ISTANBUL State Opera and Ballet: Ernani 26 – -novembre 2016
Ernani
opera in quattro atti di Giuseppe Verdi
su libretto di Francesco Maria Piave
tratta dal dramma di Victor Hugo Hernani
26, 29, 30 novembre 2016; 2, 3, 13, 15, 16, 17 dicembre 2016
Direttore: Borislav Ivanov, Roberto Gianola
Regia: Kuzman Popov
Personaggi e Interpreti:
- Ernani: Efe Noyan Kişlali / Bülent Külekçi
- Don Carlo: Cengiz SAYIN / Güney / Sedat Öztoprak
- Don Ruy Gomez de Silva: Suat Arikan / Kenan Dağaşan / Zafer Erdaş /Gökan Ürben
- Elvira: Diana Nayir Artan / Evren Ekşi / Burçin Çilingir Savigne / Deniz Yetim
- Giovanna: Banu Ergün / Tuğba Koç
- Don Riccardo: Serkan Bodur / Engin Yavuz
- Jago: Cengiz Arslan
Maestro del coro: Paolo Villa
a cura di Giacomo Agosti (new entry 2017)
sabato 26 novembre 2016
Sono stato a vedere l’Ernani ad Istanbul , incuriosito dalla direzione artistica che Suat Arikan ha dato al suo teatro.
Ho appreso che l’Ernani era stato rappresentato al tempo degli Ottomani – cosa che non mi stupisce, sapendo che si era allestito molto precocemente anche in Nord America – ma che mancava da molti anni sulle scene della capitale.
Arikan gestisce il teatro come un Opernhaus tedesco : ha una compagnia fissa numerosa, può alternare quattro cast e importare un solista dall’estero.
L’allestimento veniva dal festival di Varna in Bulgaria e mi ha fatto piacere approcciare anche questa seconda realtà.
Si voleva una messinscena “tradizionale ma non troppo”. Come possiamo interpretare questa richiesta? Una scatola scenica (decori e costumi) afferente all’epoca della vicenda (il Cinquecento spagnolo). Con le scene dipinte sono emersi chiari i colori della storia, soprattutto nel primo atto : il coro, l’aria del tenore, quella del soprano e quella di Carlo.
Così il senso dell’apparizione camuffata di Ernani nel secondo e perfino la dimensione regale e tragica del canto intorno alla tomba di Carlo Magno nel terzo.
Non posso dire però che l’opera si sia seguita bene fino in fondo, per due motivi. Il primo, come mi fa notare Suat, è legato alla drammaturgia di Piave e alla difficoltà di far “succedere” gli avvenimenti in scena. Il secondo deriva dall’intensità di quello che succede fuori scena.
Il corno che porta la morte è un’invenzione così potente che la volta che l’ho vista realizzata meglio è stata in un’esecuzione in forma di concerto. Dove, paradossalmente, il corno avrebbe potuto essere a vista.
In quel caso non vedevo quello che era prescritto dal libretto ma ero potentemente illuso. Invece nell’allestimento di Istanbul la ricchezza di colori, sebbene scelta con proprietà, finiva per distogliere l’attenzione dalla concentrazione verdiana.
Il piccolo palcoscenico, adorabile come il sogno di chi l’ha immaginato (un funzionario della corte ottomana a cui piacevano le operette), si presta alla fantasia di quest’opera ; non così l’acustica della buca, dove l’orchestra – sebbene ben diretta – non procedeva insieme all’azione.
Le voci della prima, tutte turche, erano compatte nell’emissione e nell’articolazione: buon fraseggio e buona estensione, soprattutto nel tenore Efe Noyan Kişlali.
Giacomo Agosti