CREMONA: La Gioconda – Amilcare Ponchielli, 6 novembre 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi
LA GIOCONDA
AMILCARE PONCHIELLI
Melodramma in quattro atti. Libretto di Arrigo Boito.
Musica di Amilcare Ponchielli
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 8 aprile 1876
Direttore Francesco Ommassini
Regia e scene Filippo Tonon
Personaggi e Interpreti:
- La Gioconda Rebeka Lokar
- Laura Adorno Cristina Melis
- Alvise Badoero Simon Lim
- La Cieca Agostina Smimmero
- Enzo Grimaldo Angelo Villari
- Barnaba Angelo Veccia
- Zuàne Alessandro Abis
- Isèpo Francesco Pittari
- Un cantore Francesco Azzolini
- Un pilota Maurizio Pantò
- Un barnabotto Nicolò Rigano
- Una voce Dario Righetti
- Un’altra voce Jacopo Bianchini
Costumi Filippo Tonon e Carla Galleri
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografo Valerio Longo
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
ORCHESTRA E CORO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA
CORO DI VOCI BIANCHE A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione Arena di Verona, Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, Teatro Massimo Bellini di Catania
Teatro Ponchielli, 6 novembre 2022
La Gioconda è tornata a casa dopo 26 anni. Il capolavoro di Ponchielli mancava dalle scene liriche del Teatro della città nella cui immediata provincia nacque il compositore lombardo, dal 1996. Si è trattato di un ritorno per larga parte fortunato.
Questo sfrenato manifesto (insieme con Mefistofele) della Scapigliatura in musica, che raccoglie tutto quello che è venuto prima e anticipa ciò che verrà nei decenni a seguire, andrebbe studiato a fondo da chi vuole avvicinarsi al mondo del melodramma, come scrigno che raccoglie tutto quello che c’è da sapere dell’opera italiana. A partire del fiammeggiante, iperbolico, letterariamente arditissimo nelle sue roventi ed esasperate volute linguistiche, libretto di Arrigo Boito (alias Tobia Gorrio).
Sei protagonisti che coprono le sei corde vocali, un’orchestrazione magistrale e raffinata (altro che grand-opéra padana, qui ci sono tanto studio e tanta cultura), un’inventiva melodica continua e catturante, con moltissimi momenti, che sono, né più né meno, grande musica. È ora di abbassare il sopracciglio alzato, per quelli che ancora lo alzano e purtroppo, soprattutto per loro, ci sono e riconoscere che questo titolo, come molti altri di questo periodo della produzione operistica italiana, riscoperti o ancora in attesa, merita un posto d’onore nel Pantheon delle creazioni artistiche straordinarie.
L’opera debuttò alla Scala nel 1876, il compositore la rimaneggiò più volte, e la versione definitiva, quella che oggi si ascolta, andò in scena di nuovo al Piermarini nel 1880.
Filippo Tonon regista, scenografo e costumista (in quest’ultima veste coadiuvato da Carla Galleri) dello spettacolo al Ponchielli (una coproduzione di OperaLombardia, Fondazione Arena di Verona, Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, Teatro Bellini di Catania) ha deciso di ambientare la vicenda proprio nel 1876, quando La Gioconda nacque. Scene semoventi e costumi sono di notevole impatto (con tanto di guizzar di fiamme vere per l’incendio del brigantino al termine del secondo atto), l’allestimento appaga la vista e la regia è condotta tradizionalmente, abbandonandosi senza resistervi – come è giusto – all’irrinunciabile profumo di felleuiton della vicenda, a metà tra i romanzi d’appendice di Carolina Invernizio e il grand guignol, e sia detto con rispetto per entrambi i generi. In due parole, convince e diverte. E va bene così.
Le coreografie di Valerio Longo, bastantemente spumeggianti per la “Furlana” del primo atto, sono risultate sin troppo scarne per la celeberrima Danza delle Ore, eseguita da tre sole danzatrici del Balletto di Roma, con effetto “vorrei ma non posso” un po’ miserello.
Orchestra e Coro (una menzione per quest’ultimo diretto da Ulisse Trabacchin e per il Coro di Voci Bianche A.LI.VE. preparato da Paolo Facincani) sono della Fondazione Arena di Verona. Franceso Ommassini, sul podio, ha restituito i giusti tempi, colori e atmosfere alla partitura, con scrupolosa attenzione alla particolare tinta e fraseggio pretese da questo tipo di repertorio. Il risultato è stato sicuramente più convincente di quello ottenuto da non italiche bacchette in blasonati teatri, anche in tempi recenti.
Rebeka Lokar, ammirata la scorsa stagione come Minnie della Fanciulla del West, debuttava con questa produzione nell’impervio ruolo di Gioconda, che ha affrontato mettendone principalmente in risalto il versante lirico, senza rapinosi affondi nel grave o fiondate fulminanti in acuto. Questa sua lettura, che è parsa talvolta quasi “intimistica”, ha trovato i suoi migliori accenti nel quarto atto, dove l’interprete è apparsa più appassionata, coinvolta e coinvolgente.
Angelo Villari (Enzo), ha dalla sua un registro acuto squillante e intemerato e una generosa espansione del suono. Con queste carte a sua disposizione e una naturale estroversione nel canto, sicuramente conquista meritatamente il favore del pubblico.
Angelo Veccia può vantare esperienza, mestiere e una vocalità salda, e ritrae un Barnaba malvagio e tenebroso a dovere.
Meno interessante la Laura di Cristina Melis, di timbro non particolarmente personale né irresistibilmente incisiva nel canto. Una prova interlocutoria.
Le due voci più gravi, erano, a mio parere, le migliori in campo. Agostina Smimmero è uno dei pochi veri contralti in circolazione. Voce scura, timbrata, dalle suggestive screziature di tenebra, dona alla Cieca una vocalità palpitante e densa di emozione, rendendo notevole ogni suo intervento.
Simon Lim, già recentemente apprezzatissimo come Mefistofele a Piacenza, è un Alvise Badoero autorevolissimo tanto nel canto quanto come interprete. Bellissimo colore di basso, sicuro ed omogeneo in tutti i registri, fraseggio appropriato, accenti sempre curati e carichi delle giuste intenzioni. Un cantante che è ormai una garanzia.
Nella folta schiera dei comprimari si mettono in luce Alessandro Abis (Zuàne) e Francesco Pittari (Isepo). Gli altri erano Francesco Azzolini (Un cantore), Maurizio Pantò (Un Pilota), Nicolò Rigano (Un barnabotto), Dario Righetti (Una voce), Jacopo Bianchini (Un’altra voce).
Pubblico festante al termine e Teatro gremito.
Nicola Salmoiraghi