PIACENZA: Aroldo – Giuseppe Verdi, 23 gennaio 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi

PIACENZA: Aroldo – Giuseppe Verdi, 23 gennaio 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi

  • 24/01/2022

GIUSEPPE VERDI
Aroldo
melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave

 

direttore Manlio Benzi
drammaturgia e regia Emilio Sala e Edoardo Sanchi

Personaggi e Interpreti:

  • Aroldo Luciano Ganci
  • Mina Roberta Mantegna
  • Egberto Vladimir Stoyanov
  • Briano Adriano Gramigni
  • Godvino Riccardo Rados
  • Enrico Giovanni Dragano

scene Giulia Bruschi
costumi Elisa Serpilli, Raffaella Giraldi
luci Nevio Cavina
coreografie Isa Traversi
montaggio video e proiezioni Matteo Castiglioni
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
maestro del coro Corrado Casati
NUOVO ALLESTIMENTO

coproduzione
Teatro Galli di Rimini | Teatro Alighieri di Ravenna
Teatro Comunale di Modena | Teatro Municipale di Piacenza

 

 Teatro Municipale, 23 gennaio 2022


Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Zani-Casadio

Aroldo di Giuseppe Verdi, andato in scena al Teatro Municipale di Piacenza, è una coproduzione con il rinato e ribattezzato Teatro Amintore Galli di Rimini (dove è andato in scena in “prima” con questo allestimento ma un cast differente) l’Alighieri di Ravenna e il Comunale di Modena. Come si sa rifacimento di Stiffelio, Aroldo vide la luce delle scene nel 1857 proprio al Teatro Nuovo di Rimini, ricostruito dopo il bombardamento del 28 dicembre 1943 e restituito alla città romagnola quattro anni fa. Verdi tornò sulla sua opera per motivi di censura: la vicenda di un pastore protestante tradito dalla consorte, ambientata in epoca più o meno contemporanea aveva causato non poche perplessità e ostacoli, e così Verdi, complice sempre Francesco Maria Piave, trasportò la vicenda nella Scozia medioevale, con i cavalieri che tornano dalle crociate (Aroldo appunto), cambiando i nomi dei personaggi (la protagonista femminile perde solo la consonante iniziale e da Lina diventa Mina), effettuando diversi cambi musicali e aggiungendo ex-novo un quarto atto.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Cavalli

L’opera risulta essere musicalmente molto interessante, e proprio il breve quarto atto, che vede il perdono di Aroldo a Mina, pare quello più vicino alla ricerca musicale del Verdi della fase matura. Per il resto quest’opera, che è dello stesso anno di Simon Boccanegra prima versione, per intenderci, guarda abilmente indietro anche nella vocalità dei protagonisti, in particolare quella di Mina, figura centrale e vera protagonista della vicenda, che tra salti d’ottava e slanci di coloratura drammatica ricorda molto quella delle più perigliose eroine della produzione anni Quaranta del Bussetano.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Cavalli

Che operazione hanno effettuato, con intelligenza, Emilio Sala ed Edoardo Sanchi, che dello spettacolo hanno curato regia e drammaturgia? L’attualità spinta fuori dalla porta per ragioni di censura è rientrata dalla finestra, dimostrando, ove mai ce ne fosse bisogno, che Verdi parla sempre di noi, qui e ora. Ecco quindi che la trama di Aroldo viene trasposta al 1936, al ritorno dalla guerra colonialista d’Etiopia, con appendice al dicembre 1943 per l’ultimo atto, a regime fascista crollato e con l’Italia sfregiata dai bombardamenti, tra cui appunto quello che distrusse il Teatro di Rimini. E proprio da qui si parte, con la voce fuori campo di una Mina anziana che ricorda quegli anni e quelle devastazioni e la prima immagine di lei in scena la vede discinta, in un letto disfatto, dove ha appena consumato l’amplesso con l’amante Godvino. Mina è una donna, che anche attraverso il ripudio dell’adulterio e la ricerca di perdono, vuole in realtà testardamente affermare se stessa in quanto essere umano, e riuscire ad evadere dalla gabbia maschilista e opprimente che il borghese e ottuso clima del Ventennio le ha costruito intorno; unico essere femminile in un universo di maschi (anche gli elementi femminili del Coro sono in abiti virili), è contesa tra il marito “eroe di guerra”, che non capisce minimamente i motivi della sua sbandata, il padre gerarca che tiene solo alla propria rispettabilità, l’amante fatuo e desideroso di far carriera nei gradi militari del regime. E su di lei l’occhio moralistico di Briano, trasformato da eremita in fedele ascaro di Aroldo.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Cavalli

Con opportune modifiche al libretto (si parla di “Abissinia” e di “camerati”), la proiezione di filmati d’epoca e l’inserimento a mo’ di raccordo tra le scene di canzoncine e marcette littorie, il tutto funziona con convincente effetto drammatico e buon ritmo teatrale. Una “rilettura” pensata e persuasiva, che trova il suo epilogo, come ho accennato in precedenza, nella fase finale del secondo conflitto, quando i protagonisti hanno perso il loro potere o sono sfollati, confinati in un fittizio borgo di fondazione fascista, una sorta di colonia di recupero e bonifica, senza ormai più nessuna ragione di esistere. Esemplare supporto alla produzione le scene di Giulia Bruschi (con ampio spazio alle classiche scritte con le parole d’ordine dell’infausto periodo), i costumi di Raffaella Giraldi ed Elisa Serpilli, le luci di Nevio Cavina, il montaggio video e proiezioni di Matteo Castiglioni e i movimenti scenici di Isa Traversi.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Cavalli

Sul podio della concentrata e valida Orchestra Giovanile Cherubini, Manlio Benzi, al netto di alcune sonorità eccessivamente gonfiate e di un avvio un poco fiacco, ha trovato in corso d’opera la via di rendere pertinentemente il dettato di questo particolare discorso musicale verdiano.

Sul palcoscenico un cast validissimo. A cominciare dalla Mina battagliera ed incisiva di Roberta Mantegna, che sì è fatta valere con impeto nell’impervia vocalità del suo personaggio. Il peculiare metallo nel timbro di questo giovane soprano aggiunge personalità e carattere alla sua interpretazione, che ha trovato nell’eccellente resa dell’aria “Ah, dagli scanni eterei” e successiva cabaletta “Ah, dal sen in quella tomba”, un momento di bruciante verità musicale, giustamente premiato da scroscianti applausi.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Cavalli

Luciano Ganci (Aroldo) ha riconfermato di essere una della più generose e affidabili voci tenorili italiane d’oggi. Volume, potenza, squillo, sicurezza, accento scandito sono una garanzia a cui Ganci ci ha abituati.

Solidissima e di robusto smalto la prova di Vladimir Stoyanov, sempre professionista serio e sicuro, come Egberto. In ottima forma, il baritono ha impresso rilievo vocale e interpretativo, tra gli altri momenti, alla sua aria e cabaletta del terzo atto “Mina pensai che un angelo… Oh gioia inesprimibile”.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Zani Casadio

Efficaci anche Adriano Gramigni (Briano) e Riccardo Rados (Godvino). Completava la locandina Giovanni Dragano (Enrico)

Il Coro del Teatro Municipale, preparato da Corrado Casati, ha dato, come di consueto, buona prova di sé.

Aroldo – Giuseppe Verdi © Foto Zani Casadio

Successo vibrante al termine, che si sarebbe voluto tributato, ahinoi, da un pubblico più numeroso, perché l’occasione lo avrebbe meritato.

Nicola Salmoiraghi

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