PIACENZA: La Bohème – Un Natale fra sogni e chimere, di Attilio Cantore
GIACOMO PUCCINI
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
(scene da La vie de bohème di Henri Murger)
Progetto OPERA LABORATORIO 2019
Aldo SISILLO direttore
Leo NUCCI regia
Personaggi e Interpreti:
- Mimì Maria Teresa Leva
- Musetta Lucrezia Drei
- Rodolfo Azer Zada
- Marcello Carlo Seo
- Schaunard Stefano Marchisio
- Colline Maharram Huseynov
- Benoît /Alcindoro Gianluca Lentini
- Parpignol Raffaele Feo
Salvo Piro regista collaboratore
Carlo Centolavigna scene
Artemio Cabassi costumi
Claudio Schmid luci
Corrado Casati maestro del coro
Mario Pigazzini maestro del coro voci bianche
ORCHESTRA FILARMONICA ITALIANA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
VOCI BIANCHE CORO FARNESIANO DI PIACENZA
Coproduzione
Teatro Comunale Luciano Pavarotti Modena
Teatro Municipale di Piacenza
Teatro Giovanni Battista Pergolesi di Jesi
in collaborazione con Opéra de Marseille
NUOVO ALLESTIMENTO
Un Natale fra sogni e chimere, di Attilio Cantore
In un mondo di incertezze, su una cosa si può essere sempre, plausibilmente, d’accordo: non esiste un Natale senza Bohème. Ecco che il Teatro Municipale di Piacenza inaugura la nuova stagione lirica 2019-2020 con un nuovo e suggestivo allestimento del capolavoro pucciniano (20-22 dicembre), appuntamento molto atteso che va a coronare e concludere l’anno di celebrazioni per il centenario della morte del librettista arquatese Luigi Illica. Sul palcoscenico piacentino si esibisce una sfolgorante pléiade di giovani cantanti formata dai protagonisti del Progetto Opera Laboratorio 2019, virtuosa fucina di talenti promossa dalla direttrice artistica Cristina Ferrari e coordinata magistralmente dal leggendario baritono Leo Nucci. Lo spettacolo è in coproduzione con il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, il Teatro Giovanni Battista Pergolesi di Jesi e l’Opéra de Marseille.
Leo Nucci, affiancato da Salvo Piro, delinea una regia rispettosa della tradizione, seducente per la sua eleganza appena caramellata e sognante. D’altronde, nelle didascalie di Illica e Giacosa è già contenuta la traccia perfetta e netta di quella poetica realtà che caratterizza La bohème e che non manca mai di affascinare il grande pubblico. Vengono qui introdotti, altresì, tre elementi di originalità, e tutti legati al “quadro” del Café Momus, luogo d’elezione del gruppo di artisti squattrinati, al numero 15 di Rue des Prêtre Saint-Germains l’Auxerrois. Per prima cosa, un albero di Natale fa bella mostra di sé al centro della scena, a rimarcare con maggiore opulenza l’occasione festiva del «dì della vigilia». Ad apertura di sipario, una giovane fisarmonicista è impegnata nell’esecuzione delle prime frasi del Piccolo Valzer pucciniano: intrigante inserto che enfatizza la couleur locale del Quartier latin. Poco più tardi, una piccola orfana mendicante ambisce legarsi drammaturgicamente al personaggio di Musetta; prima dell’esecuzione di «Quando me’n vo», si incontrano per caso e in quel preciso istante avviene una sorta di transfert: fugace retrospettiva della vie charmante-vie terrible della «civetta», tal quale omodromia di fragili figure femminili in cerca di sogni nel dissipato labirinto di affetti sciupati?
Le scene di Carlo Centolavigna, così amorosamente in sintonia con le ambizioni filologiche della regia, si ispirano, per forza di cose, agli originali bozzetti di Adolf Hohenstein, riproducendo meticolosamente certi particolari di ambiente; a renderle pulsanti di vita ci ha pensato il sapiente gioco di luci di Claudio Schmid. L’essenza più autentica della Parigi bohémienne ottocentesca è espressa poi, con il consueto charme, dai costumi di Artemio Cabassi. Sul podio, Aldo Sisillo guida con gran sprezzatura e sicurezza d’intenti l’Orchestra Filarmonica Italiana, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati e le Voci Bianche del Coro Farnesiano Piacentino preparate da Mario Pigazzini. Quali meraviglie racchiude la partitura de La bohème, finanche «capace di far balzare gli oggetti inanimati al livello della vita poetica» (Mosco Carner).
Il cast dei cantanti non schiera gli stessi nomi delle due precedenti recite modenesi. Il poeta Rodolfo è qui interpretato da Azer Zada, tenore tutto d’un pezzo dalla voce omogenea nell’insieme dello spettro e assai espressiva. Alla seconda recita del 22 dicembre giunge, purtroppo, palesemente stanco e suona sovente un po’ scosceso: non è mancata qualche sparuta (e decisamente inopportuna) rimostranza dal loggione, nonostante l’annuncio di indisposizione. Ma al tenore azero gli si può ben perdonare tutto se, nonostante le condizioni fisiche di certo non ottimali, riesce ugualmente a portare fino in fondo lo spettacolo, sciorinando lodevoli qualità tecnico-sceniche e facendo emozionare epidermicamente il pubblico nei momenti più drammatici. Al suo fianco il soprano Maria Teresa Leva mette in mostra bellezza e flessibilità della voce, costruendo il personaggio di Mimì con intelligenza interpretativa. Se qualche sillaba del libretto viene sacrificata qua e là, grande cura è rivolta all’espressività, supportata da acuti facili e filati strepitosi che tanto efficacemente prolungano vibrazioni emotive.
Lucrezia Drei, perfetta nel ruolo di Musetta, è raffinatissima stilista attenta nel colorare ogni linea di canto, fino all’ultima parola. Le è assai congeniale il carattere civettuolo e malizioso, nel secondo e terzo quadro, fra la spumeggiante coquetterie di schermaglie amorose; come quello tragico nel finale, alla affannosa ricerca di un conforto e una «grazia» celeste per la angelica Mimì. Carlo Seo è a proprio agio nei panni del geloso pittore Marcello: se non sfoggia eloquente fraseggio, la dizione è buona e la voce di bel colore e forte, senza alcuna asperità. Stefano Marchisio debutta brillantemente e con piglio istrionico il ruolo del musicista Schaunard, in vesti “pucciniane” (cappello e baffi annessi): lo caratterizzano voce piena, ben timbrata e dai comodi acuti, sostenuta da vigoroso volume e solida tecnica. Maharram Huseynov, voce dal pregiato amalgama timbrico, risolve elegantemente il ruolo dell’iperfisico filosofo Colline, scolpendo la romanza «Vecchia zimarra» con marmorea plasticità. Buona prova anche per Gianluca Lentini nei ruoli macchiettistici di Benoît e Alcindoro. Efficace il Parpignol di Raffaele Feo. Completano il cast Carlo Nicolini (Sergente dei doganieri), Paolo Floris (Doganiere), Enrico Pertile (Venditore di prugne).