BERGAMO: Roberto Devereux – Gaetano Donizetti, 23 novembre 2024 a cura di Nicola Salmoiraghi
ROBERTO DEVEREUX
Gaetano Donizetti
Tragedia lirica in tre atti di Salvadore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Prima rappresentazione: Napoli, Real Teatro di San Carlo, 28 ottobre 1837
Edizione critica a cura di Julia Lockhart © Casa Ricordi, Milano con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti
Direttore d’orchestra Riccardo Frizza
Regia Stephen Langridge
Personaggi e Interpreti:
- Elisabetta Jessica Pratt
- Il duca di Nottingham Simone Piazzola
- Sara Raffaella Lupinacci
- Roberto Devereux John Osborn
- Lord Cecil David Astorga
- Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas *
- Un famigliare di Nottingham and Un Cavaliere Fulvio Valenti
*Allievo della Bottega Donizetti
Interprete Luca Maino
Marionette Animazione Noemi Giannico , Matteo Moglianesi
Scene e costumi Katie Davenport
Light designer Peter Mumford
Regia del burattino Poppy Franziska
Aiuto regista Katerina Petsatodi
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del coro Salvo Sgrò
Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo
Teatro Donizetti, 23 novembre 2024
Si scrive Roberto Devereux ma posso dirlo? Posso dirlo?… si dovrebbe pronunciare Elisabetta Tudor. Quest’opera della piena maturità produttiva di Donizetti è l’ultima della cosiddetta Trilogia Tudor delle Regine (aperta con Bolena e proseguita con Stuarda) ed è probabilmente la più moderna e innovativa delle tre, soprattutto per la scrittura vocale destinata alla sovrana “vergine”. Sicuramente il ruolo del tiolo ha pagine splendide e impegnative, ma è fuor di dubbio che la vera protagonista (a cui spetta come di consueto la lunga e spettacolare scena conclusiva) sia lei, Elisabetta, la figlia del “tremendo ottavo Enrico” e di Anna Bolena. Rappresentata per la prima volta nel 1837, fu scritta per la voce particolarissima di Giuseppina Ronzi de Begnis, che non temeva i più perigliosi scarti vocali, dal registro acutissimo alle repentine discese nel centro e nel grave sino al declamato rabbioso. Qui occorrono al contempo una grande belcantista e una grande tragica.
Devereux è l’opera che ha inaugurato questa edizione del Donizetti Opera di Bergamo e io l’ho vista alla seconda recita. È stata eseguita nella primigenia versione napoletana e quindi privata della nota Sinfonia con i richiami all’inno inglese, aggiunta per le rappresentazioni alla Scala (a proposito, sveglia Piermarini! Quest’opera è assente dai cartelloni scaligeri credo dall’Ottocento); che peccato, è così divertente e tumultuosa quest’Ouverture! Ma è andata bene lo stesso.
Riccardo Frizza ama Donizetti e ne è abbondantemente ricambiato. Alla guida dell’Orchestra Donizetti Opera il direttore ha offerto di questo capolavoro donizettiano (perché tale è da considerarsi) una lettura travolgente, accesa, incandescente e capace però di distendersi in soavissime oasi liriche ove necessario. Luci, ombre, precipizi e afflati romantici, tutto risplende di luce magnetica nell’interpretazione di Frizza, da ergere sugli scudi senza riserve.
Il nuovo spettacolo presentato al Teatro Donizetti, coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo, porta la firma del britannico Stephen Langridge (regia) con Katie Davenport (scene e costumi), Peter Mumford (luci) Poppy Franziska (regia animazione pupazzo).
Uno spettacolo sobrio, di asciutta teatralità, coerente, serrato, condotto con perizia e ficcante drammaticità. In una scenografia sostanzialmente astratta con qualche elemento (rosso fuoco) a vivacizzarla (un letto, anche sospeso a mezz’aria, il trono) i personaggi e il coro vestono abiti di foggia rinascimentale rivisitata (in particolar modo quello di Sara) e il costume di Elisabetta è decisamente bello ed evocativo. Si sprecano i simboli di “memento mori”, candele che si consumano, clessidre, teschi e persino uno scheletro animato, vestito come la Regina, che le appare e la segue. Il tempo scorre inesorabile e il potere è sempre legato alla solitudine e alla morte. Nel complesso un’ottima riuscita.
Emozionante, sul palco la prova di una strepitosa Jessica Pratt, al suo primo approccio con questo ruolo monstre. Seguo e stimo questa cantante da molti anni e le sue prove sono sempre al top, ma in questo frangente ha superato sé stessa, e non era scontato alle prese con una vocalità così frastagliata. Jessica Pratt ha affrontato e vinto la sfida con il piglio della grande interprete, dell’artista di razza. In assoluto è la più fantastica performance che io le abbia visto e ascoltato eseguire. Acuti, mi bemolle abbacinanti, pianissimi, sfumature, colorature e variazioni, aggressive invettive, tecnica impeccabile nell’affrontare un centro e un grave ora più robusti di un tempo ma senza mai intelligentemente forzare, con la sua vocalità E poi gli accenti, le intenzioni, la scansione della parola cantata, gli incisivi e a volte furenti ricorsi al parlato. Un ritratto musicale e vocale gigantesco che si fa oggi pietra del paragone per successive interpreti. La scena finale, incendiaria nella sua intensità, ha fatto esplodere il Teatro in un’interminabile ovazione.
Non da meno un indimenticabile John Osborn (Roberto, che ha dovuto bissare a furor di popolo la sua aria “Come uno spirto angelico”), belcantista da podio olimpico. Che classe, che lezione di canto, in un continuo trascolorare di piani, pianissimi, chiaroscuri, sciabolanti folgori acute. Sentire cantare così è un vero balsamo per le orecchie e per l’anima e ci riconcilia con le cose belle della vita, perché è la vita che si fa arte. Bravissimo, anzi, molto più di questo. E grazie.
Lodi, lodi, lodi anche alla Sara di Raffaella Lupinacci che ha reso il suo personaggio (qui per esigenze registiche in avanzato stato di gravidanza e quindi doppiamente “colpevole”) molto più protagonista del consueto, grazie a una voce ricca di personalità e una grinta interpretativa decisamente rilevante. Voce ottimamente proiettata, sicurissima in acuto e convincente in ogni suo intervento.
Simone Piazzola (Nottingham) ha fatto valere la nobiltà del suo timbro sempre assai bello e caldo, e, soprattutto nella seconda parte, ha avuto momenti di notevole e potente espressività vocale, intrisi di malinconia e adirato furore.
Completavano la locandina David Astorga (Lord Cecil), Ignas Melnikas (Raleigh), Fulvio Valenti (Famigliare di Nottingham/Cavaliere). Validissimo l’apporto del Coro Accademia Teatro alla Scala preparato da Salvo Sgrò.
Teatro esauritissimo e successo entusiastico. Grande serata da Festival. Serata di grande musica.
Nicola Salmoiraghi