PIACENZA: Il Tamerlano – Antonio Vivaldi, 22 gennaio 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi
ANTONIO VIVALDI
Il Tamerlano
ovvero la morte di Bajazet [RV703]
tragedia per musica in tre atti, libretto di Agostino Piovene
direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
regia, scene e costumi Stefano Monti
Personaggi e Interpreti:
- Tamerlano Filippo Mineccia
- Bajazet Bruno Taddia
- Asteria Delphine Galou
- Andronico Federico Fiorio
- Irene Shakèd Bar
- Idaspe Giuseppina Bridelli
luci Eva Bruno
coreografie Marisa Ragazzo, Omid Ighani
Contenuti video / 3D Cristina Ducci
pittura su tela Rinaldo Rinaldi, Maria Grazia Cervetti
illustrazioni Lamberto Azzariti
sculture Vincenzo Balena
ACCADEMIA BIZANTINA
DACRU DANCE COMPANY
NUOVO ALLESTIMENTO
coproduzione
Teatro Alighieri di Ravenna
Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Valli di Reggio Emilia
Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro del Giglio di Lucca
Teatro Municipale, 22 gennaio 2023
La prima piacevolissima sorpresa è stata quella di vedere il Teatro Municipale di Piacenza quasi al completo per la recita domenicale de Il Tamerlano di Antonio Vivaldi, altrimenti conosciuta come La morte di Bajazet se non addirittura Bajazet tout court. La seconda, l’entusiasmo vicino ai toni del trionfo che ha accolto la conclusione dell’opera, quasi fosse un titolo del grande repertorio. Bene, benissimo; l’oculata e varia programmazione del Teatro piacentino, retto dall’indomabile e brillantissima Cristina Ferrari, ancora una volta ha colto nel segno.
Già meravigliosamente ambigua e sfuggente nella varietà dei suoi titoli, quest’opera è in realtà frutto di Antonio Vivaldi solo più o meno per la metà; alcune arie sono opera di Hasse, Giacomelli (la famosa “Sposa sono disprezzata), Broschi (fratello di Farinelli); di cinque arie poi è andata persa la musica e sono state sostituite dal Maestro Ottavio Dantone, splendida guida musicale di questa produzione, con altrettante arie dello stesso Vivaldi, Giacomelli e Hasse, appunto, rispettando metrica e prosodia dei versi originali.
Questo affascinante “pasticcio” come si direbbe oggi ma che lo stesso Dantone preferisce definire, come si usava all’epoca, “opera di vari celebri autori”, vide la luce delle scene nel Carnevale 1735 a Verona, su commissione dell’Accademia Filarmonica di quella città. Sorprende, nonostante la presenza delle varie mani creative, la stringente unità drammaturgica e musicale del titolo, in un incalzante e coinvolgente svolgersi, incatenarsi e sciogliersi degli “affetti”, che ne fanno un mosaico emotivo e teatrale di indiscutibile seduzione.
Certo, un’esecuzione musicale magnifica come quella dell’Accademia Bizantina (strumentisti a livello platea) guidata dalla mano magistrale di Ottavio Dantone, che in questo repertorio è re, aiuta tantissimo. Fluidità e stringente drammaticità di suono; musica sempre, sempre attaccata al testo e a quanto avviene in scena, in un continuo interscambio tra parole e note, a comporre un quadro che non è pura rappresentazione ma plastica realtà dei moti che regolano l’anima e il cuore, quindi la vita. Bravissimi, direttore e maestro al cembalo Dantone e complesso orchestrale; difficile fare meglio.
Lo spettacolo (una coproduzione Ravenna, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Lucca) porta la firma per regia, scene e costumi di Stefano Monti (luci di Eva Bruno, efficaci contenuti video/3D di Cristina Ducci, pittura su tela di Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti, illustrazioni di Lamberto Azzariti, sculture Vincenzo Balena). Un allestimento essenziale, pulito, di scabro ma pregnante impatto visivo. Ogni personaggio ha un suo doppio abbigliato e truccato in modo simile, che ne guida e ne danza i sommovimenti interiori e psicologici (coreografie di Marisa Ragazzo e Omid Ighani, eseguite con impegno dai membri della Dacru Dance Company); forse qualche eccesso “di presenza” di questi “cloni”, ma sostanzialmente un risultato attendibile.
Il controtenore Filippo Mineccia ha impresso forza e carattere, oltre a un incisivo rilievo vocale, al ruolo di Tamerlano, mentre Bruno Taddia (Bajazet) ha ricordato una volta di più quanto conti la cultura vocale e l’intelligenza musicale di un cantante, che è in primo luogo un “artista”. I suoi recitativi erano manuali di cosa significhi parola cantata con senso teatrale.
Da segnalare il bravo controtenore/sopranista Federico Fiorio, a cui spetta, al netto comunque di una fiorita aria di bravura nella seconda parte, il ruolo più distesamente lirico di Andronico rispetto a quello Tamerlano, affrontato con timbrica suggestiva e competenza stilistica.
Tra le voci femminili lodi alla brava Giuseppina Bridelli come Idaspe (qui una donna in panni maschili, ah, la fenomenale e irresistibile indeterminatezza di ruoli e voci, così modernamente fluid gender, del teatro musicale barocco…), agguerrita nelle sue arie agitate e di notevole difficoltà. Molto interessante anche Shakèd Bar, convincente Irene. Bene, ma un poco meno a fuoco, anche Delphine Galou (Asteria).
Del calorosissimo, prolungato e meritato successo si è detto.
Nicola Salmoiraghi