“Concerto di Capodanno del Ravello Festival, ovvero l’augurio di riflettere per poter guardare all’orizzonte”
di Antonio Cesare Smaldone
Si apre nel migliore dei modi il 2019 del Ravello Festival che, giunto alla sua sessantaseiesima edizione, ha scelto di programmare un Concerto di Capodanno d’eccezione. Ciò s’addice al luogo che lo ospita e, altrettanto, alle attese del pubblico che, intervenuto dai luoghi più disparati, ha gremito l’Auditorium che guarda all’infinito generando un prevedibile quanto rincuorante Sold-Out. Il Programma scelto non ha nulla a che vedere con quanto di prevedibile si potrebbe attendere dall’occasione del Capodanno. È un omaggio all’Opera Lirica in molteplici sue sfaccettature, una sorta di Canto all’Italia e alla Bellezza.
Protagonista indiscussa dell’evento primo dell’anno solare è stata il Soprano Mariella Devia, freschezza ed eleganza in una sintesi perfettissima di sacrificio, classe e devozione che, nel corso di tutta la sua carriera, non hanno mai mancato di mettere in luce la sua intelligenza di Artista. Altrettanto vincente la scelta da parte del Festival di individuare in Matteo Beltrami il protagonista del podio, splendidamente tenuto a conduzione dell’Orchestra del Teatro “G. Verdi” di Salerno che ha dimostrato buona omogeneità di livello e una completa partecipazione della resa esecutiva. Un’occasione del genere non lascia molto margine ad una mera descrizione puntuale di come siano andate le cose: quando si partecipa a dei veri e propri Eventi del respiro musicale la cosa che resta non sono le impressioni di questo o quel passaggio ma la testimonianza artistica che suggerisce riflessioni di più ampio e profondo spettro. Bisogna rendere però atto di quanto realizzato e, per la parte sinfonica, non si può non segnalare come l’interpretazione di Beltrami sia stata sempre quella di Artista attento alle ragioni della Musica, a dimostrazione di una capacità di permeazione della Partitura profonda e rispettosa che non ha però mancato, altresì, di rivelare il personale impulso che, attraverso un gesto chiaro ed espressivo, ha significato in ogni brano proposto un pieno e continuo coinvolgimento emotivo della compagine orchestrale a sua volta trasfuso intensamente all’uditorio entusiasta. In Bizet si ha la conferma di quanto già mostrato con sicurezza anche in recenti fiorentine apparizioni; in Bellini tocchiamo vette che hanno ancor più di meritorio (non smetteremo mai di sottolineare come sia complesso poter rendere in maniera esatta una scrittura tanto apparentemente “semplice”); sia per Verdi che per Mascagni resta impressa, in particolare, la gestione impeccabile dei fiati assieme alla scelta di giocare gli archi come a trovare nelle arcate un filo di seta che, al momento opportuno, sappia farsi velluto. Bravo!
Per quanto concerne i momenti solistici della Signora Devia, a valore di tutto il Programma, basti dire che per ogni singolo brano eseguito si potrebbe redigere un singolo Saggio, di Vociologia ed Estetica al tempo stesso.
“Je veux vivre” siamo tristemente abituati ad ascoltarla in Concorsi e Concerti da molte giovanissime che sfruttano la freschezza giovanile del mezzo vocale a sopperimento di una ben più profonda ragione tecnica che muove la gestione complessiva di quanto richiesto dalla parte; qui tutto è chiarissimo e la freschezza di quanto è possibile udire, in ogni più piccola sfumatura, è la dimostrazione tangibile di cosa significhi per una Voce saper avere lunga vita. “Casta Diva” è puro sogno: il fraseggio lungo è impeccabile, il dettaglio dei cromatismi spaziale (pulitissimo ed espressivo al tempo stesso), la Luna stessa pare prendere il posto del Sole che inonda la Costiera per eclissarlo attraverso una sublime lezione di Stile. “Porgi Amor” (che ha qui sostituito “Non fu sogno”) ci concede la possibilità di poter comprendere quanto sia possibile rendere in senso fisico il concetto di “morbidezza”: non è trascrivibile con dei lemmi ma, signori miei, ascoltarla e sentirla è stato come essere attraversati da un fluido dolcissimo e denso al tempo stesso. No, non è la réclame di un noto cioccolatino anche se, a dirla tutta, forse proprio la parola “scioglievolezza” è quella che rende meglio l’idea… noi l’abbiamo goduta così! “Addio del passato” che, come sappiamo, pone molteplici questioni sia tecniche che interpretative viene risolta con la fierezza di chi sa e la devozione, il ché desta ancor più rispetto, di chi vuole dare ancor di più, fino in fondo: si traduce così, quasi per transustanziazione, il senso drammaturgico di una Donna artista della Vita in un’Artista che ci fa vedere la Vita e la Donna. “Tu che di gel sei cinta” è un colpo al cuore, allo stomaco, agli occhi… ogni marcato segnato in partitura c’è ed è uno stiletto, ma non quello aberrante che le “nuove mode” ci propongono ormai di consueto… ogni stilettata è feroce di cupo, quanto mai etereo, vigore: sintesi perfetta di una giovinezza tradita che solo una Voce che non tradisce l’Arte può rendere così.
Nel rush social-mediatico che ha accompagnato l’Evento, qualcuno che ben sa ha definito questo Evento come un “Concerto di Capodanno serio!”. Facciamo nostra questa affermazione perché è stato davvero così.
Serio per intenti, serio per realizzazione, serio per possibilità di riscontro e riflessione offerti. Le più vive felicitazioni al Ravello Festival: oggi abbiamo più bisogno che mai di occasioni per poter riflettere.
Riflettere su chi siamo stati per rivendicare la solidità delle basi del nostro mondo; riflettere su chi siamo per prendere coscienza pratica degli strumenti che abbiamo a disposizione per agire; riflettere su chi vogliamo essere per canalizzare il nostro respiro verso una causa reale e meritoria.
Riflettere così, dalla “Terrazza dell’Infinito”, è il miglior augurio che si possa ricevere e rivolgere oggi… che valga ogni giorno dell’anno!