CAGLIARI: Le Villi – Giacomo Puccini 28 e 29 luglio 2021

CAGLIARI: Le Villi – Giacomo Puccini 28 e 29 luglio 2021

  • 30/07/2021

Le Villi

opera-ballo in due atti
libretto Ferdinando Fontana
musica Giacomo Puccini
omaggio a Graham Vick

  • Maestro concertatore e Direttore Giuseppe Grazioli
  • regia Renato Bonajuto 

Personaggi e Interpreti :

  • Guglielmo Wulf Andrea Borghini (28-30)/Anooshah Golesorkhi (29-31)
  • Anna Monica Zanettin (28-30)/Charlotte-Anne Shipley (29-31)
  • Roberto Raffaele Abete (28-30)/Denys Pivnitskyi (29-31)
  • Un narratore Simeone Latini 

 

Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari 

Maestro del coro Giovanni Andreoli 
scene Danilo Coppola 
costumi Marco Nateri 
luci Emiliano Pascucci 
coreografia Luigia Frattaroli 
nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari 
prima esecuzione a Cagliari

Cagliari Classicalparco 28 e 29 luglio 2021


Il titolo più atteso di Classicalparco2021, la stagione nello spazio all’aperto del Teatro Lirico di Cagliari, era probabilmente Le Villi, prima opera di Giacomo Puccini, novità assoluta per il capoluogo sardo.
Curiosa opera-ballo assai sottovalutata del musicista lucchese, vide la luce al Teatro dal Verme di Milano il 31 maggio 1884, e, nella sua versione definitiva, al Teatro Regio di Torino, il 26 dicembre 1884.
In realtà Le Villi è un interessantissimo laboratorio di tutto quello che verrà, e in nuce è ben presente tutto il Genio pucciniano. In particolare nel secondo atto la musica è di notevolissimo livello, al pari della drammaturgia, che si fa più coinvolgente. Non si tratta solo della celeberrima pagina della “Tregenda”, trascinante e notturna, percorsa da brividi quasi espressionisti, ma di tutta la grande pagina del duetto finale Anna-Roberto e della bellissima (e difficile) aria del tenore “Torna ai felici dì”. Comunque, per chi sa ascoltare, quanta “Manon Lescaut”, quanta “Bohème” già si rincorrono tra le righe del pentagramma…
Di questa partitura, sul podio dell’eccellente Orchestra del Teatro Lirico, il Maestro Giuseppe Grazioli è stato esecutore attento e partecipe, “credendoci” molto, e questo è importante con taluni titoli. La musica ha sempre avuto il giusto respiro, le palpitanti accensioni, i lirici abbandoni richiesti. Non si è mai avuta l’impressione, grande merito, di trovarci di fronte alla trama in costruzione di un futuro arazzo artistico ma a qualcosa di già compiutamente tessuto.
Il nuovo allestimento, di notevole suggestione, portava la firma di Renato Bonajuto (regia, al suo debutto al Lirico cagliaritano), Danilo Coppola (scene), Marco Nateri (costumi), Luigia Frattaroli (coreografie) Emiliano Pascucci (disegno luci).
Bonajuto ha immaginato un mondo nordico e claustrofobico, in bianco e nero, quasi fosse un dramma borghese tormentato e introverso che ricorda le atmosfere raggelate di Ibsen e Strindberg, con i sentimenti pronti a rompere la crosta delle convenzioni, ma anche le favole gotiche e dark alla Tim Burton (e in questo le luci ghiacciate, bianche, lilla, verdognole di Pascucci hanno avuto la loro bella parte di effetto). In scena la silhouette di un bosco monocromatico creato con veli di tulle sullo sfondo e una pedana girevole inclinata che è di volta in volta luogo dell’azione e vortice che inghiotte. L’ottimo lavoro di Coppola è perfettamente aderente all’idea registica, così come quello di Nateri che ha creato costumi giocati sulle sfumature del nero e grigio in fogge fine Ottocento, salvo i candidi e fluttuanti pepli delle Villi, più avanti con il volto coperto da veli impreziositi da gocce di cristallo a simboleggiare le lacrime.
Per ragioni di protocollo Covid, Il solidissimo Coro del Lirico, che nell’opera svolge ruolo importante, è schierato in borghese al lato del palco, e quindi il suo compito è svolto sulla scena da sette danzatori e sette danzatrici, che mimano l’azione drammatica (le coreografie assai belle di Luigia Frattaroli sono un punto di forza dello spettacolo, espressive, drammatiche, fluide, raccontano tutta la vicenda con taglio profondamente teatrale). Sono praticamente i doppi di Anna e Roberto e ne rispecchiano la sfortunata storia. Quando la ragazza viene abbandonata e muore, le donne smettono i loro abiti scuri e si trasformano nelle vendicative Villi, mentre gli uomini diventano uomini-zolla (suggestive le guaine quasi invisibili che richiamano i colori bruciati della terra), sorta di spiriti malvagi evocati dalle viscere del sottosuolo dal desiderio di vendetta delle fanciulle decedute per amore, che sospingono la ruota che diventa così un gorgo ossessivo che tutto cattura e distrugge, per diventare poi quasi tentacoli e scudo di Anna.
Molto suggestivo, nell’impeccabile regia di Bonajuto (che coniuga con saggezza e abilità imaginifica tradizione a richiami contemporanei) il momento in cui, tra i fumi, si solleva la croce che copre la tomba di Anna, mostrando le lunghe radici e quando, nella scena finale, lo spettro della protagonista, imprimendo il bacio della morte a Roberto sfinito dalla danza delle Villi, lo trascinerà con sé nel proprio avello, che si richiude. Spettacolo di indubbio impatto ed empito creativo.
Tre i protagonisti vocali e doppio cast ad alternarsi. Anna erano rispettivamente Monica Zanettin e Charlotte-Anne Shipley. Fatta la tara alla purtroppo necessaria amplificazione (non la amiamo affatto ma il luogo la richiede), Monica Zanettin ha sfoggiato un bel corpo vocale, timbro personale, intensa partecipazione interpretativa; ancora più luminosi gli svettanti acuti di Charlotte-Anne Shipley, soprano che unisce disteso lirismo ad appassionato slancio drammatico.
Raffaele Abete e Denys Pitvinsky hanno impersonato Roberto. Bella voce schietta di tenore italiano il primo, con un canto franco e sincero, di gradevole presa sull’ascoltatore anche per l’accattivante presenza scenica; sicurezza, salita all’acuto intemerata, con un’ancora più varia ricerca di sfumature non sono mancati nemmeno all’ucraino Denys Pitvinsky, interessantissima voce di tenore spinto con sfumature drammatiche, maggiormente coinvolto, ci è parso, nel gioco drammatico.
Andrea Borghini è baritono di buona scuola e canto misurato e sorvegliato, doti che ha fatto valere nel ruolo di Guglielmo. Anooshah Golesorkhi ha voce “di lungo corso” e qua e là questo si avverte in certe incrinature, ma l’interprete è pur dolente e partecipe.
Al termine di entrambe le recite, calorosissimi e prolungati applausi, con numerose chiamate alla ribalta, per tutti gli artefici dello spettacolo.

Giulio Spadari

 

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