia di Luis Ernesto Doña, le variopinte scene di Angelo Sala, gli azzeccatissimi costumi di Maykel Martinez (con inchino al total “black and white” di Cecil Beaton per il Royal Ascot di My Fair Lady, nella parata dei nobili del secondo atto) le coreografie di Laura Domingo e le luci calibrate ed evocatrici di Fiammetta Baldisseri, eccoci trasportati nella Cuba del 1959, al tempo della rivoluzione castrista dei “barbudos” contro la dittatura di Batista (certo, ne sarebbe cominciata una diversa, ma questa è un’altra storia…).
La Fille è un tale perfetto meccanismo musicale e drammaturgico che dove la metti sta, e se lo fai con ironia e sorridente intelligenza, ci sta bene. Così non manca uno scatenato suonatore di percussioni (Ernesto López Maturell), un’opportuna revisione dei dialoghi (nuova drammaturgia di Stefano Simone Pintor, con incursioni anche nello spagnolo) per adattarli alla nuova situazione, i rivoltosi in realtà armati unicamente di pennelli con cui colorare il mondo, la Duchessa di Krakenthorp e la Marchesa di Berkenfield preoccupate solo di mettere al sicuro dollari e salvare le proprietà dall’espropriazione; la stessa Marchesa (vogliamo subito entrare nel merito e scrivere quanto è scenicamente irresistibile per simpatia e tempi comici nonché per la presenza di una voce tutt’altro che da sottovalutare in quanto a grana e spessore, la Berkenfiled di Adriana Bignani Lesca?) si concede nel secondo atto un’interpretazione tutta sapor di tropico e voluttà di “El arreglito” di Yradier, l’“habanera” da cui Bizet trasse (molta…) ispirazione per quella di Carmen. Questa regia certamente non cambia la storia del teatro, ma sicuramente diverte con piacevolezza ed estro.
Da lodare senza riserve, sul podio dell’Orchestra Donizetti Opera, la bacchetta del ventottenne Michele Spotti, un autentico talento. Tempi perfetti, che danzano sulla partitura donizettiana con trepida leggerezza e soave incisività; lettura mossa e brillante quando deve esserlo, gagliarda quando è richiesto, trepidamente malinconica nelle circostanze larmoyantes. Donizetti ringrazia e le nostre orecchie pure.
John Osborn, tenore di peso internazionale, si è mangiato Tonio in un sol boccone e non è un boccone propriamente facile. Se il timbro non è baciato dagli dei, tutto il resto sì. Non è stata solamente la stupefacente resa di “Ah mes amis…Pour mon âme” e la sua girandola di acuti, condita anche di insolenti e spettacolari variazioni nella salita ai do, a conquistare (con bis a furor di popolo) ma il magistrale cesello di “Pour me rapprocher de Marie”, in cui l’alternanza di fraseggio sfumato, nuances, smorzature e puntature contribuiva a farne un momento musicalmente indimenticabile. Unite la simpatia in scena e il gioco è fatto.
La giovane Sara Blanch, soprano leggero di antica tradizione, ha pattinato sul ruolo di Marie con disinvoltura e sicurezza. I brani in cui la coloratura doveva sfavillare lo hanno fatto a dovere (il rutilante “Salut à la France” è stato accolto da una meritata ovazione) ma anche nelle bellissime pagine di sapore patetico (“Il faut partir” e “Per le rang et par l’opulence”) Sara Blanch ha detto la sua con sensibile consapevolezza.
Molto bravo Paolo Bordogna, che ha messo al servizio di Sulpice tutta la sua esperienza di “buffo di classe”, tanto convincente vocalmente quanto teatralmente perfetto
La Duchessa di Krakenthorp si è avvalsa della verve puntuta e graffiante, condita di aguzza ed elegante ironia, di un personaggio quale Cristina Bugatty, Haris Andrianos era Hortensius e completavano adeguatamente la locandina Adolfo Corrado (Un caporale) e Andrea Vivetta (Un paesano); senza dimenticare ovviamente il valido apporto del Coro dell’Accademia Teatro alla Scala preparato da Salvo Sgrò.
Battimani a non finire e festa grande per Donizetti, che poi è anche quella di ritrovarsi finalmente tutti insieme in un Teatro. La musica “viva” ha taciuto per troppo tempo.
Nicola Salmoiraghi