MILANO: L’elisir d’amore e profumo di arance, 30 ottobre 2021
L’elisir d’amore
opera lirica in due atti
di Gaetano Donizetti
su libretto di Felice Romani
Direttore d’Orchestra Deun Lee
Regia, scene, costumi Daniele Piscopo
Personaggi e Interpreti:
- Adina Eva Corbetta
- Nemorino Omar Mancini
- Belcore Francesco Bossi
- Dulcamara Giulio Bocchi
- Giannetta Francesca Cavagna
Assistente alla regia e Costumi Giulia Rivetti
Assistente alla scenografia Jesus Noguerra
Orchestra Ensemble Musica Instrumentalis
Maestro collaboratore Hana Kim, Sungah Shin
Assistente Direttore Giacomo Mutigli
Direttore organizzativo Adele Paganini
Nuovo allestimento Laboratorio Opera Studio Bell’Opera Festival
Teatro Bello, 30 ottobre 2021
Il Teatro Bello è attivo dal 2017 a Milano presso la struttura del Teatro Alfredo Chiesa, 150 posti a sedere, annesso alla Chiesa di San Cristoforo nell’omonima via al civico 1, sul Naviglio Grande.
Qui ha preso vita il progetto del Laboratorio Opera Studio Bell’Opera Festival con il capolavoro donizettiano L’elisir d’amore. Una buca estremamente piccola e poco profonda, tanto da accogliere un pugno di elementi e costringere gran parte della pur ridotta orchestra ad una quindicina di elementi ad invadere la platea. Un boccascena di circa sei metri per un palco meno profondo di sette, ma con una peculiarità se vogliamo unica: il fondale concavo, capace di proiettare in sala anche il minimo sussurro. Una peculiarità che garantisce un perfetto balance tra una buca inesistente ed il palco.
Ci troviamo in un piccolo luogo ai margini, perfetto per studiare, per debuttare ruoli o sperimentare idee registiche, e confrontarsi con un pubblico non per questo meno attento. Certo le aspettative non possono essere le stesse che si avrebbero andando ai Grandi Teatri, e va detto, che spesso vengono anche disattese. Forse proprio per questo si finisce con il rimanere piacevolmente sorpresi dalla freschezza delle idee che “per i soliti motivi” ancora non incontrano il favore degli “istituti”. Freschezza di idee: un concetto in vero assai diverso dalle avanzate pretese di reinterpretazione operate da una certa intellighenzia annoiata che si impone sulla scena, paventando la rimozione di una coltre di polvere per poi ammantare la drammaturgia con la propria muffa batterica (…e no, non è penicillina! Diremmo piuttosto una specie di funghi dalle caratteristiche psicoattive) che disorienta lo spettatore, o nel migliore dei casi, lo costringe ad una rielaborazione contorta e contratta dei contenuti in cui la relazione tra il gesto e l’espressione verbale risulta quanto meno corrotta.
È invece bella e funziona molto bene l’idea registica di Daniele Piscopo proprio grazie alla sua semplicità. Tutto gira intorno alla raccolta delle arance, che alcuni contadini distribuiscono al pubblico in platea diffondendone l’aroma. Frutto mediterraneo, genuino e godibile come lo sono la compagnia e l’ingenuità delle quali Nemorino ci rende partecipi. La scena è realizzata con pochissimi mezzi: cassette della frutta, tovaglie a quadrettoni, abiti semplici che riportano alla campagna nella sua veracità e pulizia d’intenti, senza mai scivolare nel grottesco. Un appunto lo si potrebbe sollevare sulle proiezioni gradevoli e funzionali, ma il loop è qualcosa che alla lunga diviene tedioso. Le intenzioni sono chiare, i ruoli ben definiti senza alcuna pretesa. Nemorino ama, Adina lo ricambia dopo il consueto vezzeggiare del gentil sesso, Belcore tenta la conquista pur con il piccolo sotterfugio presto svelato, Dulcamara non è il solito pendaglio da forca ma piuttosto un affarista che sbarca il lunario profittando dell’ignoranza e finisce quasi col piacerci, Giannetta si contenta di quel che resta sul mercato.
Senza mai scomodare Freud, tra spremute d’arancia ed elisir giunge spontaneo il tenore Omar Mancini che incarna perfettamente il tenero personaggio di Nemorino. Divertente nelle misurate gag, commovente e tecnicamente bene impostato, culmina nella furtiva lagrima cantata con piglio appassionato. Inevitabile il lungo applauso e le grida di “bravo” a scena aperta. Bene la Adina di Eva Corbetta, bella voce, acuti svettanti e sicuri, di bella presenza e dalla fluente chioma bionda che bene si accorda con il personaggio che spreme salutari e dissetanti arance; un netto contrasto con la bevanda alcolica pompata da un barile più adatto ai derivati petroliferi da Dulcamara che inebria e confonde. Piace molto anche il Belcore di Francesco Bossi, importante vocalità e convincente attore di ottima presenza scenica. Convince anche il personaggio di Dulcamara scolpito da Giulio Bocchi. Bene anche Francesca Cavagna schietta nel ruolo di Giannetta.
Tutto scorre per quel che riguarda l’aspetto squisitamente musicale, con un organico orchestrale bene assortito, quello dell’Ensemble Musica Instrumentalis, ottimamente diretto dal maestro coreano Deun Lee: polso fermo, ottima tenuta e gesto chiaro, non ha mai perso il contatto con il palco garantendo supporto ai cantanti.
Che dire… una serata trascorsa piacevolmente nella piccola sala al completo che si è potuta godere una bella rappresentazione di un’opera con la quale può sembrare facile misurarsi, ma proprio per la sua popolarità, impone minimi standard non facilmente raggiungibili. Qui l’obbiettivo è stato centrato in pieno, così come i calorosi e insistenti applausi alla ribalta finale hanno voluto certificare.
Roberto Cucchi