CAGLIARI: Concerto e intervista al compositore Marco Tutino, a cura di Loredana Atzei
Stagione concertistica 2022
direttore Karen Durgaryan
violino Pavel Berman
voce recitante Simeone Latini
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
maestro del coro Giovanni Andreoli
Pëtr Il’ič Čajkovskij Concerto in Re maggiore per violino e orchestra op. 35
Marco Tutino In amoroso furore, per voce recitante, coro e orchestra – su testo di Juan de la Cruz (1542-1591) nuova composizione su commissione del Teatro Lirico di Cagliari – prima esecuzione assoluta
Nikolaj Rimskij-Korsakov La notte di Natale, suite dall’opera teatrale (25 minuti circa)
Teatro Lirico di Cagliari, 25 e 26 novembre 2022
Il teatro lirico di Cagliari, nell’ambito della stagione concertistica del 2022, offre un evento ghiotto.
Due titoli estratti dall’ampio repertorio Russo e la prima assoluta del brano In amoroso furore scritto da uno dei più grandi compositori contemporanei: Marco Tutino.
La serata si apre con l’orchestra impegnata in un’esecuzione magistrale del concerto in re maggiore per violino ed orchestra op. 35 di Pëtr Il’ič Čajkovskij sotto la Direzione precisa e attenta del M° Karen Durgaryan, e con un violinista del calibro di Pavel Berman al suo debutto a Cagliari.
Le sue mani scorrono veloci e sembrano danzare sullo Stradivari, con quel virtuosismo che costituisce la cifra stilistica di questo pezzo e che affascina i presenti. Tanto da scatenare un vero e proprio applauso alla fine del primo movimento. Quell’allegro moderato reso popolare grazie anche a Il Concerto del regista Radu Mihaileanu. Un film capace di divertire e commuovere.
La conclusione è invece affidata a La notte di Natale, suite dall’opera teatrale di Nikolaj Rimskij-Korsakov che avvolge gli spettatori in un’atmosfera fiabesca e onirica che si articola in diversi stili ed elementi musicali.
Vale la pena sottolineare la celebre ed emozionante Polonnaise tratta dal terzo atto e la suggestiva esecuzione della Processione di mezzanotte capace di evocare le melodie e le atmosfere natalizie con i rintocchi delle campane che costituiscono sempre un momento incantato.
Tra questi due titoli viene eseguito “In amoroso furore” di Marco Tutino che trae ispirazione dalla poesia di Juan de la Cruz, poeta e mistico del ‘500.
Il brano, per voce recitante, coro e orchestra, è stato commissionato dal Teatro lirico di Cagliari e presentato in prima assoluta il 25 Novembre.
Qui la poesia prende vita, legandosi alla musica in un crescendo che la porta al vertice ma, un attimo prima di toccare l’apice lirico, la rigetta in basso in un ciclo continuo:
“…E tanto in basso rovinai
Che mi trovai così in alto, così in alto
Che raggiunsi la preda.”
La voce recitante è quella di Simeone Latini, attore cagliaritano dalla dizione perfetta e dalla voce ricca di colori.
Una parte fondamentale è svolta dal coro diretto dal Maestro Giovanni Andreoli.
Il canto del coro, potente e ancestrale è qui legato ai ritmi della poesia e della musicalità imposti dalla lingua sarda.
Si innalza, precipita e si fonde infine con il declamato e il fervore quasi carnale della voce recitante che, nella lingua Sarda, diventa ancora più incisiva. Più carica di desiderio, di ardore. Più disperata nella caduta.
Ma per spiegare meglio questa composizione mi rivolgo direttamente al compositore Marco Tutino.
Innanzitutto com’è nato questo brano?
Il pezzo mi è stato commissionato dal Sovrintendente del lirico di Cagliari un anno fa ed io ho voluto dedicarlo a questa poesia di Juan de la Cruz: In amoroso furore.
Come spesso succede nella poesia mistica c’è una tensione verso l’assoluto, verso il divino, verso il metafisico, che trasfigura e diventa quasi una pulsione erotica. Questo succede spessissimo nei poeti di quel periodo. Soprattutto in questa poesia la cosa è evidente.
Ci sono immagini e doppi sensi che chiaramente passano dalla pura contemplazione della divinità a qualcosa di molto più carnale.
E questa cosa mi ha molto colpito.
Inoltre l’ho fatta tradurre in Sardo che è una lingua meravigliosa con una musicalità intrinseca veramente incredibile. E poi ho cercato di comporre una musica all’altezza di questa poesia che è assolutamente stupenda. E spero di esserci riuscito. La voce recitante interpreta sia in italiano che in Sardo in un continuo rimando tra le due lingue in modo che venga compresa bene da tutti. Spero che il pubblico gradisca il risultato.
La traduzione scelta è stata quella di Agamben che è uno dei maggiori filosofi attuali. Cosa ha indirizzato verso questa traduzione?
E’ una poesia che ha avuto tante traduzioni. Quella di Agamben per me è la migliore. Ne ho viste tante, ma qui il concetto è rafforzato. Quella ambiguità di cui ho parlato prima è più forte. Lui ci gioca molto e devo dire che è veramente all’altezza della poesia.
Anche la traduzione di Pulina devo dire che è assolutamente in linea con quella di Agamben. Io ho chiesto espressamente a Pulina di tradurre l’italiano di Agamben piuttosto che la poesia originale in Spagnolo perché volevo conservare questa forza che scaturisce dalla versione in italiano. E devo dire che è riuscito nell’intento e sono molto grato ad entrambi.
Quale contributo fornisce la traduzione in Sardo alla poesia?
Purtroppo io non conosco il Sardo però quello che mi ha colpito di questa lingua è la sua ritmicità. Dal punto di vista sonoro l’effetto è meraviglioso. La musica sgorga direttamente dalle parole. Chi invece conosce bene la lingua credo che senta il significato dell’opera come amplificato.
Come hai sviluppato musicalmente questo brano?
E’ un pezzo molto semplice dal punto di vista formale perché è diviso in tre parti, senza intervalli e senza separazione tra i diversi momenti. L’una trasfigura nell’altra. C’è una parte iniziale molto calma dove la poesia viene recitata in italiano e dove la musica cerca di seguire il significato del testo.
C’è una parte centrale cantata dal coro in sardo appunto e lì appare la cadenza della lingua. Infatti è in quel momento che la musica acquista più ritmo, diventa veloce, si inseriscono le percussioni, diventa quasi una danza.
E poi abbiamo il finale dove si mischiano la voce recitante con il coro e viene tutto ripetuto in maniera trasfigurata. La poesia continua a parlare di altezze infinite dove si raggiunge la preda e abissi oscuri dove si precipita in basso, e di nuovo risale assumendo una dimensione circolare.
Dal punto di vista immaginifico è notevole.
La musica segue questa ciclicità?
Si, assolutamente. Ho tentato di proporre questa continua ricerca del divino e, secondo me, anche di qualcos’altro di più terreno. Una salita che improvvisamente culmina con uno sprofondare negli abissi quasi che le due cose fossero inscindibili. Appena si raggiunge qualcosa l’uomo, l’essere umano, viene precipitato nel buio e quindi deve riconquistare la luce ed è una ricerca infinita. Quasi un moto perpetuo.
Hai realizzato tante Opere sempre con un occhio al tema popolare, alla fiaba, al neorealismo: Tutti linguaggi capaci di parlare ad un pubblico ampio.
Io penso che la musica oggi ha il dovere di riconquistare un rapporto più stretto con il pubblico, un rapporto più vero, più viscerale. Un po’ più passionale. C’è troppa distanza tra la musica scritta oggi e il pubblico. Ed è una distanza costruita dalla musica stessa perché il pubblico in realtà è disponibile, dipende solo da ciò che gli viene proposto.
Io, invece che scegliere cose astruse, preferisco temi noti che fanno parte dell’immaginario collettivo. A volte presi dal cinema, a volte dalla letteratura ma comunque molto noti e molto sentiti. Come ad esempio Cirano, La lupa che è sempre molto richiesta, La Ciociara ovviamente.
Sogni da realizzare?
Mi piacerebbe scrivere un’altra Opera per il lirico di Cagliari perché dopo La Ciociara mi è restato veramente un bel ricordo di questo teatro e del suo pubblico. Sono state otto serate con un pubblico straordinario cha ha accolto ogni recita con una standing ovation. Mi piacerebbe scrivere un’altra Opera. Se è possibile ancora più efficace.
Loredana Atzei