GENOVA: Un ballo in maschera – Giuseppe Verdi, 27 gennaio 2023 a cura di Silvia Campana
UN BALLO IN MASCHERA
Melodramma in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Antonio Somma, da Gustave III, ou Le Bal masqué di Eugène Scribe
Personaggi e Interpreti:
- Amelia Carmen Giannattasio, Maria Teresa Leva (28, 4)
- Riccardo Francesco Meli, Angelo Villari (28, 4)
- Renato Roberto de Candia, Mansoo Kim (28, 4)
- Ulrica Maria Ermolaeva,
Agostina Smimmero(29, 3, 5) - Oscar Anna Maria Sarra, Ksenia Bomarsi (28, 4)
- Silvano Marco Camastra
- Samuel John Paul Huckle
- Tom Romano Dal Zovo
- Un giudice Giuliano Petouchoff
- Un servo d’Amelia Claudio Isoardi
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Claudio Schmid
Allestimento
Fondazione Teatri di Piacenza
Teatro Alighieri di Ravenna
Teatro Comunale di Ferrara
Orchestra, Coro e Tecnici
dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Teatro Carlo Felice,27 gennaio 2023
Può uno spettacolo teatrale oggi ricordare una tradizionale mise en scène di un dramma operistico, rivelandocene in un sol colpo qualità e limiti? Forse, e questa distinta produzione di “Un ballo in maschera“ (Piacenza 2016 la prima) presentata dal Teatro Carlo Felice di Genova nel corso della sua corrente stagione, ne è un prezioso esempio.
Alla regia Leo Nucci che, partendo dal libretto di Somma, ne amplia significativamente i contorni alla ricerca di uno spessore che si spinga al di là del mero quadretto di costume andando a scavare entro la personalità di ogni personaggio.
Non è tanto la più o meno corretta ambientazione storica che sembra essere l’obiettivo ultimo della regia quanto piuttosto la volontà di interpretare libretto e musica attraverso una definizione dei caratteri completa ed efficace, non ponendosi ai margini della drammaturgia ma cercando piuttosto di trovarne diverse interpretazioni restando al suo interno. È una scelta netta e ad oggi molto rischiosa, in un certo senso, ma portata avanti con preciso rigore estetico e teatrale.
Così l’impianto scenografico di Carlo Centolavigna inquadra perfettamente l’America sommariamente sbozzata da Antonio Somma ed i costumi di Artemio Cabassi sembrano presentarci, complice l’uso di stoffe raffinate in svariati modelli, tutte le vanità di un vecchio mondo ormai quasi al crepuscolo così come le sfrontatezze di un nuovo del quale Riccardo è forte simbolo.
Sotto questo profilo si rivelano significative alcune semplici ma efficaci scelte.
La scena è perennemente dominata da una semioscurità (e la notte o comunque la penombra è una cifra distintiva della partitura verdiana) e di un certo interesse si rivela anche la decisione di isolare il conte, durante la sua aria nel III Atto, ponendolo di fronte ad un leggio che, in quel momento, lo estrapola dal dramma contestualizzandolo chiaramente quale artista fuori dal coro.
Ben poco viene concesso alla mera spettacolarizzazione: il ballo finale, che si svolge in un atrio colonnato che taglia trasversalmente la scena e ospita un mondo frivolo e distratto, travolto da vane, eterne e quantomai contemporanee pantomime sembra quasi mutarsi in sfondo claustrofobico, presago del triste epilogo del dramma.
Una scelta lineare e teatralmente coerente quella di Leo Nucci che ha l’indubbio pregio di approfondire con onestà la sua idea attraverso un taglio affatto banale ed assai ben costruito che, se non avrà il merito di creare nuovi correnti drammaturgiche, avrà certo quello di sviscerare alcuni aspetti che, pur essenziali in partitura, vengono molto spesso trascurati in scena. È sempre questione di coerenza ed onesta professionalità nelle scelte soprattutto in teatro, spazio sociale di dialogo e scambio per eccellenza.
Il palcoscenico ospitava un cast prestigioso.
Francesco Meli si conferma un Riccardo teatralmente completo e sfaccettato, privo di qualsiasi vezzo di maniera e totalmente immerso nel dettato verdiano.
Attraverso la bellezza del timbro, il suo canto, sempre appoggiato sul fiato ed attento ad ogni singola sfumatura espressiva, dona al personaggio, perennemente oscillante tra fanciullezza e maturità, tutta la malinconica malia che gli appartiene, con un risultato, ad onta di qualche fragilità tecnica, nel suo complesso eccellente.
Debuttante quale Renato, Roberto De Candia ha affrontato il temibile personaggio con grande intelligenza e misura.
Sfruttando in particolare le peculiarità espressive della sua vocalità, l’artista ha cesellato infatti i lati maggiormente scoperti ed umani del personaggio con il bel risultato di sfrondarlo da vezzi di tradizione rivelando così una sua ruvida e nascosta umanità. Un gran bel lavoro che offre un diverso taglio interpretativo a questo complesso antagonista verdiano.
Carmen Giannattasio possiede timbro di rilevante volume e morbidezza e bella sensibilità espressiva ma la sua interpretazione resta un po’ ai margini del personaggio, complice anche un registro acuto a tratti aperto ed una musicalità non sempre ineccepibile.
Anna Maria Sarra tratteggia un Oscar scenicamente felice mentre Maria Ermolaeva, forse a causa della sua chiamata all’ultimo momento in sostituzione di Agostina Smimmero, non convince quale Ulrica così come la coppia di congiurati Samuel (John Paul Huckle) e Tom (Romano Dal Zovo).
Teatralmente centrato e musicalmente preciso Marco Camastra quale Silvano.
Completavano il cast Giuliano Petouchoff (Un giudice) e Claudio Isoardi (Un servo).
Altalenante la prova del Coro del Carlo Felice diretto da Claudio Marino Moretti.
Donato Renzetti alla guida dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice ha affrontato la partitura verdiana con provata professionalità ma scarso mordente.
Teatro gremito ed applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore.
Silvia Campana