CAGLIARI: Cecilia – Licinio Refice, 4 febbraio 2022 a cura di Loredana Atzei

CAGLIARI: Cecilia – Licinio Refice, 4 febbraio 2022 a cura di Loredana Atzei

  • 09/02/2022

Cecilia
azione sacra in tre episodi e quattro quadri
libretto Emidio Mucci
musica Licinio Refice

 

Maestro concertatore e Direttore Giuseppe Grazioli 

Regia Leo Muscato 

 

Personaggi e Interpreti:

  • Cecilia Martina Serafin 
  • L’Angelo di Dio Elena Schirru 
  • Valeriano Antonello Palombi 
  • Tiburzio Roberto Frontali 
  • La vecchia cieca Giuseppina Piunti 
  • Il vescovo Urbano Alessandro Spina 
  • Amachio Roberto Frontali 
  • Un liberto Christian Collia 
  • Uno schiavo Patrizio La Placa

scene Andrea Belli 
costumi Margherita Baldoni 
luci Alessandro Verazzi 
video Luca Attilii

Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
maestro del coro Giovanni Andreoli

nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari

prima esecuzione in Italia in tempi moderni

 Teatro Lirico, 4 febbraio


Il Teatro Lirico di Cagliari apre la stagione portando in scena, per otto serate, Cecilia, opera rara di Licinio Refice su libretto di Emidio Mucci. Un’opera che in Italia manca da decenni e che il teatro di Cagliari propone al suo pubblico in un nuovo allestimento seguendo quella che sta diventando una consuetudine, ossia aprire la stagione con una rarità operistica.

La storia è quella di Cecilia, giovane donna di fede cristiana  che va in sposa a Valeriano. Dopo averlo condotto nelle catacombe riesce a convertirlo alla fede insieme al cognato Tiburzio. I due uomini verranno condotti a morte mentre la donna, dopo essere stata sottoposta a tortura, verrà trafitta da una spada.  La prima rappresentazione avviene nel 1934 e riscontra un grande successo grazie anche all’interpretazione della star dell’epoca: Claudia Muzio.

Nel 1953 venne presentata al teatro San Carlo di Napoli con un cast d’eccezione che vedeva in scena Renata Tebaldi nella parte principale, Alvinio Misciano come Valeriano, Giulio Neri e Rolando Panerai interpreti, rispettivamente, del Vescovo Urbano e del Prefetto Amachio.

Cecilia – Teatro Lirico di Cagliari © Priamo Tolu

L’Orchestra è finalmente tornata ad occupare il suo posto nel golfo mistico guadagnando in omogeneità del suono e bontà dell’acustica. Sul podio Giuseppe Grazioli dirige con maestria una partitura innegabilmente ricca, colma di momenti di estatica sacralità, interrotti da parti drammatiche efficaci, in un continuo fluire di melodie che si sviluppano come la colonna sonora di un film del genere Peplum.

Ed è proprio questo taglio cinematografico a fornire la chiave di lettura giusta per il nuovo allestimento del Teatro di Cagliari. Sotto la regia raffinata di Leo Muscato l’Opera viene rappresentata nel contesto storico descritto dagli autori seguendo esattamente il testo e senza alcuna intenzione di conferire ai personaggi una complessità che non traspare dal libretto.

L’azione scenica è ridotta al minimo, tuttavia l’attenzione viene catturata dalla disposizione attenta del coro e da tutti i protagonisti che creano una composizione equilibrata ed esteticamente affascinante.

La scene di Andrea Belli  dividono il palco con un muro semicircolare che consente di poter sviluppare l’azione su piani diversi.

Belli e funzionali i costumi  di Margherita Baldoni che, nella loro elegante semplicità,  richiamano la moda dell’epoca con tuniche, mantelli, armature, nei colori bianco e porpora per i Romani pagani, mentre i Cristiani vestono tuniche dai tessuti meno nobili e dai colori più spenti.

Cecilia – Teatro Lirico di Cagliari © Priamo Tolu

Le luci di Alessandro Verazzi sottolineano il climax emotivo, scandendo il passare del tempo con dominanze di colore diverse, e conferiscono a Cecilia l’aurea sacra che la avvolge durante il martirio.

Contribuiscono a creare l’atmosfera mistica le proiezioni dell’artista visivo e videomaker Luca Attilii. Elementi suggestivi come le spighe di grano al sole, la discesa dei petali durante il martirio, e le immagini dei quadri raffiguranti Santa Cecilia che appaiono nel finale. Si tratta di tele seicentesche dei pittori Massimo Stanzione, Pietro da Cortona, Simon Vouet e Guido Reni. Inoltre compaiono tre opere custodite nella Cattedrale di Cagliari dedicata a Santa Cecilia e a Maria, Regina dei Sardi: un olio su tela che rappresenta Il matrimonio mistico di Santa Cecilia e San Valeriano firmato dal pittore Pietro Angeletti e datato nella seconda metà del ‘700, custodito nella Cappella di Santa Cecilia, un medaglione ovale in pietra con l’effige della Santa posta nella parete interna sopra il portale principale, e una statua in alabastro che si trova nella Sacrestia dei Beneficiati

Il Coro diretto dal Maestro Giovanni Andreoli è musicalmente corretto, con una fissità in scena che potrebbe far pensare ad un richiamo al coro greco. La recitazione ingessata è dovuta più alle direttive di sicurezza in materia anticovid, che limitano le possibilità interpretative, piuttosto che alla reale volontà del regista che invece avrebbe voluto avere più margini di movimento. Ciò non toglie che gli spazi che il coro occupa in scena siano disegnati in modo accurato tale da offrire un affresco emozionante.

Il cast vocale è buono. Ad aprire la scena, dopo una breve introduzione musicale, è l’Angelo di Dio interpretato da Elena Schirru che offre una buona prova di canto.

Martina Serafin conferisce a Cecilia una voce sicura per volume e per tenuta dei fiati. Belli i duetti con il Valeriano interpretato da Antonello Palombi, tenore lirico spinto con una voce scura e teatrale.

Il baritono Roberto Frontali risolve con mestiere i due ruoli di Tiburzio, cognato di Cecilia, e Amachio. La voce è piena e ben proiettata, il declamato autorevole. È lui il protagonista di un piccolo colpo di scena voluto dal regista nel tentativo di dare spessore ai personaggi in scena. Ci mostra così il milite, che nel libretto esegue l’ordine di uccidere Cecilia,che turbato esita. Amachio allora, al colmo della collera, si avventa contro la donna gridando: “Ah sia spento quel canto in eterno!, mentre la ferisce a morte con una spada.Un espediente narrativo che non modifica la storia e che funziona benissimo nel creare il giusto pathos.

Cecilia – Teatro Lirico di Cagliari © Priamo Tolu

Notevole l’interpretazione del Vescovo Urbano interpretato dal basso Alessandro Spina. Una voce potente e ricca di colori a cui unisce una capacità attoriale convincente. Nella scena in cui apprende del ferimento mortale di Cecilia ci appare come un uomo devastato dal dolore, distrutto anche fisicamente, cade più volte sopraffatto dal dolore e si avvicina a lei con la paura di chi teme di perdere una persona cara. A mio avviso uno dei momenti più toccanti.

A completare degnamente il cast Giuseppina Piunti, la vecchia cieca, Christian Collia nel doppio ruolo di un Liberto e un Neofita, e Patrizio La Placa che interpreta uno schiavo.

La risposta del pubblico è apparsa timida. Ben inteso, gli applausi non sono certo mancati né alla fine di ogni atto né al calare del sipario. Erano giustamente indirizzati alla buona esecuzione generale, ma  non si è sviluppato quel caldo clima di entusiasmo che di solito accompagna la fine di un’opera. In parte perché molti posti sono ancora vuoti, in parte perché affrontare un’opera nuova richiede una metabolizzazione che non si può ottenere con un solo ascolto. Inoltre per comprenderla è necessario provare a capire chi era il suo autore.

Cecilia – Teatro Lirico di Cagliari © Priamo Tolu

Una figura di spicco non solo nell’ambiente musicale ma anche in quello ecclesiastico. Licinio Refice, considerato tra i massimi riformatori della musica sacra, era anche un sacerdote che per poter dirigere ottenne una dispensa dalla Chiesa. Un uomo alla perenne ricerca di un equilibrio tra il suo essere artista e contemporaneamente uomo di fede .Da una parte quindi abbiamo l’innovatore della musica sacra appassionato di Wagner e Debussy, e dall’altra il religioso militante  convinto di poter trasporre la vita dei Santi mascherando da Azione Sacra quella che a tutti gli effetti è un’opera lirica.

Ed è questa necessità di mettere la propria musica a servizio della sua religione a costituire quello che narrativamente è un limite. Come la repentina conversione, l’indugiare eccessivamente sui temi del sacrificio e dell’amore casto, l’incapacità di portare in scena momenti cruciali, il disegno schematico dei personaggi che non svela le loro emozioni più intime. La stessa ingenuità con cui viene affrontato il tema amoroso può far sorridere eppure bisogna apprezzare il coraggio con cui viene esplicitata la richiesta d’amore di Valeriano:“Cecilia, Cecilia!  Non senti il desiderio che mi romba furioso nelle vene? Ma io ti seguirò, penetrerò nel tuo chiuso giardino, coglierò tutti i fiori e tutti i frutti!”. Di certo ad un Prete non si poteva chiedere di più.

E probabilmente fu per questo che Toscanini disse di lui che sarebbe potenzialmente stato il più grande operista del suo tempo se non fosse stato per quella tonaca. Ma bisogna anche considerare che tutti questi limiti sono connaturati al tema della narrazione agiografica che esclude tutto ciò che riguarda le passioni umane a solo beneficio della fede e del sacrificio a Dio.

Le critiche non risparmiano nemmeno il libretto di Emidio Mucci, appartenente al filone poetico decadentista e colmo di termini desueti, che però a me piace e va contestualizzato considerando sia la vena poetica dannunziana del librettista,  sia il periodo storico in cui è ambientata l’azione. È lo stesso materiale sacro che induce a fare determinate scelte e restringe l’orizzonte artistico ma nonostante questo Cecilia ha una capacità quasi ipnotica di attrarre l’ascoltatore, e rimane una bella pagina musicale che Cagliari ci ha invitato a riscoprire, insieme a quell’arte che unisce la bellezza alla sacralità, in un connubio che è lo stesso compositore a sottolineare nel descrivere da dove provenisse la sua ispirazione: Dio solo è creatore, noi compositori siamo come le api, ci fermiamo sui fiori più belli.”

Loredana Atzei

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