CREMONA: L’incoronazione di Poppea – Claudio Monteverdi, 16 giugno 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi
L’INCORONAZIONE DI POPPEA
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Musica di Claudio Monteverdi
Poesia di Giovanni Francesco Busenello
Maestro concertatore e direttore Antonio Greco
Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi
Personaggi e Interpreti:
- Poppea Roberta Mameli
- Nerone Federico Fiorio
- Ottavia Josè Maria Lo Monaco
- Ottone Enrico Torre
- Seneca Federico Domenico Eraldo Sacchi
- Arnalta Candida Guida
- Drusilla Chiara Nicastro
- Lucano/1° soldato/famigliare 2° Luigi Morassi
- Liberto/2° soldato/console Luca Cervoni
- Mercurio/3° famigliare/tribuno/littore Mauro Borgioni
- Nutrice/famigliare 1° Danilo Pastore
- Fortuna Francesca Boncompagni
- Amore/Valletto Paola Valentina Molinari
- Virtù/Pallade/Damigella Giorgia Sorichetti
Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua
nuovo allestimento della Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli in coproduzione con
Opera Lombardia, Teatro Verdi di Pisa, Fondazione Ravenna Manifestazioni – Teatro Alighieri di Ravenna
Teatro Ponchielli, 16 giugno 2023
Il passato è qui, presente, dopo 4 secoli, e parla all’oggi come non mai. Quale straordinario capolavoro è L’incoronazione di Poppea, che ha inaugurato al Teatro Ponchielli di Cremona il 40° Festival Monteverdi! Su una meraviglia assoluta come il libretto straordinario di Giovanni Francesco Busenello, che andrebbe insegnato nelle scuole come altre perle della letteratura operistica altroché, un già 75enne Claudio Monteverdi (età assai avanzata per l’epoca) crea per le scene, nel 1643, il suo ultimo capolavoro operistico.
Sorta, non paia irriverente, di soap opera del XVII secolo ante litteram, L’incoronazione squaderna tutto quanto fa la vita di tutti ancora ai nostri giorni: amore, gelosia, sete di potere, egoismo, sesso come metodo di scalata, fluid gender, passione, intrigo, delitto, menzogna, in un continuo amare (o quasi) sempre la persona sbagliata che ama (o quasi) qualcun altro. Il tutto intessuto su una trama sonora di tale preziosa cesellatura e incredibile pregnanza drammatica, che non c’è un solo momento nelle oltre tre ore di musica che paia superfluo o accessorio. Il gioco degli affetti, dei difetti e dei non detti rimbalza e si sostanzia di pagine di perlacea sospensione e corrosiva ironia. Quanto, ma quanto davvero c’è di noi allo specchio, in quest’opera che parla della vita, e del trionfo del male quasi sempre sul bene, purtroppo, ma filtrato attraverso la filigrana di una scrittura poetica che astrae e sublime le più umane, meschine vicende.
Alla guida dell’Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua, su strumenti originali, Antonio Greco ha offerto una lettura scrupolosissima e tramata di chiaroscuri della preziosa musica monteverdiana, tra pastellati abbandoni di sentimenti e slarghi di luminosa cantabilità, ora notturni, ora illividiti dai colori dell’alba o accesi dal fuoco sensuale del tramonto. Monteverdi è il padre di ogni vera emozione che da lì in vanti ci travolgerà nell’evoluzione del melodramma, che paradossalmente è la trasformazione di qualcosa che è già modernissimo all’origine.
Pier Luigi Pizzi, 93 anni di età portati intellettualmente e fisicamente con la freschezza di un quarantenne e 72 anni di carriera, è la Storia del Teatro italiano e non solo, è il suo presente e verrebbe da dire il suo futuro (ha progetti da qui all’eternità, quell’eternità che si consuma in terra, ben inteso!). Ha firmato in regia, scene, costumi e luci quest’allestimento e che dire se non che ci troviamo di fronte alla classe di un teatro senza tempo, condotto con eleganza, simmetrica danza scenica delle idee drammaturgiche, conduzione impeccabile e vaporosa dei personaggi, sempre credibili, sempre fascinosi e ambigui, sempre “recitanti” e veri e con momenti di altissima scuola e coinvolgimento; il duetto Nerone-Lucano, il bellissimo “Or che Seneca è morto” è un prodigio di sensualità a attrazione omosex, tutte giocate sul filo di una seduzione e di un erotismo a fior di pelle che conquista per la sua verità e coinvolgimento (e avere due interpreti credibili come Federico Fiorio e Luigi Morassi, di soggiogante presenza scenica, benissimo condotti peraltro, ha aiutato moltissimo); l’“Addio Roma” di Ottavia, risolto come l’ultimo grande numero da varietà tragico di una diva al suo ritiro, in lamé nero e guanti bianchi, è riuscitissimo, con l’imprevisto suicidio della donna, che resta in scena sino a che Nerone, noncurante e togliendole la corona per depositarla sul capo di Poppea, ne fa rotolare il corpo oltre la quinta. Davvero uno spettacolo molto bello.
Nel cast emergono le splendide prove di Roberta Mameli (Poppea) e Federico Fiorio (Nerone). La prima vanta una voce piena, pastosa, screziata di seducenti sfumature, bellissima presenza e indiscutibile carisma d’attrice, Una Poppea pressoché ideale. Federico Fiorio, che avevo già ammirato quale Andronico nel Tamerlano di Vivaldi al Municipale di Piacenza, è agguerritissimo controtenore, sia tecnicamente che per resa espressiva, Nerone perfetto nei suoi scatti infantili, lascivi, protervi e imperiosi. Bravissimo. Oltretutto le due voci, nei duetti, tra cui il celeberrimo “Pur ti mio, pur ti godo” finale, avevano la ventura di fondersi e di confondersi tra loro in un impasto per certi versi inebriante.
Interessante la vocalità anche di Enrico Torre (Ottone), anche in questo caso affidato un controtenore, e mai si benedice abbastanza questa scelta più filologicamente corretta e sempre auspicabile.
Josè Maria Lo Monaco è stata una vocalmente corretta Ottavia, forse non particolarmente impattante in quanto a personalità; Federico Domenico Eraldo Sacchi ha ottimamente impersonato un sonoro e autorevole Seneca.
Di bel rilievo le prove delle due Nutrici: Arnalta, qui Candida Guida, quindi un mezzosoprano, non il consueto uomo en travesti, a cui tocca la magnifica e ipnotica “Oblivion soave” e la Nutrice di Poppea (il controtenore Danilo Pastore, anche Primo Famigliare di Seneca) che, in questo continuo mosaico di ambiguità sessuali, non manca di esibire, tra ammiccanti sgonnellamenti, la sua effettiva “virilità”.
Chiara Nicastro era una discreta Drusilla. Di Luigi Morassi, per inciso di magnifica presenza, si è accennato come Lucano (ma era anche un Soldato e un Famigliare di Seneca); ha fatto sfoggio di una voce baritenorile di notevole slancio e bel colore; sicuramente un giovane talento da tenere d’occhio.
Le tre dee erano Francesca Boncompagni (Fortuna), Giorgia Sarichetti (Virtù, ma anche Pallade e Damigella) e soprattutto la squillante e vivacissima Paola Valentina Molinari (Amore e anche Valletto).
Completavano il cast Luca Cervoni (Liberto, un Soldato, un Famigliare di Seneca) e Mauro Borgioni (Mercurio, un Famigliare di Seneca, un Tribuno e un Littore).
Successo pieno e convinto tributato da un Teatro che si sarebbe desiderato maggiormente esaurito per la qualità della proposta, pur con una nutrita presenza di pubblico. C’è qualcuno che ha ancora paura di Monteverdi?
Nicola Salmoiraghi