Novara: Mosé in Egitto – Gioachino Rossini, 18 novembre 2018

Novara: Mosé in Egitto – Gioachino Rossini, 18 novembre 2018

  • 20/11/2018

Azione tragico-sacra in tre atti
Musica di Gioachino Rossini, su libretto di Andrea Leone Tottola

Regia Lorenzo Maria Mucci
Direzione d’orchestra Francesco Pasqualetti

Personaggi e Interpreti

  • Faraone ALESSANDRO ABIS
  • Amaltea SILVIA DALLA BENETTA
  • Osiride RUZIL GATIN
  • Elcia NATALIA GAVRILAN
  • Mambre MARCO MUSTARO
  • Mosè FEDERICO SACCHI
  • Aronne MATTEO ROMA
  • Amenofi ILARIA RIBEZZI

Orchestra della Toscana

Scene e Costumi Josè Yaque con Valentina Bressan

Luci Michele Della Mea

Coro Ars Lyrica

Allestimento della Fondazione Teatro di Pisa
Coproduzione Fondazione Teatro di Pisa, Fondazione Teatro Coccia di Novara e Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, in collaborazione con Opéra Théàtre de Metz Mètropole

Foto: Finotti


La recensione si riferisce alla rappresentazione di Domenica 18 novembre 2018.

Gradevole matinée dall’ottimo successo di pubblico, nonostante il titolo non propriamente di grande repertorio, per il rossiniano Mosé in Egitto al Teatro Coccia di Novara. Il Rossini “tragico-sacro”, per dirla con l’intestazione del libretto, o di “oratorio”, come definiva lui stesso questo lavoro, costituisce senz’altro una sfida interessante sia per la compagine artistica che per il pubblico, per quanto quello novarese si dimostri spesso meno neghittoso e restio alle rarità che altrove. Lo stesso Pesarese era però in effetti sprezzantemente consapevole di questa difficoltà: il 13 febbraio 1818 scrive alla madre che “l’oratorio […] è di un genere però elevatissimo e non so se questi mangiamaccheroni lo capiranno”. Cambiati i tempi e probabilmente molto migliorata la consapevolezza e la ricettività media del pubblico operistico, la difficoltà di trasmettere efficacemente due ore e mezza di musica alta e di tema sacro resta.

Nel caso presente è senza dubbio il versante musicale a rispondere con successo all’esosa responsabilità di rendere giustizia al testo rossiniano, effettivamente intriso di rara nobiltà e di soluzioni che suonano ancora moderne nell’esatto bicentenario della prima rappresentazione. Il primo encomio è per la saggia e molto consapevole direzione di Francesco Pasqualetti, che sa inserire in una lettura assolutamente sobria e corretta delle dinamiche frizzanti e dei fraseggi mai banali. Si devono ammirare in particolare la perfetta riuscita degli onerosi recitativi accompagnati e gli ottimi equilibri degli assiemi. Altrettanto piacevole la libertà concessa alla sempre reattiva Orchestra della Toscana, magari non sempre equilibratissima tra le sezioni, ma senz’altro molto efficace e soprattutto non condizionata dalla purtroppo frequente attitudine al ribasso che vorrebbe fare di Rossini una rassicurante e noiosa bomboniera (e aiutare, contestualmente, delle voci poco proiettate). Voci che in questa occasione non avevano peraltro nessuna necessità di indulgenze, a cominciare dal sorprendente Faraone del giovanissimo Alessandro Abis, che all’alba dei ventisei anni dimostra una vocalità perfettamente in ordine, dalla bella uniformità fino agli acuti più ardui. Nonostante un volume non prorompente, la voce arriva sempre con nitore, a riprova del fatto che un uso sobrio della spinta favorisce in platea la ricchezza timbrica rispetto alla ricerca del fragore disordinato. Il ruolo risulta quindi molto autorevole, e ci sarà tempo e sicuro successo per riempire un registro basso ancora abbastanza neutro e perfezionare una recitazione che potrà senz’altro giovarsi di una maggiore libertà espressiva. Acclamatissima Silvia Dalla Benetta nel ruolo della consorte Amaltea, che è risultata effettivamente impeccabile nel domare una tessitura estremamente esigente con garbo, grazia e pathos, con una eccezionale vetta nella grande aria del secondo atto (La pace mia smarrita…). Più di tutti ci è piaciuto l’Osiride di Ruzil Gatin; se in una Cenerentola della scorsa stagione c’era da notare qualche sia pur perdonabile eccesso, in questa occasione si è invece superbamente distinto per equilibrio, disinvoltura e ricchezza timbrica: l’acuto è facilissimo, pieno e tagliente, le agilità inappuntabilmente corrette ed intonate. Soprattutto si deve riconoscergli una perfetta aderenza del canto al ruolo, esprimendo con grande capacità i tormenti intemperanti di un giovane troppo innamorato per essere ricondotto alla ragione, al di fuori volitivo ed autoritario, all’interno disperato martire. Perfetto nel duetto con il padre del secondo atto. Natalia Gavrilan è un’Elcia non da meno: ne apprezziamo soprattutto la ricercatezza timbrica, che sa governare con classe in tutta la gamma dinamica, e che mette al servizio di un fraseggio sempre interessante. Buono, nonostante l’annunciata indisposizione, il Mosè di Federico Sacchi: la presenza scenica e la voce sono senz’altro autorevoli. Globalmente efficaci e corretti Marco Mustaro (Mambre) e Ilaria Ribezzi (Amenofi). Completa il cast Matteo Roma nel ruolo di Aronne.

Nel segno dell’ordinarietà l’intero comparto scenico. Interessante ed encomiabile l’idea di realizzare scene e costumi (di José Yaque e Valentina Bressan) da materiali riciclati, a cura dell’Officina SCART – Gruppo Herambiente. Le luci di Michele Della Mea hanno un punto positivo nelle piacevoli proiezioni di colori e nella buona riuscita dell’irruzione della luce sulle tenebre nel primo atto.

Last, but not least, l’ottima prestazione del Coro Ars Lyrica diretto dal M.° Marco Bargagna. L’amalgama sonoro è piacevolissimo, le agogiche sempre curate e in generale lo stile molto corretto ed efficace.

Paolo T. Fiume

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