Mozart bussa alla porta di Beethoven: recensione
Il 24 Febbraio nella basilica di S.Marco Aldo Bernardi dirige l’orchestra dell’Associazione Mozart Italia di Milano in un programma che mira ad illuminare, anche attraverso il sapiente accostamento con due capolavori beethoveniani, il lato più cupo della produzione mozartiana.
Il concerto inizia con l’ouverture Coriolano, composta nel 1807 dal maestro di Bonn per l’omonimo dramma di Heinrich Joseph von Collin; Bernardi ne propone una lettura agile e dinamica, dai tempi spediti e dal fraseggio lineare, cercando un’ideale prosecuzione con Furtwangler e Kleiber. L’ultimo è evidente fonte d’ispirazione anche nella conduzione, che a nostro avviso pecca per eccesso di zelo, con conseguenti entrate dell’orchestra non propriamente insieme, ed un generale sovraccarico di intenzioni sull’orchestra che si attesta troppo spesso su di un generico mezzoforte.
Segue il concerto n°24 in do minore KV 491, parte di un’esigua minoranza nell’opera del compositore salisburghese, quella cioè caratterizzata dall’impiego della tonalità minore; si tratta tuttavia di una selezione di lavori che di poco non va a coincidere con una lista completa dei maggiori capolavori mozartiani (Don Giovanni, Sinfonia n°40 in sol minore, Sonata in la min. K310, Fantasia in do minore, Requiem, giusto per citarne alcuni). Si tratta di opere di grande maturità, dotate di un’inconsueta densità espressiva, in cui anche le parti apparentemente più serene ci appaiono come velate, percorse da un’intangibile vena malinconica.
Cristiano Burato si presenta quale musicista solidissimo dotato di timbro nitido e cristallino, che riesce a rendere sgranate tutti i passaggi rapidi nonostante un’acustica troppo riverberante che tendeva a mischiare insieme tutti i timbri.
Difficile collocare la funambolica cadenza del primo movimento, composta dallo stesso Burato: se da una parte dispiega tutti gli usuali stilemi compositivi legati a questo tipo di concertismo: imitazioni contrappuntistiche basate sui temi principali, passi a mani incrociate, scale a doppie note, dall’altro lo fa portando al limite lo stile in cui questi elementi vengono collocati, con un risultato finale in cui affioramenti più marcatamente romantici convivono magnificamente con passi contrappuntistici .
Ci si potrebbe dilungare a lungo su concetti quali filologia, sul fatto che tutta la musica “classica” possa o debba essere considerata come “contemporanea” e di quanto la filologia stessa (con buona pace dei musicologi) non sia essa stessa una manifestazione del gusto contemporaneo, molto lontana invero da quell’idea di assoluto a cui tanto vorrebbe aspirare; ci basti dire che la cadenza in questione ci è sembrata perfetta per costruzione, tensione drammaturgica e, ai fini del programma in cui è stata eseguita costituiva un ponte per filtrare Mozart attraverso orecchie ottocentesche, tant’è che alla fine del movimento risultava difficile dire se stessimo ascoltando Mozart o piuttosto il Concerto n°3 di Beethoven, peraltro scritto nella stessa tonalità.
Rimangono tuttavia dei dubbi sulla concertazione, vista la perenne preponderanza degli ottoni sugli altri gruppi orchestrali, vistose imprecisioni d’intonazione dei flauti, soprattutto nel secondo movimento, in generale una concertazione poco stratificata che poca cura ha dedicato alle parti secondarie, tanto essenziali nell’equilibrio dialettico tra solo e orchestra.
Decisamente più a suo agio nei bis (non esattamente, essendo stati eseguiti appena alla seconda chiamata): nell’ordine la Danza del Fuoco di De Falla, in cui si lascia andare ad un virtuosismo più estroverso, potendo sfruttare a pieno le potenzialità dello strumento. Come secondo bis propone la celeberrima Sonata in do maggiore “La Caccia” K 159 di Domenico Scarlatti nella quale sfoggia una tecnica digitale assolutamente invidiabile, nonché una tavolozza timbrica impressionante, anche considerando la sala.
La Quinta sinfonia in do min. Op. 67, coeva del Coriolano e della Sesta, non è certo un’opera che abbisogni di grandi introduzioni, onde evitare il rischio di incorrere in ovvietà. Ci basti dire che della lettura di Bernardi ciò che ci ha colpito maggiormente è stato il sottolineare la modernità di questo lavoro, o meglio la sua post-modernità, il coraggio straordinario (o la follia) di questo artista nell’accostare senza freni materiali eterogenei, anticipando così Gustav Mahler nel costruire mondi sonori variopinti e complessi. Si susseguono quindi il marmoreo/monolitico primo movimento, il tema e variazioni (nel mezzo del quale il tema si trasforma con poca fatica nella “follia” evocando una danza di corte), lo scherzo, costruito su di una modifica del finale della Sinfonia in sol minore di Mozart, la fusione del terzo col quarto movimento mediante una sezione al limite dell’atonalità (poi presa a modello da Jean Sibelius per la sua Quinta) ed infine la fanfara barocca che apre il quarto ed ultimo movimento.
In conclusione una bella serata, seppur con qualche difficoltà logistica (un’attesa estenuante fuori dalla chiesa culminata in una ressa per prendere i posti) e un’acustica non facile, (sbilanciata verso i timbri più acuti e penetranti a sfavore delle voci centrali e dei gravi), buona nel complesso l’esecuzione dell’orchestra.
Giacomo Laura