GENOVA: Il giro di vite – The turn of the screw, 13 ottobre 2024 a cura di Silvia Campana

GENOVA: Il giro di vite – The turn of the screw, 13 ottobre 2024 a cura di Silvia Campana

  • 22/10/2024

Il giro di vite – The turn of the screw
Inaugurazione congiunta della Stagione Lirica e Balletto 2024-25 dell’Opera Carlo Felice Genova e della Stagione Teatrale 2024-25 del Teatro Nazionale di Genova


IL GIRO DI VITE
Dal racconto di Henry James, traduzione e adattamento di Carlo Sciaccaluga

Regia Davide Livermore

Regista assistente Mercedes Martini

Personaggi e interpreti:

  • Istitutrice Linda Gennari
  • Mrs. Grose Gaia Aprea
  • Peter Quint Aleph Viola
  • Miss Jessel Virginia Campolucci
  • Miles Luigi Bignone
  • Flora Ludovica Iannetti

 

Scene Manuel Zuriaga

Costumi Mariana Fracasso

Musiche Giua

Disegno sonoro Edoardo Ambrosio

Luci Antonio Castro

Nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova


THE TURN OF THE SCREW
Opera in un prologo e due atti di Benjamin Britten, libretto di Myfanwy Piper dal racconto di Henry James

Maestro concertatore e direttore Riccardo Minasi

Regia Davide Livermore

Personaggi e interpreti:

  • Quint Valentino Buzza
  • The Governess Karen Gardeazabal
  • Miles Oliver Barlow
  • Flora Lucy Barlow
  • Mrs. Grose Polly Leech
  • Miss Jessel Marianna Mappa

Scene Manuel Zuriaga

Costumi Mariana Fracasso

Luci Antonio Castro, Nadia García

Orchestra e tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova basato sulla produzione del 2017 del Palau de les Arts Reina Sofía di València

Teatro Carlo Felice, 13 ottobre 2024


Estremamente interessante e non priva di spunti di riflessione si presentava questa speciale inaugurazione genoveseche univa in un solo progetto due dei principali poli culturali della città quali la Fondazione Teatro Carlo Felice ed il Teatro Nazionale Ivo Chiesa.

photo©Federico Pitto

Prosa e lirica venivano dunque qui a congiungersi in un virtuoso quanto propositivo abbraccio con l’ambizioso intento di evidenziare la funzione unificatrice e sociale che il teatro (qui presentato nella sua forma più completa) dovrebbe sempre possedere.

Il progetto si proponeva dunque di fondere in unica pièce uno dei capolavori del teatro musicale del Novecento quali The Turn of the Screw di B. Britten con la sua fonte, la novella omonima di H. James (qui ricostruita ed interpretata dal testo di Carlo Sciaccaluga) da cui il lavoro del compositore inglese prese spunto.

Basandosi sul tema classico del romanzo gotico di soggetto fantastico, così popolare e sviluppato in quell’epoca (il testo è datato 1898) ed in modo particolare in Inghilterra, Davide Livermore, direttore del Teatro Stabile genovese e responsabile della regia di entrambe le produzioni, scolpisce uno spettacolo indubbiamente coinvolgente che, nella sua magnetica complessità, offre spiragli alle più diversificate e stranianti implicazioni.

photo©Federico Pitto

Partendo dall’intreccio della narrazione, che ricorda quello delle classiche ghost stories, la lettura di Livermore si sposta all’interno della parola scritta con il preciso intento di evidenziarne il sottotesto che Britten poi svilupperà in partitura e che James nell’Inghilterra Vittoriana di fine ottocento aveva osato coraggiosamente mettere in forte evidenza.

Il soggetto è dei più semplici così come il tema: ad una giovane governante viene assegnato da un gentiluomo l’incarico di occuparsi dei suoi nipoti, che vivono in una dimora nella campagna inglese, di cui lui non può e non vuole interessarsi, unico pesante vincolo per la ragazza la loro totale responsabilità e l’obbligo a non disturbarlo mai. La giovane istitutrice (che non avrà un nome né in James né in Britten ma resterà imprigionata nella sua mansione), anche affascinata dall’elegante bellezza del gentiluomo, accetta e si troverà sprofondata in un abisso inaspettato.

photo©Federico Pitto

I temi sono quelli classici del romanzo dell’Ottocento, il ricordo va facilmente a Jane Eyre ed a tutte quelle figure femminili che, attirate da una sorta di missione angelicale, si trovano poi coinvolte in una lotta contro forze negative e, in questo particolare contesto, il male, rappresentato dagli spettri dei due passati responsabili della casa morti in circostanze oscure, assume differenti caratteristiche che, allontanandosi dai canoni fantastici, parlano un linguaggio assai più subdolo e contemporaneo.

Gli spettri di Peter Quint (il maggiordomo del tutore) e di Miss Jessel (la precedente istitutrice), da sempre con un rapporto morboso (ma mai esplicitato) nei confronti dei bambini, vogliono ora perpetuarlo attraverso un singolare rapporto con loro che la giovane si troverà a fronteggiare.

photo©Federico Pitto

L’orrore scaturisce spesso (nella fantasia come nella vita reale) dal non detto e non dichiarato ma da un’evidenza celata da codici formali, dettati da un’etica regolata da valori invertiti dove la verità viene spesso strangolata dalla convenienza.

photo©Federico Pitto

In questo senso si muove la regia di Livermore che, attraverso un impianto scenico claustrofobico ed austero, assai ben realizzato da Manuel Zuriaga, veicola uno spazio della mente in cui il piano della realtà viene costantemente spostato a scapito di una seconda dimensione che, reale o fantastica che sia, giunge al termine col risucchiare tutti i personaggi in un gioco di ruolo in cui nulla è rigidamente definito. Basandosi sul tema che accomuna i due lavori, la stessa figura positiva della governante può cangiare così visione a seconda dell’obiettivo o della chiave prospettica dalla quale la si osserva mutandosi da figura salvifica a figura predatoria e la letteratura inglese per l’infanzia è peraltro ricca di figure contraddistinte da una marcata ambiguità.

photo©Federico Pitto

La riduzione di Carlo Sciaccaluga del testo di James si rivela molto libera ma preziosa nell’evidenziare un’epoca ed un gusto attraverso attente citazioni (“Erlkönig” di Goethe/Schubert) che concorrono a creare una trama sottile che va a connettersi alle strofe delle filastrocche presenti nel testo originale attraverso un velo di impalpabile e viscido umore.

Il regista, indiscutibilmente maestro nel creare un catartico spazio teatrale attraverso raffinati ritmi, ed un giusto lavoro su luci e suoni, che si ripete molto simile per entrambi gli spettacoli, giunge ad accompagnare il pubblico in un viaggio ipnotico che certo affascina ma in cui forse si riscontrano alcuni limiti; una volta addentratisi in questo oscuro labirinto della mente (in cui immagini, visioni e dimensioni si alternano come in un incubo) si avverte una certa difficoltà ad emergere ed a distinguere un preciso taglio interpretativo, forse a causa di una sofisticata abilità professionale che sembra a tratti prendere il sopravvento sulla parola.

photo©Federico Pitto

In entrambe le produzioni i cast si sono assai ben comportati giungendo a punte di eccellenza per quanto riguarda il lavoro in prosa.

Linda Gennari ritaglia uno sfaccettato ritratto dell’istitutrice e, grazie ad un uso della voce vibrante e profondo ma mai compiaciuto, giunge a definire questo difficile personaggio evidenziandone tutte le più nascoste e profonde contraddizioni.

Al suo fianco risalta la potente caratterizzazione di Miles offerta da Luigi Bignone così come le ottime prestazioni di Gaia Aprea (Mrs Grose), Ludovica Iannetti (Flora), Aleph Viola (Peter Quint), Virginia Campolucci (Miss Jessel) e Davide Livermore, giustamente voce recitante nel Prologo.

photo©Federico Pitto

Il lavoro di Britten, anche agevolato da una non massiccia compagine orchestrale, ha trovato corretta collocazione nell’inconsueto spazio del Teatro Nazionale ed in Riccardo Minasi una lettura attenta ed approfondita atta ed evidenziare il tessuto della partitura più drammatico e cesellato. Non è qui la sede per ricordare quanto il lavoro del compositore inglese giunga a sottolineare tutte le dinamiche e diversificate variabili del testo (la musica giunge spesso a veicolare assai più della parola emozionalità represse) ma, pur con qualche distinguo, la produzione ha trovato nel cast impegnato più di un motivo di interesse.

photo©Federico Pitto

Karen Gardeazabal poneva la bella vocalità morbida e ricca di armonici al servizio del suo personaggio donando una lettura dell’Istitutrice vibrante ed intensa.

Molto bene anche Oliver Barlow quale Miles così come Polly Leech (Mrs Grose), Lucy Barlow (Flora), Marianna Mappa (Miss Jessel) e Valentino Buzza (Peter Quint).

photo©Federico Pitto

Considerata la proposta ardita e non particolarmente in linea con una certa idea di teatro che sta al momento diffondendosi un po’ovunque, la rischiosa scommessa degli enti genovesi può considerarsi dunque vinta visto il numeroso pubblico che riempiva la sala e speriamo che anche in futuro il capoluogo ligure passa continuare ad osare, tornando a quella primaria dimensione teatrale che storicamente le appartiene.

Silvia Campana

 

 

Foto Federico Pitto

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