PARMA: Carmen – Georges Bizet, 16 gennaio 2022 a cura di Silvia Campana
CARMEN
Musica di
GEORGES BIZET
Opéra- comique in quattro atti di Henry Méilhac e Ludovic Halévy
dal romanzo Carmen di Prosper Mérimée
Maestro concertatore e direttore JORDI BERNACER
Regia SILVIA PAOLI
Personaggi e Interpreti:
- Carmen Ramona Zaharia
- Don José Arturo Chacon Cruz
- Escamillo Alessandro Luongo
- Micaela Laura Giordano
- Dancairo Fabio Previati
- Remendado Saverio Fiore
- Morales Gianni Giuga
- Zuniga Massimiliano Catellani
- Frasquita Anna Maria Sarra
- Mercedes Chiara Tirotta
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Marcello Lumaca
Video Francesco Corsi
Coreografie CARLO MASSARI/C&C Company
ORCHESTRA DELL’EMILIA-ROMAGNA “ARTURO TOSCANINI”
BANDA DELL’ORCHESTRA GIOVANILE DELLA VIA EMILIA
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
CORO DI VOCI BIANCHE DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro Martino Faggiani
Maestro del coro di voci bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
In coproduzione con I Teatri di Reggio Emilia
Teatro Regio, 16 gennaio 2022
Mostra diversi motivi di interesse la nuova produzione di Carmen presentata dal Teatro Regio di Parma come titolo inaugurale di una stagione 2022 che continua purtroppo a mostrare palcoscenici tormentati dai possibili imprevisti e sostituzioni cui la situazione sanitaria ci ha ormai abituato.
Proprio per questo motivo la recita cui ho assistito vedeva modificata una parte rilevante del cast dove venivano sostituiti gli interpreti di Carmen, Escamillo, Dancairo e Frasquita.
L’idea proposta dalla regista Silvia Paoli, pur partendo dal testo di Merimée che, com’è noto, affronta la narrazione attraverso il racconto di Don Josè in carcere ed in attesa della pena capitale, ne amplia e diversifica il significato, andando a scandagliare le verità nascoste e tutto il non detto che la realtà narrata dal personaggio sembra nascondere.
Carmen rimane naturalmente il personaggio centrale del dramma ma solo nella sceneggiatura tratteggiata dalla mente di Don Josè, la donna esiste e respira solo attraverso le sue parole ed ha un’unica dimensione visiva che sconfina con l’immaginario erotico e con il ritratto creato dall’uomo per se stesso; la donna appare ovunque nella sua mente (anche vestita come un soldato durante la pausa per il pranzo) e le ossessioni si moltiplicano in una forma di drammaturgia parallela cui l’efficace prestazione di alcuni abili danzatori fa da significativa cornice.
Con un interessante ribaltamento del cliché ottocentesco di una Spagna dominata da femmine fatali e vampiresche (tema che dominerà il mondo figurativo del tempo in contrasto con la figura della donna angelo) l’ottica registica, che sposta l’azione negli anni Sessanta, sembra puntare il dito su ciò che rimane oggi di quel retaggio, apparentemente superato ma fin troppo vivo nell’angolo delle menti neanche troppo nascoste di non pochi personaggi che dominano il nostro contemporaneo.
Così il dramma viene incorniciato scenicamente dallo spazio angusto e cupo di un carcere, costantemente dominato a proscenio dal letto di Don Josè da cui sorgono incubi e visioni inquietanti; esso è tagliato obliquamente da una parete che cala a tratti per permettere la visione del Coro, testimone di un mondo esterno che assume i caratteri sfocati del ricordo.
Se l’idea di base è vincente, specie quando gioca con il tempo mentale aprendoci a scorci evocativi (molto efficace l’immagine di Josè che sembra marciare insieme a se stesso bambino durante il coro del I Atto o il cambio repentino di Carmen che giostra una corrida con Escamillo per poi cingersi il capo con la cappa trasformata in velo virgineo) la stessa diventa un inciampo quando si scontra con la realtà drammaturgica, sacrificandone le portanti narrative come nei salti temporali degli incontri tra José e Micaela o in alcune scene del III e IV Atto.
Un lavoro comunque ben cesellato e che sembra porre come tema, centrale ed attualissimo, l’ossessione di una passione che, oggi come allora, arriva a deformare eventi ed intossicare vite introducendo un interessante, anche se certo non nuova, riflessione tra vero e verosimile.
Molto bene nel suo complesso il cast impegnato, che ha ben declinato, mediante canto cesellato e recitazione intensa, le dinamiche del linguaggio volute dalla regia.
Ramona Zaharia scolpisce una protagonista ambigua, ferina e dominante, sensuale e procace quanto priva di scrupoli. Il suo canto si pone morbido e suadente attraverso un timbro assai ben sostenuto tecnicamente e riesce ad appoggiare una recitazione costantemente seduttiva ma mai volgare. Così questa donna immaginata trova anima e corpo e, quando il linguaggio registico non basta a sostenerne la coerenza, l’interprete riesce a dipanarne al meglio le dinamiche espressive.
Bene anche il Don José di Arturo Chacon Cruz, perennemente in scena ed abilissimo nel disegnare ogni singolo turbamento del suo personaggio attraverso un canto, forse a tratti un po’ troppo sfogato, ma sempre funzionale all’espressione drammatica.
Molto positiva anche la prova di Laura Giordano, una Micaela un po’ schiacciata dalla regia in una dimensione a metà tra il sogno e la realtà, minuziosamente delineata attraverso una vocalità piena e ricca di armonici; corretto l’Escamillo tratteggiato da Alessandro Luongo.
Attenti e professionali Fabio Previati (Dancairo), Saverio Fiore (Remendado), Anna Maria Sarra (Frasquita) e Chiara Tirotta (Mercedes) così come Gianni Giuga (Morales) e Massimiliano Catellani (Zuniga). Misurato il Coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani.
Jordi Bernàcer sceglie l’edizione con i recitativi musicati da Guiraud che dirige con giusta misura e dinamiche equilibrate ed efficaci anche se il contatto con il Coro risultava a tratti (credo a causa del suo posizionamento) non perfettamente calibrato. Molti applausi da parte del pubblico presente in sala per questa nuova interessante produzione che, nonostante i limiti segnalati, mantiene solida un’impostazione concettuale di tutto rispetto.
Silvia Campana