PARMA: Attila- Giuseppe Verdi, 13 ottobre 2018
ATTILA
Dramma lirico in un prologo e tre atti, libretto di Temistocle Solera completato da Francesco Maria Piave,
dalla trilogia Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner
Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Helen M. Greenwald
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano
Maestro concertatore e direttore GIANLUIGI GELMETTI
Regia e Scene ANDREA DE ROSA
Personaggi e Interpreti
- Attila RICCARDO ZANELLATO, MICHELE PERTUSI (21)
- Odabella MARIA JOSÉ SIRI
- Ezio VLADIMIR STOYANOV
- Foresto FRANCESCO DEMURO
- Leone PAOLO BATTAGLIA
- Uldino SAVERIO FIORE
Costumi ALESSANDRO LAI
Luci PASQUALE MARI
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
In coproduzione con State Opera Plovdiv, Città Capitale della Cultura europea 2019
Un Attila certamente brillante al Festival Verdi 2018, che nella sempre suggestiva cornice del Teatro Regio di Parma ha visto tributarsi un grande consenso dalla platea della terza rappresentazione. Lo spettacolo, a firma di Andrea De Rosa, supera con intelligenza le due opposte, canoniche filosofie che tentano di incasellare un Verdi quanto mai sottile, l’una tradizionalmente revanscista dalla parte di Odabella e della sua giusta vendetta, l’altra analitica ed antieroica che vorrebbe Attila come vero protagonista positivo. Dalla primissima scena l’Attila che pugnala alle spalle con un finto abbraccio una giovane aquileiese risulta certamente ostile non solo alla simpatia ma finanche alla più blanda comprensione; eppure è difficile non scorgerne la fragilità nella scena dell’incubo, dove perfino l’eroica cabaletta tradisce un ardire troppo frettoloso per essere frutto di vera serenità. Finalmente un regista si è accorto della dimensione profondamente spiritica e fantastica che pervade le anime dei protagonisti; come è l’ombra del padre ad apparire a Odabella nel fuggente nuvolo, allo stesso modo l’intera processione di papa Leone acquista una parvenza trasognata, al confine della realtà. Merito senz’altro anche delle luci sempre intelligenti ed efficaci di Pasquale Mari: particolarmente bello l’uso delle torce nel secondo atto. In generale i movimenti funzionano molto bene, la semplice base rocciosa in pronunciato declivio risulta convincente ed agile per tutte le circostanze, consentendo una regia ricca ma snella e priva di farraginosi cambi scena. Belli i costumi di Alessandro Lai, sobri e piacevolmente senza tempo, con un po’ di scivolone sugli abiti papali decisamente meno raffinati e credibili delle controparti.
Che dire della bacchetta di Gianluigi Gelmetti? Certamente l’opera non gli è nuova, e i tempi sempre oltremodo brillanti, a tratti frenetici, hanno una qualche ragion d’essere, se non altro quella di godere delle nuove sfumature che il testo verdiano è capace di produrre quando portato ai fisiologici limiti. Sfumature tanto interessanti in certi momenti quanto difficili da far funzionare lungo tutta l’opera, specie quando frutto di un approccio pervasivo e squadrato. Le cadenze, al triplo della loro consueta velocità, non sempre soddisfano, e non certo per l’imperizia dei cantanti, anzi universalmente meritevoli nell’adattarsi a certi metronomi. I cantabili funzionano, sì, e a tratti sono forse anche più piacevoli che nelle agogiche tradizionali; ma non funzionano tutti, e soprattutto si tratta di un funzionamento che è più strettamente musicale che autenticamente melodrammatico. Ad ogni modo tutto è tenuto insieme molto bene; la Filarmonica Arturo Toscanini è incollata al gesto senz’altro assai preciso, con una ricchezza timbrica affascinante, una gamma dinamica eccezionale e in generale una prestazione di assoluta eccellenza, praticamente discografica. Altrettanto eccezionale è il Coro del Teatro Regio, di enorme impatto vocale, perfetto equilibrio e totale aderenza alla buca. Un grande plauso al Maestro Martino Faggiani, giustamente applauditissimo.
Riccardo Zanellato è un ottimo Attila, di timbro uniforme e ricco, sapientemente supportato da una grande misura dinamica e un impeccabile uso del respiro e del fraseggio. Dal loggione piovono varie richieste di bis per la cabaletta Oltre quel limite, effettivamente magistrale. L’arte scenica è sapiente e il gesto è sempre opportuno, regale e molto credibilmente guerresco. Il volume è a tratti penalizzato dalla collocazione registica nel fondo della scena; ma Zanellato è molto intelligente a non sforzare e conservare la coerenza timbrica, che infatti fa giungere la voce con piacere immutato.
Maria José Siri è un’Odabella assai acclamata, e specialmente per le indubbie qualità vocali: il timbro resta caldo e risonante pur nel grande volume, e quello che può forse mancare in certi minuscoli dettagli (l’acciaccatura sul si acuto al termine dell’aria del primo atto non è delicatissima, ad esempio) è prontamente recuperato nella potenza torrenziale e nella stretta aderenza alla musica anche nei tempi più rapidi, non trascurando il perfetto legato e il grande pathos dei cantabili. Non si può purtroppo dire altrettanto bene del Foresto di Francesco Demuro, e dispiace, conoscendo le sue doti più che ampiamente dimostrate in altri contesti. A suo favore, pare che fosse reduce da un’indisposizione nelle settimane precedenti; eppure è sembrato a tratti in palese difficoltà, con una spinta innaturale che salva una certa proiezione ma va a grande danno del timbro, affaticato e un po’ lamentoso. Speriamo che possa presto tornare ad essere quello che conosciamo, e glielo perdoniamo volentieri in un ruolo un po’ ingeneroso, che esige grandi sforzi in spazi ristretti. Eccezionale l’Ezio di Vladimir Stoyanov; non indimenticabile nel movimento, ogni tanto un po’ impostato, ma perfetto nel canto, di pasta timbrica centratissima e sferzante possenza autenticamente baritonale. Si guadagna un gigantesco, scanditissimo “bravooo!” per la superba cabaletta del secondo atto. Molto bene anche l’Uldino di Saverio Fiore, e corretto il Leone di Paolo Battaglia. L’ultima replica è prevista per la prossima Domenica 21.
Paolo T. Fiume