«Che dice il Cavalier?» Tosca al Teatro Municipale di Piacenza, 15 e 17 marzo 2019
GIACOMO PUCCINI
TOSCA
Dramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Sesto Quatrini, direttore
Joseph Franconi Lee, regia da un’idea di Alberto Fassini
Personaggi e Interpreti:
- Floria Tosca Susanna Branchini
- Mario Cavaradossi Stefano La Colla
- Il barone Scarpia Amartuvshin Enkhbat
- Cesare Angelotti Giovanni Battista Parodi
- Il sagrestano Valentino Salvini
- Spoletta Manuel Pierattelli
- Sciarrone Stefano Marchisio
- Un carceriere Simone Tansini
- Un pastorello Maria Dal Corso
William Orlandi, scene e costumi
Roberto Venturi, luci
Daniela Zedda, assistente alla regia
Corrado Casati, maestro del coro
Mario Pigazzini, maestro del coro voci biancheORCHESTRA FILARMONICA ITALIANA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
VOCI BIANCHE DEL CORO FARNESIANO DI PIACENZACoproduzione
Fondazione Teatri di Piacenza
Fondazione Teatro Comunale di Modena
Fondazione Teatro Regio di ParmaALLESTIMENTO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
di Attilio Cantore
«Il mondo è un bellissimo posto / per nascere / se non vi scoccia che la felicità / non sia sempre / questo gran divertimento / se non vi scoccia un pizzico d’inferno / ogni tanto / proprio quando va tutto alla grande / visto che anche in cielo / non cantano / da mattina a sera». Così scrive in Pictures of the Gone World (1955) Lawrence Ferlinghetti, poeta statunitense – con buona dose di Francia, Portogallo e Lombardia nel DNA – che proprio questo mese festeggia i suoi cento anni. Riflessione che potrebbe essere valida anche per il teatro di Giacomo Puccini, universo fantasmagorico per il quale il compositore lucchese fu destinato per divina volontà: «E il Dio santo mi toccò col dito mignolo e mi disse: “Scrivi per il teatro: bada bene – solo per il teatro” e ho seguito il supremo consiglio». Il Teatro Municipale di Piacenza, impegnato in una lodevole valorizzazione del prezioso lascito culturale e letterario del poeta Luigi Illica, ha celebrato nel migliore dei modi il centenario della morte del conterraneo librettista, presentando due opere in Stagione ascrivibili al suo genio. Dopo l’Andrea Chénier, in scena il 22 e 24 febbraio, ecco finalmente giungere le attesissime recite di Tosca, il 15 e 17 marzo, nel suggestivo allestimento del Teatro Regio di Parma firmato dal compianto regista Alberto Fassini, che compie quasi tre decenni ma conserva intatto tutto il fascino e la poesia. Il maggior interesse di questa ripresa piacentina – curata da Joseph Franconi Lee, scene e costumi di William Orlandi – risiede però, per ovvie ragioni, nel cast e soprattutto nella direzione musicale.
La concertazione del trentacinquenne Sesto Quatrini, uno dei più apprezzati esponenti della jeune garde dei direttori italiani, illumina in ogni dettaglio le molteplici sfumature del mirabile affresco pucciniano con esiti di preziosa qualità. Il suo debutto di Tosca è un successo! Conquista il pubblico in sala con una interpretazione intensa, sostanziata da attenzioni ed intenzioni di lettura che rendono ragione di una scrittura elaboratissima, dove per chiaroscuri mozzafiato si intrecciano circa sessanta differenti Leitmotive. Il giovane direttore romano, forte di una matura e consapevole visione d’insieme della complessa drammaturgia degli accadimenti sonori, cura con millimetrica precisione ogni dettaglio. Con eleganza e vigore conduce sull’itinerario prescelto tanto l’Orchestra Filarmonica Italiana quanto il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito da Corrado Casati, e il Coro di voci bianche del Coro Farnesiano, preparato da Mario Pigazzini.
Sesso e Arte, Religione e Sadismo si fondono e confondono nel dramma pucciniano ambientato nel giugno 1800 a Roma. Hic amor, haec patria est! Stefano La Colla è un mirabile Mario Cavaradossi, sognatore come il migliore dei pittori, ma nobile e fiero come si addice a un «Cavaliere» discendente di un’antica famiglia di patrizi romani. La Colla assolve con fraseggio eloquente l’impervia parte tenorile con puntature vertiginose, dominando costantemente il palcoscenico con verve attoriale lusinghiera e di sicuro effetto. Artista innamorato in «Recondita armonia»; amante tenerissimo nel dolce idillio di «Qual occhio al mondo può star di paro all’ardente occhio tuo nero?»; eroico repubblicano infuocato nel terzetto travolgente «L’alba vindice appar» quando truci visu proclama i propri sentimenti libertari contro le tirannidi. Ovazione del pubblico piacentino per «E lucevan le stelle»: senza esplicite richieste, anche il bis. Susanna Branchini, voce dal colore pregevole ma in certi punti dal suono un po’ metallico, con notevole impegno scenico accende scavi interiori e dà corpo a una Floria Tosca tenace – talvolta anche troppo – che indulge volentieri in una graffiante recitazione. Raccolta nel sacro pudore della sofferenza, mentre ausculta la propria angoscia, prega devotamente il Signore e riflette sul proprio destino esoràbile in un non memorabile «Vissi d’arte». Il barone Scarpia, ex opibus summis, non è solo il motore del dramma ma è incarnazione dei feroci superbi e dei cupidi lascivi: dotato di ingegno tanto avvezzo alle simulazioni è tout entier à sa proie attaché, la seducente diva. L’immutabile crudeltà del personaggio è esaltata superbamente dal baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, già apprezzato ampiamente in ruoli verdiani, presenza di forte autorità e voce dalle ricche nuances espressive che ha fatto ben trasparire la diabolica ebrietudine del capo della polizia borbonica: dalla fastosa scena del Te Deum – con solenne processione in Sant’Andrea Della Valle dal sapore cinematografico letteralmente immersa da nubi di incenso sparso da sacratici turiboli – fino alle due arie del secondo atto, «Ella verrà», dichiarazione del suo credo erotico, ed il “monologo” «Già. Mi dicon venal».
Affiancano i protagonisti, i due ciafferi cabalantes Spoletta (Manuel Pierattelli) e Sciarrone (Stefano Marchisio); il fuggiasco «console della spenta Repubblica Romana» Cesare Angelotti (Giovanni Battista Parodi); il sagrestano (Valentino Salvini, che non sembra affatto preoccuparsi di farsi udire troppo in là del boccascena), il carceriere (Simone Tansini) e il pastorello (Maria Dal Corso, che, come sovente alla cultura di tradizione orale si addice, intona con disinteressata approssimazione un breve stornello).