CAGLIARI: La Cenerentola – Gioachino Rossini, 17 marzo 2023 a cura di Loredana Atzei
LA CENERENTOLA
dramma giocoso in due atti libretto Jacopo Ferretti
dalla fiaba Cenerentola di Charles Perrault
musica Gioachino Rossini
maestro concertatore e direttore Jonathan Brandani
regia Leo Muscato
regista realizzatrice Marialuisa Bafunno
personaggi e interpreti:
- Don Ramiro Dave Monaco
- Dandini Christian Senn
- Don Magnifico Giulio Mastrototaro
- Clorinda Chiara Notarnicola
- Tisbe Giuseppina Piunti
- Angelina, detta Cenerentola Paola Gardina
- Alidoro Pablo Ruiz
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
maestro del coro Giovanni Andreoli
scene Andrea Belli
costumi Margherita Baldoni
luci Max Karbe
allestimento originale del Theater Bonn, di proprietà del Teatro Lirico di Cagliari
Teatro Lirico, 17 marzo 2023
Una fiaba senza tempo in cui trionfa la bontà
E’ il 25 Gennaio 1817 e La Cenerentola che va in scena al Teatro Valle di Roma è il ventesimo titolo di un Gioachino Rossini nemmeno venticinquenne su libretto di Jacopo Ferretti.
Un dramma giocoso in cui la protagonista Angelina, detta Cenerentola, è vittima di un patrigno perfido, e scialacquatore di beni, e due sorellastre crudeli, avide e vanitose, degne figlie di tale padre.
Ma grazie all’intercessione di Alidoro vede infine premiata la sua bontà d’animo andando in sposa ad un Principe.
L’impianto è quello della celebre favola di Perrault con due fondamentali modifiche: La matrigna è riassunta dal patrigno Don Magnifico, Barone di Montefiascone, e la fata madrina assume le caratteristiche del saggio Alidoro.
L’allestimento messo in scena al Lirico di Cagliari arriva dal teatro di Bonn e si avvale della regia di Leo Muscato.
Il regista, coadiuvato da Maria Luisa Bafunno, non rinuncia ai toni favolistici che rivisita in chiave Disney, e amplifica con i bei costumi di Margherita Baldoni e l’assistente Ilaria Ariemme, che in modo sottile richiamano i cartoon.
Le scene di Andrea Belli sono risolte da splendidi pannelli dipinti con vedute di paesaggi fiabeschi valorizzati dalle luci di Max Karbe, e su tutto dominano le ampie scalinate di marmo che ruotano su se stesse e, se da una parte mostrano una realtà elegante e ricca, dall’altra basta un solo giro per rivelare l’altra faccia della medaglia: il povero angolo, sporco di cenere, dove Cenerentola è relegata.
Sul podio, a dirigere l’orchestra di Cagliari, il M° Jonathan Brambani che sceglie l’edizione critica secondo le indicazioni fornite da Alberto Zedda.
I recitativi secchi sono accompagnati al clavicembalo da Francesco Massimi.
La lettura di Brambani risveglia suoni e atmosfere antiche nel rispetto della partitura Rossiniana.
Vengono dunque tagliate l’aria di Clorinda, “Sventurata!Mi credea…”, e il brano del coro “Ah della bella incognita…” che furono scritte dall’assistente di Rossini, Luca Agolini, secondo una prassi tipica del periodo.
Luca Agolini scrisse anche l’aria di Alidoro, “Vasto teatro è il mondo…” , presente nel primo atto, che qui però viene sostituita con “Là del ciel nell’arcano profondo…” la versione che realizzò Rossini stesso tre anni dopo per una ripresa al Teatro Apollo di Roma.
L’ouverture, si sa, è la stessa de La gazzetta, Opera di Rossini del 1816. All’epoca era normale per i compositori saccheggiare le proprie opere, sia perché i tempi di consegna erano stringenti, sia perché la sinfonia d’apertura non veniva considerata parte dell’opera ma un intermezzo per allietare gli spettatori prima dell’alzata del sipario.
Tuttavia non c’è dubbio che questa sinfonia calzi perfettamente all’opera per temi e dinamiche. I tempi dilatati dell’inizio fiabesco fraseggiato dal fagotto, preludono ad un crescendo che svelerà la trama e si concluderà con il brioso lieto fine.
Dunque un’ambientazione elegante e fiabesca, con costumi di fine ‘700 rivisitati ai quali bastano pochi dettagli aggiunti per richiamare figure di animali ai quali i personaggi sono connessi.
Abbiamo così piume di pavone che adornano Tisbe a sottolinearne la sua vanagloria, piccole antenne sul capo di Clorinda a ricordare la leggiadria vacua di una farfalla, una cuffietta da notte indossata da Don Magnifico nell’aria del sogno, nel primo atto, che simula le orecchie di un asino. Ma anche Dandini che, alla fine dei giochi, svestirà i panni del principe e indosserà una livrea Dalmata, come quella dei famosi cani, a svelare il suo ruolo di servo.
D’altra parte a chi può essere paragonata Cenerentola, nel suo incedere al ballo con un vestito bianco impreziosito da leggiadre piume, se non alla purezza di una colomba?
Il gioco a cui è invitato a partecipare il pubblico è sottile, garbato, mai irrispettoso.
Nonostante il coro maschile diretto da Giovanni Andreoli entri in scena simulando il trotto su destrieri invisibili in quello che sembra un velato accenno al film Monty Phyton e il sacro Graal e ad una delle gag più memorabili del gruppo comico inglese.
Il cast vocale è di tutto rispetto in quella che è un’opera corale che richiede destrezze e abilità per tutti i ruoli.
Il Don Magnifico di Giulio Mastrototaro mostra le doti vocali del buffo in perfetto equilibrio con quelle del basso serio. E’ capace di strappare più volte risatine al pubblico giocando sui recitativi e sui colori, padroneggiando ampiamente i sillabati in “Sia qualunque delle figlie…”, ma anche di far inorridire per la spietatezza che ostenta nei confronti della figliastra alla quale non risparmia un sonoro schiaffo alla sua richiesta di essere portata al ballo.
Una scelta che svela uno dei momenti più drammatici dell’opera.
Perché non va dimenticato che seppur gioioso questo è pur sempre un dramma e Don Magnifico è il cattivo.
D’altro canto le sue due figlie non sono da meno. Clorinda e Tisbe, interpretate rispettivamente dal soprano Chiara Notarnicola e dal mezzosoprano Giuseppina Piunti, sono superficiali, petulanti, capricciose. Caratteristiche vocali che si rivelano nella musica Rossiniana e che vengono messe in risalto dalla recitazione. Una comicità sottolineata anche qui da un riferimento animale nei continui miagolii con cui si accompagnano le due ragazze durante l’opera e che alla fine trovano sfogo nel secondo atto quando intoneranno proprio il famoso “Duetto dei gatti” impropriamente attribuito a Rossini.
Una trovata felice che funziona e trasforma il siparietto comico in un gran momento di teatro buffo che il pubblico dimostra di gradire.
Alidoro viene trasformato, da un ruolo iniziale di quasi comprimario, a vero protagonista dall’aria lunga e virtuosistica del primo atto scritta da Rossini con una tessitura baritonale che richiede un ottimo interprete e che trova in Pablo Ruiz una voce potente, dalla linea di canto morbida e fluente nelle agilità, solenne nel declamato e capace di conferire maestosità e sicurezza. Sviluppa bene tutte le intenzioni del personaggio e, come a voler sottolineare la grandezza dei suoi propositi, decide di concludere l’aria con una puntatura.
Il personaggio è ben caratterizzato sia nella parte in cui si finge povero vecchio in cerca di un’elemosina, sia nella parte del saggio consigliere.
Appare spesso in scena come vero Deus ex machina della vicenda e ci appare come colui che imbastisce trame, spinge gli eventi, crea le situazioni e risolve il tutto nel lieto fine. Sempre contornato da giocosi angeli, assume caratteristiche più che magiche, direi, divine.
Basta un suo cenno delle braccia, aiutato dai sospiri dei cherubini, a spingere i due giovani l’uno di fronte all’altro.
Quasi per incanto Cenerentola si imbatte nel Principe Ramiro che si mostra a lei con la finta identità dello scudiero. Le luci sapientemente fatte calare sui personaggi, una calda dominanza che avvolge la sala, e il soffio degli angeli che li sospingono l’uno verso l’altro, sottolineano il magico momento in cui i sentimenti affiorano nel loro cuori.
Il Principe Ramiro è ben interpretato sotto ogni punto di vista dal tenore Dave Monaco. Sempre verosimile nell’ accattivante giovane di bell’aspetto che il fato sospinge verso Cenerentola. La vocalità presenta un bel timbro impreziosito da acuti brillanti e facilità nel risolvere le modulazioni più ostiche. Nell’aria tripartita del secondo atto in cui distinguiamo l’allegro “Si ritrovarla io giuro…” con i primi due svettanti squilli che annunciano il desiderio di ritrovare l’amata, seguito dall’andantino “Pegno adorato e caro…” carico di desiderio, per finire con l’allegro vivace “Noi voleremo, domanderemo…”, in cui interviene il coro in un dialogo alternato carico di dinamismo, il tenore è sempre vocalmente sicuro, spiccante e il suono è sempre girato bene a cercare gli acuti fino all’ultimo Do che conclude il numero e che sostiene saldamente e a lungo.
Dandini ha la simpatia debordante, il ghigno beffardo e la voce calda, sicura e prorompente del baritono Christian Senn.
Entra fastoso e pieno di sé, nei finti panni del Principe, e si presenta con l’arioso “Come un ape ne’ giorni d’aprile…” in cui sfodera musicalità e ottimo timbro per poi sciorinare con grande bravura le agilità nella cabaletta “Per pietà quelle ciglia abbassate…”.
Ottimo anche nei recitativi e nei sillabati con cui risponde a tono alle richieste di Don Magnifico nel duetto del secondo atto.
Nel ruolo del titolo il mezzosoprano Paola Gardina riunisce in sé tutte le caratteristiche del personaggio. Tenera ma anche determinata. Dolce ma non stucchevole. Innamorata eppur paziente. In Cenerentola queste doti non sfociano mai nel patetismo ma trovano soluzione nell’agilità di forza. Tutte intenzioni del personaggio sono risolte con un mezzo vocale consistente pieno di sfumature e una recitazione precisa e coinvolgente. Dalla imperturbabilità iniziale con cui gorgheggia la prima arietta “Una volta c’era un Re…” fino all’esser fonte di stupore nel rondò finale, vero banco di prova per la cantante, in cui l’ampiezza vocale si sposa con le infiorettature più ardite nell’apoteosi dove la potenza della protagonista si impone su tutti. Pennella sapientemente la cabaletta finale con messe di voce padroneggiate con sicurezza ed efficacia tale mettere in secondo piano il quasi impercettibile salto che si avverte nella salita agli ultimi due acuti.
Il risultato è uno spettacolo onesto, a tratti un tantino ingessato, e con qualche imperfezione che si può spiegare anche con la tensione per la prima. Non perfetto quindi ma pregevole nell’allestimento e con dell’ottimo materiale vocale. Le rifiniture dei personaggi probabilmente aumenteranno con le recite successive e una maggior confidenza con le scene. Come spesso accade.
Riassumendo, dopo un’ouverture dal suono asprigno e non ben amalgamata nell’insieme, e un primo atto di routine in cui la reazione del pubblico rimane piuttosto fredda, il teatro di Cagliari, con la platea gremita, si lascia conquistare dallo sfoggio vocale dei due protagonisti, dalla impetuosa scena del temporale, dalla simpatia miagolante di Clorinda e Tisbe, e dal virtuosismo del sestetto “Questo è un nodo avviluppato…” e alla fine applaude tutti in modo convinto.
Loredana Atzei