PISA – TEATRO VERDI – CON “IL CONVITATO DI PIETRA” DI GIOVANNI PACINI SI CONCLUDE IL FESTIVAL “Una gigantesca follia – Don Giovanni Festival” 21 Novembre 2015
Giovanni Pacini
IL CONVITATO DI PIETRA
farsa in musica, libretto di Gaetano Barbieri
edizione critica a cura di Jeremy Commons e Daniele Ferrari
Direttore: Daniele Ferrari
Regia: Lorenzo Maria Mucci
Personaggi e Interpreti:
Don Giovanni: Massimiliano Silvestri
Donn’Anna: Sandra Buongrazio
Zerlina: Giulia De Blasis
Masetto: Daniele Cusari
Duca Ottavio: Roberto Cresca
Il Commendatore: Sinan Yan
Ficcanaso: Carlo Torriani
Coordinamento scenografico: Giacomo Callari e Enrico Spizzichino
Disegno luci: Michele Della Mea
Orchestra Arché
Coro Laboratorio Lirico San Nicola
Maestro del Coro: Stefano Barandoni
Coproduzione Teatro di Pisa e Teatro del Giglio di Lucca
Servizio di Stefano Mecenate
Considerando che si trattava di un’opera da rappresentare “in famiglia” (…dopo il conseguito successo “Venezia, teatro La Fenice 1832” mi recai di bel nuovo in famiglia ove durante la mia dimora mi occupai di una piccola operetta intitolata IL CONVITATO DI PIETRA che venne eseguita da mia sorella Claudia, da mia cognata, da mio fratello Francesco, da mio padre e dal giovane Bilet di Viareggio nel teatrino particolare di casa Belluomini... – Giovanni Pacini), questo CONVITATO DI PIETRA che conclude il lungo e fortunato percorso dedicato a Don Giovanni ci è sembrata una gradita sorpresa.
Un piccolo asso nella manica del direttore artistico del teatro pisano, Marcello Lippi, per ricordare degnamente un illustre quanto poco rappresentato compositore come Giovanni Pacini, catanese di nascita morto nel 1867 a Pescia. Una lunga carriera che, dal 1813, giunge fino al 1867, passando tra i tanti capolavori dei “grandi” del melodramma, da Bellini a Doninzetti a Rossini a Verdi. Una carriera che, se lo pone insieme a Donizetti tra i più prolifici operisti dell’Ottocento con oltre 90 titoli all’attivo, non lo vede tra i compositori che superano la barriera del suo tempo dove pure ebbe notevoli successi.
Per tornare a questa “operetta”, come la chiama lui stesso, pur considerando la storia pressoché identica a quella mozartiana, dobbiamo rifuggire qualsiasi paragone se vogliamo apprezzarne le caratteristiche evitando giudizi tranchant come quello espresso su di lui da Elvio Giudici: “ una melodia facile facile, sempre in bilico sui crinali strettissimi posti a separare involo trascinante dal tricchetracche; tramite un ampio declamato tragico di retorica la più vieta e bombastica; e tramite, infine, un’architettura complessiva che in apparenza persegue la grande forma ma che in realtà allinea una dopo l’altra alcune “situazioni” archetipe, nelle quali la drammaturgia si frantuma in una serie di microdrammi ciascuno in sé concluso. Un Vanzina della musica, insomma, il Pacini Giovanni detto maestro delle cabalette…”
L’allestimento che il teatro Verdi di Pisa ci propone (tra l’altro è la prima volta che quest’opera viene rappresentata a Pisa) è quello dell’edizione critica a cura di Jeremy Commons e Daniele Ferrari e vede per il coordinamento scenografico Giacomo Callari ed Enrico Spizzichino, mentre la regia è affidata a Lorenzo Maria Mucci.
Una scenografia decisamente minimalista che vorrebbe ammiccare con unici elementi simbolo (il tavolo, il letto, il separé…) alle ambientazioni dell’opera ma che, a mio avviso, non aiuta a seguirne lo svolgimento né si pone con una propria personalità al di sopra dell’opera come “luogo altro”.
Il regista, nella doppia veste di cantanti e attori dei protagonisti, si impegna molto nel cercare di dare omogeneità alle parti cantate e a quelle recitate, molto estese, ma non sempre riesce e quest’ultima parte risulta più debole di quella cantata. Del resto l’opera è già di per sé spigolosa e disarmonica e non facile il compito di ricondurla ad una piacevole fluidità di eventi che conducono lo spettatore lungo la narrazione.
Interessanti ma non esaltanti le proiezioni che, attraverso i dettagli delle immagini di scena cercano di creare un clima di suggestioni che facciano da riflesso a ciò che si svolge in palcoscenico.
Buoni i costumi, sobri ma pertinenti e originale l’idea del regista di comparire in scena, anch’egli in costume, a mo’ del compositore o di un servo di scena.
Affidare a colui che ha restituito alla vita l’opera la bacchetta della direzione d’orchestra, ovvero al M° Daniele Ferrari è stato decisamente un valore aggiunto: l’orchestra Arché, pur ridotta nei ranghi (è stata riprodotta con correttezza filologica la compagine originale) sotto la guida di Ferrari ha saputo restituire al meglio il valore della partitura, come pure i cantanti hanno mostrato di aver avuto una guida preziosa per entrare nel cuore di questa opera.
E parlando di cantanti, non possiamo esimerci da formulare un grande plauso a Carlo Torriani che ha magistralmente interpretato il non facile ruolo di Ficcanaso, i servo di Don Giovanni. Un grande basso-baritono buffo dalla voce sicura e convincente ma anche un grande attore che ha conquistato il pubblico con la sua ironia e il suo garbo.
Ugualmente vincente la performance di Giulia De Blasis, Zerlina, sempre disinvolta e spontanea sul palcoscenico, dalla voce cristallina con un’ottima intonazione sopratutto nei registri acuti. Come per Ficcanaso, Zerlina ha nella partitura di Pacini un ruolo centrale assorbendo anche quello di Donna Elvira e facendosi carico anche del “catalogo”.
Bella, potente, rotonda la voce del basso cinese Sinan Yan, il Commendatore, quanto eccellente la presenza scenica che ha colpito il pubblico.
Complessivamente buona, se pure con qualche imprecisione, la prova del giovanissimo tenore Roberto Cresca, Don Ottavio, come quella della mezzosoprano Sandra Buongrazio, Donna Anna, forse un po’ aspra in certi passaggi ma piacevole e convincente.
Buone le qualità vocali del basso Daniele Cusari, Masetto, anche se non sempre espresse al meglio, mentre alcune riserve vanno alla interpretazione del tenore Massimiliano Silvestri che interpreta il personaggio di Don Giovanni. Particolarità di quest’opera di Pacini è proprio che la figura di Don Giovanni, normalmente interpretata dal baritono, è invece cantata dal tenore. Gradevole nei cantabili in zona centrale, si trova in difficoltà quando c’è da salire in una discontinuità che talvolta indispone vista l’importanza del ruolo.
E alle porte, anzi già entrato con l’anteprima Don Giovanni e Faust, il nuovo festival “Angeli e Demoni. Il Mito di Faust” che innerverà tutto il 2016 con opere, spettacoli, film, dialoghi, conversazioni, lezioni aperte, performances teatrali grazie all’impegno congiunto di Fondazione Teatro di Pisa, Università di Pisa, Scuola Normale Superiore, Palazzo Blu, Pisa Book Festival, Cineclub Arsenale, Teatro del Giglio di Lucca, Orchestra Arché, Orchestra dell’Università di Pisa, Coro dell’Università di Pisa, Coro Polifonico di San Nicola, Servizio Diocesano Cultura e Università.
Stefano Mecenate