ESSEN: Otello – Giuseppe Verdi, 2 febbraio 2019

ESSEN: Otello – Giuseppe Verdi, 2 febbraio 2019

  • 09/02/2019

opera di

Giuseppe Verdi

libretto di Arrigo Boito

tratto dalla tragedia omonima di Shakespeare

Direttore Matteo Beltrami
Regia Roland Schwab
Personaggi e Interpreti
  • Otello, comandante della flotta veneziana Gaston Rivero
  • Iago, guardiamarina Nikoloz Lagvilava
  • Desdemona, la moglie di Otello Gabrielle Mouhlen 
  • Cassio, Capitano Carlos Cardoso
  • Rodrigo, un nobile veneziano Dmitry Ivanchey
  • Lodovico Tijl Faveyts
  • Montano Baurzhan Anderzhanov
  • Emilia, la moglie di Jago Bettina Ranch
  • Un araldo Karel Martin Ludvik
scene Piero Vinciguerra
costumi Gabriele Rupprecht
Maestro del Coro Jens Binger
drammaturgia Christian Schröder

Interessante reinterpretazione del grande capolavoro che fu prima shakespeariano, e successivamente ridotto in libretto da Arrigo Boito per le musiche del Cigno di Busseto. Se già nella trasposizione ad opera del librettista si è perso l’antefatto veneziano, che del resto avrebbe richiesto un quinto atto, e pur riprendendone i fatti salienti come ad esempio il duetto Desdemona-Otello “già nella notte densa” in cui si racconta di come i due si siano innamorati (nel dramma teatrale Otello e Desdemona difendono il loro amore davanti al Doge di Venezia, giudice in un processo sommario in cui il padre della sposa vorrebbe veder decapitato il Moro perché a suo dire artefice di magia nera o di sequestro della figlia), in questa rappresentazione si ha una ulteriore versione in cui Iago (originariamente avvilito oltre che dalla sete di potere dal sospetto di un ipotetico rapporto tra sua moglie Emilia e Otello) assume un carattere addirittura sovrannaturale, mefistofelico. Quindi, laddove pare persino che dai carteggi emersi dalla recente apertura del baule personale di Giuseppe Verdi vi sia stata una discussione con Boito sull’opportunità di rappresentare il personaggio del baritono cattivo (specie nel monologo credo in un Dio crudel) con tratti tanto chiaramente schierati dalla parte del “male”, nella regia di Roland Schwab, supportata nella drammaturgia da Christian Schroder, si arriva ad una definizione ultima dello stesso quasi esasperata. Iago è qui dotato di poteri soprannaturali (quindi in contrasto netto con la natura umana descritta da Shakespeare e ricalcata da Boito) e lo si evince chiaramente già nel “fuoco di gioia” dove accende i bracieri sparsi sulla scena con un semplice schiocco di dita, ma non soltanto… come si dice “il bello ha ancora tutto da venire”. Per la regia, Iago deterrebbe financo il potere di scatenare tempeste, e questo parrebbe non più un solo salto temporale ma una funzionale e suggestiva contaminazione tra le opere di Shakespeare, La tempesta, appunto.

Gli istinti primordiali vengono messi a nudo e esposti alla visione del pubblico in tutta la loro cruda natura: la violenza in tutte le sue forme possibili, ivi compresa quella che Otello subisce dal Male, (e viene da chiederselo, è forse il Male solo parte del suo stesso “io”?).

C’è nell’opera tutto il percorso degli stessi avvenimenti narrati ogni giorno dalle cronache sui sempre troppo ricorrenti femminicidi. L’amore iniziale, la passione ardente, l’opposizione della famiglia (come ne presagisse l’epilogo nefasto), il dubbio, la gelosia, la violenza carnale, la paura, la consapevolezza del destino al quale la vittima andrà incontro e l’incapacità di sfuggirgli (Desdemona deriva dal greco: dys- “negativo” e da dáimon “destino”, ovvero cattivo destino, di qui la frase nata sotto ad una cattiva stella).

Ed è così insopportabilmente attuale nella minuziosa descrizione dei fatti da doverci porre la domanda su come sia possibile che nonostante il trascorrere dei secoli che ci separano dalla stesura del capolavoro in oggetto (Othello risale al XVII secolo), nulla sia cambiato nella natura umana. Desdemona muore innocente, forse più di qualsiasi altra vittima dell’Opera… senza che vi sia per il carnefice alcuna attenuante – se mai ve ne fosse una – che possa essere ritrovata in un comportamento disdicevole (penso a Carmen di G.Bizet), ed è quindi più di ogni altra, se possibile, vittima casta di quella pura follia che è insita nella natura umana e che a dispetto della civiltà e della cultura che progrediscono insiste  e persiste nel più oscuro profondo dell’essere umano.

L’Otello è attuale al punto da non perdere assolutamente nulla nella trasposizione in tempi moderni di scena, ad opera di Piero Vinciguerra e costumi ad opera di Gabriele Rupprecht.

L’ambientazione originaria a Cipro si sposta nel Vietnam, dove conseguentemente i Veneziani divengono marines. Si potrebbe dire che c’è molto di Full metal jacket, persino nella palese somiglianza nella follia tra il personaggio soldato palla di lardo (Vincent d’Onofrio) di Stanley Kubrick, e il nostro Otello che finisce con l’aprire il fuoco sui suoi stessi commilitoni. Va detto che a questo punto l’orgoglio mussulmano sepolto in mare dell’esultate c’entra ben poco… se non nella comunanza nello stesso nemico storico.

Si aggiunga la fumigazione in apertura di scena con il quale Iago prende a spargere il suo veleno. Il richiamo riporta inevitabilmente alle immagini della grande guerra in cui si impiegò il DDT per contrastare l’epidemia di malaria, inconsapevoli delle gravi conseguenze sull’uomo. Lo stesso DDT che Iago verosimilmente impiegherà per porre fine alla vita di Otello nel finale.

Per trarre le conclusioni, ma ne rivedremo alcuni passaggi salienti a proposito degli interpreti, è una rappresentazione che malgrado talune inevitabili incongruenze alle quali il Regietheater  va incontro, merita di essere vista proprio per gli spunti di riflessione che offre, sia in materia prettamente operistica che dal punto di vista antropologico.

Bene sarebbe arrivare agli artisti in scena per cui partirei proprio da Iago. Lascio al singolo il dibattito sulla titolazione delle opere: chi avrebbe voluto Iago al posto di Otello, chi la Zingara invece che il Trovatore, chi Amneris invece di Aida e via discorrendo. Certo è che il personaggio di spicco, maggiormente e meglio caratterizzato in Otello è proprio il nostro Iago, qui interpretato dal baritono georgiano Nikoloz Lagvilava. Ottimo artista dotato di un potente mezzo vocale e perfettamente entrato nel ruolo così come richiesto dalla regia, cosa che peraltro richiede un ulteriore sforzo nel reinterpretare un personaggio già metabolizzato nella versione tradizionale. Molto bravo anche Otello del tenore Gaston Rivero, anch’egli messo a dura prova, sempre per quanto concerne l’aspetto interpretativo e musicalmente molto preciso. E molto precisa anche la Desdemona di Gabrielle Mouhlen, capace di bellissimi piani e che ha dato prova di grandi doti attoriali a più riprese, partendo dal duetto d’amore con tanto di scena di sesso, e ancora di sesso nella violenza ad opera di Otello, ma soprattutto nel quarto atto riuscendo a trasformare la scena della canzone del salce che per molti risulta essere noiosa in un interessante descrizione della condizione emotiva che la anima al pari d’un topo in trappola. Brava! Molto bene il promettente tenore Carlos Cardoso nella pur meno impegnativa parte di Cassio e il tenore Dmitry Ivanchey nel ruolo di Rodrigo. Completano il cast Lodovico del basso Tijl Faveyts, Montano del baritono Baurzhan Anderzhanov e un Araldo di Karel Martin Ludvik. Non ultima Emilia interpretata da Bettina Ranch, che diversamente da quanto scritto non veste il ruolo dell’amica, o della confidente e men che meno dell’ancella di Desdemona, indossa abiti eleganti con lunghi guanti neri e si atteggia a tutrice della sfortunata, in stile signorina Rottermeier. Sembra quasi mostrare un certo livore e nessuna compassione oltreché una non ben definita complicità col marito Iago (che sia vera la sua relazione passata con Otello?). Benissimo il Coro dell’Aalto Theatre ottimamente istruito da Jens Bingert.

Ed abbiamo lasciato per ultimo l’aspetto squisitamente musicale perché la direzione del Maestro Matteo Beltrami alla guida dell’eccellente orchestra Essener Philarmoniker merita un encomio tutto a parte e non più soltanto per l’impegno profuso nella preparazione dello spettacolo, o per la precisione musicale, o i colori piuttosto che i tempi serrati, ma piuttosto per l’ardimentosa passione emanata dal golfo mistico per un’opera a pieno compresa e riproposta al piacere dell’ascolto.

Obbiettivo centrato non soltanto per sold-out e prolungati applausi di un pubblico particolarmente entusiasta, ma nella più nobile carica investita dal teatro, il cui scopo sociale è si quello di divertire, ma anche di far riflettere e discutere.

Roberto Cucchi

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