PARIGI: La Khovantchina – Modeste Moussorgski, 12 febbraio 2022 a cura di Jorge Binaghi
La Khovantchina
Opera in cinque atti
Musica
Modeste Moussorgski – (1839-1881)
Libretto
Modeste Moussorgski
Vladimir Stassov
Direttore Hartmut Haenchen
Regia Andrei Șerban
Personaggi e Interpreti:
- Prince Ivan Khovanski Dimitry Ivashchenko
- Prince Andrei Khovanski Sergei Skorokhodov
- Prince Vassili Golitsine John Daszak, Vasily Efimov
- Chakloviti Evgeny Nikitin
- Dosifei Dmitry Belosseslkiy
- Marfa Anita Rachvelishvili, Yulia Matochkina
- Susanna Carole Wilson
- Le Clerc Gerhard Siegel
- Emma Anush Hovhannisyan
- Varsonofiev Wojtek Smilek
- Kouzka Vasily Efimov
- Strechniev Tomasz Kumiega
- Premier Strelets Volodymyr Tyshkov
- Deuxième Strelets Alexander Milev
- Un confident de Golitsine Fernando Velasquez
Orchestrazione Dmitri Chostakovitch
Scene e costumi Richard Hudson
Luci Yves Bernard
Coreografie Laurence Fanon
Maestro del Coro Ching-Lien Wu
Orchestra e Coro de l’Opéra National de Paris
Maîtrise des Hauts-de-Seine /Coro delle voci bianche dell’Opéra national de Paris
Coproduzione Teatro del Maggio musiacle Fiorentino
Opéra National de Paris – Opéra Bastille, 12 febbraio 2022
Quell’immenso affresco che è la Chovanscina del grandissimo Musorgskij, ultima fatica lirica più o meno compiuta (forse comparabile, secondo alcuni, a un magnifico torso, nel cui caso si potrebbe parlare di un “non finito” michelangiolesco) è, come sempre in lui, un canto di dolore per una Russia che fa e si fa male, dove tutti hanno ragione e sbagliano, credono di essere nel vero ma vivono nella menzogna, si odiano e cercano di sopprimersi a vicenda con il pretesto di una nozione di patria sempre più remota e problematica: le similitudini con il mondo di oggi, e non solo la Russia, di ieri e dell’altroieri sconvolgono. Che il lamento per la povera patria venga messo in bocca a un feroce e freddo politico, ambiguo ed intrigante, mi ha disturbato sempre: non riesco a persuadermi che si tratti della giustificazione di uno sterminio spietato… sarà allora forse l’ultimo sarcasmo sui cosiddetti patrioti? Perchè se guardiamo il Boris…(potete vedere il libro di Tarouskin o il Convegno internazionale alla Scala 1981 (Quaderni di Musica/Realtà n.5).
Ho avuto la fortuna che la mia recita a Parigi non fosse preda del covid. Veniva presentato il vecchio e piuttosto tradizionale allestimento di Andrei Serban (tutto sommato il migliore dei lavori che gli ho visto per il teatro lirico), colorito, funzionale, monumentale quanto basta con un approccio enfatico ai personaggi che si addice ai personaggi estremi dell’opera e che alcuni tra gli artisti si compiacciono a sottolineare.
Non si attenda l’impatto dello spettacolo di Martone per la Scala, per esempio, perché qui l’ottica è tutt’altra, se si vuole più “superficiale” ma attendibile. Lo stesso dicasi per la direzione del bravo Hartmut Haenchen, forse più a suo agio in altri compositori, ma sempre un abile concertatore e un maestro di quelli che si vorrebbe avere al posto di stelle mediatiche e che sa estrarre un bel suono dall’orchestra dell’Opéra (veniva adoperata l’orchestrazione di Schostakovich; forse all’allestimento avrebbe giovato di più quella di Rimskij Korsakov). Molto bene il coro istruito da Ching-Lien Wu che ha, come sempre in quest’autore, un’importanza fondamentale (compreso anche il Coro di bambini del Teatro e de la Maîtrise des Hauts-de-Seine guidato da Gaël Darchen).
Tra gli altri problemi che quest’opera presenta è che i ruoli, episodici o no, sono parecchio difficili da distribuire. Mettiamo il caso di Kuska (Vasily Efimov, già nel cast anteriore): il cantante conosce bene la parte ma la voce lo segue un po’ meno di prima. Molto bravo lo scrivano di Gerhard Siegel, anch’esso già ascoltato qui nello stesso ruolo. La protestante Ema, oggetto delle brame dei Chovanskij padre e figlio, ha degli acutí tremendi da sparare: il soprano Anush Hovhannisyan ha fatto il possibile e ne è uscita piuttosto bene. La Suzana di Carole Wilson è adeguata, anche se mostra qua e là segni di usura in acuto. Benissimo le ballerine per le danze persiane (azzeccata coreografia di Laurence Fanon).
E veniamo ai principali. Difficile dire quale è il più importante dei due bassi. Personalmente m’interessa di più il capo dei vecchi credenti, il fanatico ex nobile Dosifej che ha interpretato e cantato molto bene Dmitry Belosselskly (forse un grave più robusto avrebbe dato un’ulteriore brivido a certe frasi). Il principe Ivan Chovanskij veniva cantato benissimo da Dimitry Ivashchenko, anche se come accenti e gestualità eravamo alla tradizione russa più “tradizionale” – che a me non dispiace ma che ovviamente oggi può sembrare parecchio sopra le righe.
Il principe Andreij era il bravissimo Sergeij Skhorkhodov al suo debutto all’Opéra): voce più bella nella parte non ho mai sentito dal vivo. Certo il personaggio non è memorabile (tutt’altro) ma è inutile cercare di scavare in una psicología così primitiva.
Il principe Golizyn (la voce “occidentale” della congiura) veniva affidato all’intelligente John Daszak, una voce di tenore forse non bellissima ma duttile e capace d’inflessioni interessanti nella sua unica ma esigente scena cantata (la seconda, muta, quando viene trascinato all’esilio, era buona prova della sua capacità di attore).
Evgeny Nikitin pare trovare nel boiardo Saklovitij un ruolo congeniale alla sua voce ed espressività (io preferisco un baritono nella parte, ma è chiaro che per un personaggio così bieco forse un bassobaritono risulta più adatto).
E poi c’è Marfa, “il” ruolo femminile dell’opera. Ho sentito grandi cantanti in passato in questa parte così bella ma pesante per un mezzosoprano. Forse nessuna aveva la bellezza del timbro di Anita Rachvelishvili, ma certo nessuna affondava tanto nel registro grave (a me non pare esattamente una virtù). L’acuto era bellissimo e sicuro e al personaggio questa caratterizzazione vocale serviva meglio nei momenti di magia e fede ossessiva che in quegli altri – bellissimi- dove predomina la donna innamorata.
Alla Bastille non c’era un posto libero e il successo alla fine è stato enorme.
Jorge Binaghi