NOVARA: Rigoletto, 5 ottobre 2018 a cura di Paolo T.Fiume

NOVARA: Rigoletto, 5 ottobre 2018 a cura di Paolo T.Fiume

  • 06/10/2018

RIGOLETTO

Melodramma in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave

Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Direzione d’orchestra Matteo Beltrami

  • Rigoletto ROBERTO DE CANDIA
  • Duca di Mantova STEFAN POP
  • Gilda ALEKSANDRA KUBAS-KRUK
  • Sparafucile ANDREA COMELLI
  • Maddalena SOFIA JANELIDZE
  • Giovanna/Contessa SERENA MUSCARIELLO
  • Conte di Monterone FULVIO FONZI
  • Marullo/Un usciere di corte STEFANO MARCHISIO
  • Conte di Ceprano ARIOL XHAFERI
  • Borsa DIDIER PIERI
  • Un paggio della Duchessa VALENTINA GARAVAGLIA

Orchestra Conservatorio “Cantelli” di Novara

Scene Leila Fteita

Luci Emiliano Pascucci

Costumi Nicoletta Ceccolini

Coro dei Conservatori “Cantelli” di Novara e “Vivaldi” di Alessandria
Produzione Fondazione Teatro Coccia
Coproduzione con Teatro Comunale di Sassari – Ente Concerti Marialisa de Carolis

fotografie Mario Finotti


Ah, presso del patibolo

bisogna ben l’altare!…

Ma tutto ora scompare…

l’altar… si rovesciò!

 

 Trovo che le ricorrenze verdiane dell’altare siano in varie occasioni delle sottili ma precise e rivelatrici allusioni all’intera atmosfera che pervade i grandi capolavori. Se in Don Carlo l’altare sarà simbolo di un potere opprimente e tossico, dedito ad una sistematica manipolazione, a mettere padre contro figli per una brama letteralmente cieca, resterà pur sempre un simbolo dotato di una personalità chiara, definibile e soprattutto di una certa intrinseca, per quanto orribile, coerenza. In Rigoletto l’altare diventa a buona ragione emblema di una dannazione vertiginosamente più angosciante, in cui arriva ad essere violato non semplicemente un equilibrio di potere temporale, ma la legge cosmica dell’equilibrio, della speranza, in una parola esattamente della fede. Non è un caso se il giovane Duca irrompe nella vita di Gilda tutte le feste al tempio, mentre pregava Iddio. È per questo che la solita lettura fiaccamente moralistica mal si attaglia alla vicenda del buffone di Mantova: può forse essere un delitto d’onore, per giunta di un signorotto lascivo ed importuno, colpa così grave da precipitare tutti in una tale abissale spirale discendente? Può essere una tale colpa lo scherno di un vecchio conte decaduto, che irrompe alla festa maledicendo gli astanti? Per questo l’altare e la maledizione sono giustamente il contrasto principe di quella che, nelle parole dei registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, è l’«opera dei contrasti». Lo spettacolo che hanno realizzato per l’apertura della stagione del Teatro Coccia di Novara è elegantissimo, interamente raccolto in una cornice marmorea che avvolge il boccascena in cui tutti i personaggi sono raffigurati come in un quadro (magnifica la composizione statica dei personaggi nel Preludio). L’ambientazione è «rigorosamente cinquecentesca», e in effetti l’uso della luce e della regia è chiaramente pittorico, a riprova di come anche scene asciutte, simboliche ed essenziali (pochi arredi, cubi e piedistalli quasi come altari) possono essere insieme perfettamente tradizionali ed originali. Merito sicuramente anche dei bellissimi costumi di Nicoletta Ceccolini, delle scene di Leila Fteita e delle luci di Emiliano Pascucci.

Coinvolgente la bacchetta di Matteo Beltrami, che offre una lettura scorrevole ma intensa. I tempi sono molto corretti, i recitativi scorrevoli e i fraseggi inappuntabili. Giustamente applauditissimo. Purtroppo uno spettacolo così concepito, con i protagonisti spesso al secondo piano della scena nella metà posteriore del palcoscenico, procura giocoforza dei volumi in favore dell’orchestra, e così alcune volte le sonorità risultano un poco sbilanciate, ma d’altro canto non si può pensare di limitare più di tanto la buca senza togliere a Verdi la sua solenne e tragica possenza. Buona l’Orchestra del Teatro Coccia con aggiunti del Conservatorio Cantelli, che si fa perdonare qualche difetto d’intonazione dei violini con uno stretto rigore agogico e un’ottima reattività nelle dinamiche.

Il ruolo eponimo di Roberto de Candia al debutto è nobile e tragico, interpretativamente già maturo e vocalmente convincente. Il timbro non è il più tradizionale per Rigoletto, restando volto sul lato leggero, e forse proprio per questo risulta particolarmente elegante ed accorato specialmente nei cantabili, primo fra tutti il duetto con Gilda del primo atto. Peccato per la totale assenza degli acuti di tradizione: sarebbero senz’altro stati ottimi. Piacione e centrato il Duca di Stefan Pop, molto a suo agio nel ruolo e di vocalità fresca e brillante, per quanto talora un poco forzata negli acuti più impervi. Dà il meglio di sé nella commovente Parmi veder le lagrime, molto acclamata dal pubblico. Gilda è l’ottima Aleksandra Kubas-Kruk, che tralasciando qualche perdonabilissima incertezza d’intonazione nel registro medio è eccezionale e tagliente nell’acuto e mantiene perfettamente il controllo di dinamiche, vibrati e mezze voci con un’impeccabile uniformità timbrica e un fraseggio tenero, caldo e del tutto appropriato per il personaggio.

Sofia Janelidze è una Maddalena dal timbro caldissimo, ampio e penetrante nonostante la distanza dal boccascena, mai innaturale, dalla recitazione agile e piacevole (nulla di peggio di certe Maddalene grottescamente caricaturali, capaci in cinque minuti di devastare un’intera opera). Buoni tutti gli altri, con una menzione speciale per il Marullo di Stefano Marchisio. Ottimo infine il Coro del Teatro Coccia, in collaborazione con gli allievi dei Conservatori di Novara e Alessandria, diretto dal M.° Marco Berrini, dal perfetto amalgama e molto a suo agio sulla scena.

Paolo T.Fiume

Paolo T. Fiume

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