NAPOLI: I vespri siciliani – Giuseppe Verdi, 31 gennaio 2024 a cura di Jorge Binaghi
I vespri siciliani
Giuseppe Verdi
Dramma in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Direttore Henrik Nánási
Regia Emma Dante
Personaggi e Interpreti:
- Guido di Monforte Mattia Olivieri
- Il Sire di Bèthune Gabriele Sagona
- Il Conte di Vaudemont Adriano Gramigni
- Arrigo Piero Pretti
- Giovanni da Procida Alex Esposito
- La Duchessa Elena Maria Agresta
- Ninetta Carlotta Vichi♭
- Tebaldo Antonio Garés♭
- Roberto Lorenzo Mazzucchelli
- Danieli Francesco Pittari
- Manfredo Raffaele Feo♭
♭ debutto al Teatro di San Carlo
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Coproduzione Teatro di San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Comunale di Bologna e Teatro Real di Madrid
Teatro di San Carlo, 31 gennaio 2024
I Vespri siciliani di Verdi da mezzo secolo spariscono per un periodo più o meno lungo per poi risuscitare di colpo in diverse città e paesi. Alla versione originale in francese di Palermo sono seguite, in italiano (e quindi senza balletto) quella di Bologna con lo stesso allestimento, quella della Scala, la ripresa a Vienna nell’ormai vecchia produzione per la regía di Herbert Wernicke, questa di cui ci si occupa adesso e un nuovo allestimento anche a Zurigo (e sono certo che dimentico o ignoro qualche altro teatro, città o Paese).
Al San Carlo, dove mancava da tempo, tornava lo spettacolo firmato a Palermo da Emma Dante che pare attendere ancora un’altra ripresa a Madrid, che figura tra i quattro teatri che l’hanno coprodotto.
Siccome in italiano ci siamo risparmiati il balletto (per di più a Palermo spezzato in quattro atti con soluzioni
sceniche che affondavano il senso drammatico di Verdi – una per tutti la fine dell’atto primo) e l’opera ha guadagnato in stringatezza anche se la musica del balletto (tutta insieme e senza accompagnamento di fisarmonica) merita ed il testo in francese è chiaramente superiore alla traduzione italiana che stranamente Verdi trascurava.
Ovviamente in un titolo così lungo e travagliato ci sono delle irregolarità ma complessivamente la musica è molto bella e l’orchestrazione merita attenzione perché segna un passo in avanti nella gloriosa produzione di Verdi.
Se la regìa di Emma Dante è parsa meno arbitraria e con bei colpi di effetto (grandi applausi quando si sono presentati sul palcoscenico le bandiere con i volti degli assassinati dalla camorra e in generale la mafia e i manifesti che comparivano di colpo nei palchi) le allusioni costanti a luoghi e rituali siciliani – molto gradite dal pubblico -sembrano un po’ troppo e quando si arriva ai bellissimi pupi; possiamo dire che sono uno spettacolo a sé ma se disturbano un poco durante la Sinfonia i giochi di morte che servono da prologo muto all’atto quinto risultano lunghi (pure ammettendo con buona volontà che anticipano il finale dell’opera).
Quanto ai personaggi i risultati non sono né cattivi né azzeccati (i costumi oppongono con chiarezza oppressi ed oppressori, il che non toglie che il poverო Arrigo venga conciato in modo terribile, e sia Procida sia Monforte indossino dei modelli “à la Hollywood”.
Henrik Nánási non sembra troppo a suo agio nel repertorio italiano (come già dimostrato a Barcellona con Tosca): a una Sinfonía piuttosto inerte (in particolare nella prima parte) si alternavano momenti di chiasso e altri migliori, i passaggi più lirici, ma di solito troppo lenti.
L’Orchestra si mostrava volonterosa e anche il Coro che però dopo la breve esperienza sotto la direzione di Basso non è ancora in grande forma (in particolare la sezione femminile) con il nuovo (e pare definitivo) maestro, Fabrizio Cassi (cosa sia avvenuto dell’annunciato Andrés Máspero che sembra essersi perduto nel percorso da Madrid a Napoli è questione da porre alla Sibilla di Cuma).
Maria Agresta, pur non essendo il tipo di voce che richiede la difficile parte di Elena, fa del suo meglio e almeno si sente sempre (ovviamente l’aria iniziale le riesce ma il timbro non è bello, il celebre Bolero è molto “saggio” nelle agilità ed ornamenti senza evitare qualche acuto asprigno). È chiaro che dà il meglio nei momenti più intimi, quindi l’aria dell’atto quarto ‘Arrigo, ah parli a un core’ e i duetti con il tenore.
Questi, Piero Pretti, aveva già dato prove di poter reggere bene alle prove cui è sottoposto Arrigo. Il suo canto ardente ed incisivo va benissimo per l’edizione italiana e la sua grande aria del carcere “Giorno di pianto” è quella più applaudita in tutto lo spettacolo (complice ovviamente il bell’acuto finale).
Mattia Olivieri aveva già cantato la parte di Monforte a Palermo, e molto bene. Qui l’ho trovato ancora più sicuro, con acuti notevoli e un centro e un grave che mi sono parsi più scuri e grandi. Anche il fraseggio risulta ancora più variato.
Alex Esposito era nuovo al ruolo di Procida e l’ottimo basso ha dimostrato di avere tutte le carte in regola con i suoi movimenti, l’intenzione nel dire ed il canto per ritrarre a tutto tondo questo patriota “ambiguo” in odore del peccato che oggi – e sempre – vuol dire sacrificare senza farsi scrupoli persone ed “onore” (io direi coerenza morale) pure di arrivare all’obiettivo ambito.
Le parti di fianco erano molto corrette e bisognerebbe rilevare la buone prestazione di Carlotta Vichi (Ninetta) e ll bel materiale di Gabriele Sagona (Sire di Béthune) che ha bisogno però di ulteriore lavoro.
Molto pubblico, compresa una scolaresca che si comportava in modo esemplare, attenta e partecipe, che fa sperar bene per il necessario rinnovamento del pubblico.
Alla fine grandissimi applausi per tutti.
Jorge Binaghi