PIACENZA: Le convenienze ed inconvenienze teatrali – 19 novembre 2021, a cura di Nicola Salmoiraghi
GAETANO DONIZETTI
Le convenienze
ed inconvenienze teatrali
Arrangiamento di Vito Frazzi
Edizioni Universal Edition, Wien
Rappresentante per l’Italia Casa Ricordi, Milano
Drammaturgia Alberto Mattioli
direttore Giovanni Di Stefano
regia Renato Bonajuto
Personaggi e Interpreti:
- Corilla Giuliana Gianfaldoni
- Procolo Nicolò Donini
- Agata Marco Filippo Romano
- Luigia Paola Leoci
- Dorotea Silvia Beltrami
- Guglielmo Matteo Desole
- Biscroma Strappaviscere Andrea Vincenzo Bonsignore
- Prospero Salsapariglia Stefano Marchisio
- Sovrintendente Dario Giorgelè
- Ispettore del Teatro Juliusz Loranzi
ORCHESTRA FILARMONICA ITALIANA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
ENSEMBLE CAPITAL BALLET
Teatro Municipale, 19 novembre 2021
Una risata ci seppellirà? O semplicemente ci farà, per una sera, dimenticare tutte le difficoltà di un periodo a dir poco problematico e passare due ore e mezza in perfetto buonumore?
Il nuovo allestimento de Le convenienze e inconvenienze teatrali, opera donizettiana “dietro le quinte” francamente irresistibile, è approdata al Teatro Municipale di Piacenza in un brillantissimo nuovo allestimento che ha meritatamente suscitato il calore con cui è stato accolto dal pubblico.
Alberto Mattioli, noto critico musicale e scrittore che l’opera la ama davvero (anche se a volte dissentiamo, io ascolterei Andrea Chénier un giorno sì e l’altro pure, lui la detesta) ha riscritto la drammaturgia di questa delizia del Bergamasco, e quindi eccoci trasportati nell’attualità, con tablet, cellulari, email, un impresario che diventa sovrintendente e ricorda tanto, ma tanto, quello del più blasonato Teatro d’opera italiano. Non mancano sapidi interventi su Muti, Netrebko, Bartoli, Gheorghiu e auto citazioni ironiche (“tanto quel Mattioli non capisce nulla”). La scalcagnata compagnia di Castell’Arquato che sogna le grandi scene e dovrà darsela a gambe davanti all’imminente rovina finanziaria, ci ricorda, con graffiante ironia, il mondo del Teatro quale è sempre stato, due secoli fa come oggi.
Di tutta questa materia, scoppiettante e irrefrenabile, Renato Bonajuto, il regista, ha tirato le fila con sapiente maestria e scaltrita conoscenza del ritmo teatrale, che sostiene un soggetto dove in effetti trama vera e propria non c’è. Il compositore diventa direttore d’orchestra, il poeta regista, il mezzosoprano si finge controtenore per trovare lavoro in tempi di imperante filologia barocca; questo dà vita a momenti di esilarante teatralità, con l’interpolazione di “Con tromba guerriera” dal Silla di Händel e il duetto dal rossiniano Equivoco stravagante “Vieni pure a me t’accosta” a parti invertite, protagoniste Dorotea che ha riacquistato la sua identità femminile e Mamma Agata, con tanto di bacio saffico al termine… ma poi, che importanza ha chi è cosa? E ancora, l’invettiva di Maria Stuarda (il “Figlia impura) tra Mamma Agata e il regista Prospero. Non c’è un momento morto nello spettacolo, tutti recitano benissimo e Bonajuto asseconda il gioco con frizzante e infallibile senso della commedia. Da tempo a teatro non mi divertivo così, e con me tutto il pubblico.
Fondamentale l’apporto, per la piena riuscita dello spettacolo, dell’impianto scenografico del talentuoso Danilo Coppola, che anche con poco riesce a fare miracoli, sostenuto da gusto e sensibilità teatrale, dei fantasiosi e curati costumi di Artemio Cabassi, delle luci di Michele Cremona e delle spiritose coreografie di Riccardo Buscarini, ben eseguite dall’Ensemble Capital Ballet.
Giovanni Di Stefano, sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana, ha concertato con tempi sempre adeguati e divertito impeto, in perfetta comunione tra buca e palcoscenico. Le regole del Belcanto si sposavano alla verve della scrittura donizettiana, senza alcuna sbavatura. Se ci si divertiva molto in palcoscenico, questo si doveva anche al sorridente (ma rigoroso) sostegno della bacchetta.
E la compagnia di canto, si dirà? Una delizia quando non una meraviglia. Non si può non cominciare dalla travolgente Mamma Agata di Marco Filippo Romano, che in questo spettacolo, oltre a velleità canore sfoggia pure ambizioni tersicoree, con risultati che definire spassosi sarebbe poco. Romano è un “signor” cantante, non fa trucchi e non bara, canta, eccome se canta, e bene. Ma l’interprete, l’attore, credetemi, è da applauso a scena aperta (che ha ottenuto infatti più volte); mattatore assoluto, domina il palcoscenico con la classe dei grandi. E, data l’ancor giovane età, preciserei con la classe che è “già” dei grandi.
Lodi, lodi, lodi anche per lo strepitoso tenore “tedesco” Guglielmo impersonato da Matteo Desole (recentemente molto apprezzato anche ne La Bohème a Como). A parte la bravura scenica in una caratterizzazione irresistibile – tiene la pronuncia e l’accento teutonici perfetti, per tutta l’opera, anche cantando – nella prima parte deve fingere si essere stonato, calante, senza voce (potete immaginare come non sia è semplice per chi è in realtà bravissimo?). Iva Zanicchi, guest star “a sorpresa” della produzione, in questo “helzapoppin” metateatrale, applauditissima e che nella sua splendente terza giovinezza ha pure intonato l’inizio di una sua celebre canzone “La mia sera”, versione italiana dello spiritual “Amazing Grace” targata Paolo Limiti, ricordandoci senza microfono cos’è una “voce” anche nel pop, l’ha omaggiato. Entrata in scena nel secondo atto proprio dopo la sua aria, “Ah! Tu mi vuoi? Che brami?” a voce scenicamente “ritrovata”, ha detto “Credete sia facile fingere di stonare e poi cantare come un dio?”: Matteo Desole infatti ne aveva appena offerta un’interpretazione da manuale; voce bellissima, timbrata, dai riflessi argentei, tecnicamente inattaccabile, acuti luminescenti, pianissimi, dinamiche sempre varie e controllate, nuances epressive a iosa. Questo tenore farà strada.
Ma un brava va anche a Giuliana Gianfaldoni, Primadonna Corilla, di accattivante vocalità nelle volute della coloratura, con l’aria interpolata dal Viaggio a Reims di Rossini, “Arpa gentil” miniata a dovere. E altrettanto brava Silvia Beltrami, Dorotea fluid-gender divertentissima scenicamente quanto vocalmente agguerrita.
E una citazione la meritano tutti, il tronfio e brillante Procolo di Nicolò Donini, l’elegante e musicale Biscroma di Andrea Vincenzo Bonsignore, il sussiegoso e inappuntabile Prospero di Stefano Marchisio, l’aguzza Luigia di Paola Leoci, il camaleontico Sovrintendente (quel Sovrintendente…) di Dario Giorgelè e l’Ispettore del Teatro di Juliusz Loranzi. Last but not least il contributo del coinvolto Coro del Teatro Municipale preparato da Corrado Casati.
Applausi scroscianti durante la recita e al termine per tutti. Sì, ci si è allietati e abbiamo riso assaissimo. E’ un peccato?
Nicola Salmoiraghi