ROMA: Ernani – Giuseppe Verdi, 11 giugno 2022 a cura di Jorge Binaghi
Ernani
Direttore Marco Armiliato
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Personaggi e Interpreti:
Ernani Francesco Meli
Don Carlo Ludovic Tézier
Don Ruy de Silva Evgeny Stavinsky
Elvira Angela Meade
Giovanna Marianna Mappa*
Don Riccardo Rodrigo Ortiz*
Jago Alessandro Della Morte*
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Luci Vinicio Cheli
riprese da Valerio Alfieri
Movimenti mimici Michele Cosentino
*dal Progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma
in coproduzione con Sydney Opera House
Teatro dell’Opera, 11 giugno 2022
“Ogni cor serba un mistero!”. Si tratta di quelle frasi semplici, facili da cantare ma non da “dire”, che fanno dimenticare alcune debolezze del libretto dell’ancora inesperto Piave e alcuni momenti scontati di “puro mestiere” del giovane Verdi nel suo Ernani: proprio quelle che ti fanno sobbalzare sulla poltrona e riconoscere quel grande che Verdi era già. Forse anche a questo si deve il giudizio di un wagneriano doc come Bernard Shaw, che riconosceva in questo titolo “il prodotto ultraclassico del romanticismo, la grandiosa opera italiana…”.
E sì, forse ci sono dei momenti meno riusciti, situazioni e figure convenzionali, ma Ernani risulta sempre gagliardo, battagliero, e, come questa volta, esce a testa alta e conquista il più che numeroso pubblico che seguiva l’ultima delle recite programmate al Teatro Costanzi. La “sola” richiesta è di trovare dei cantanti adeguati (non vale solo per Il trovatore il celebre detto di Toscanini).
L’allestimento era quello monumentale di Hugo de Ana, con i pregi e i limiti dell’artista. Belle luci, belle scene, bei costumi, qualche licenza con il libretto che non nuoce (non sapevo che i banditi vestissero come dei cortigiani né che ci fossero delle donne con loro) e poca direzione dei personaggi. Non disturba, non offende, non fa riflettere. A ciascuno di scegliere se gli piace di più o di meno. Il pubblico, tanto vituperato da menti preclare, era contento. Era pure contento in generale di tutto, con qualche distinguo.
È stato chiaro che se ci doveva essere un “vincitore” tra gli artisti (una sciocchezza, ma di sciocchezze è fatto il mondo umano) la corona d’alloro andava alle mani (o le tempie) di Ludovic Tézier, un Don Carlo magistrale da tutti i punti di vista, per bellezza di suono, omogeneità tra i registri, estensione, nobiltà di fraseggio e di aspetto, capacità di ammorbidire il suono (ed ecco un superbo “Da quel dì che t’ho veduta” e un meraviglioso “Vieni meco” con nel bel mezzo un terzettino e concertato pieni di sfumature e un “Lo vedremo, o veglio audace” energico, altero e quasi sprezzante). Ma ancora di più ha trionfato nel “suo” atto, il terzo con una scena ed aria da favola che scatenava non solo un’ovazione interminabile ma delle richieste di “bis” (non concesso) e con la voce cantante di quel grande concertato finale che è “O sommo Carlo”. Avevo visto il suo debutto nella parte a Montecarlo nel 2014 (se non erro) e la differenza è notevole: non pensavo che si potesse far meglio di allora e invece sì.
Quasi al suo livello era l’Elvira “fiero sangue di Aragona” di Angela Meade, pronta a sciorinare acuti fulminei salvo assottigliarli in pianissimi impalpabili, con un bel centro e grave e padronissima di agilità e trilli. L’artista non ha la grande stoffa della cantante ma chi se n’è accorto?
Francesco Meli è di certo il tenore che in questi ultimi tempi ha più cantato il protagonista. Il timbro e lo smalto sono sempre bellissimi ma qua e là si avvertono dei limiti (uno purtroppo molto evidente nella ripresa della cabaletta “O tu che l’alma adora”), un’emissione troppo aperta, e i bei piani in qualche occasione erano sull’orlo del falsetto.
Bene il Silva del (forse troppo) giovane Evgeny Stavinsky (filologicamente privato della “sua” cabaletta), con un’emissione un po’ “slava” ma bel colore e accenti interessanti (“la vendetta più tremenda”, e finalmente nel terzetto finale ho potuto ascoltare “della vendetta il demone qui venga ad esultar” che poi sarebbe la frase che conclude e dà un senso a questo dramma iperiberico dell’onore). Dei tre comprimari, Marianna Mappa (Giovanna), Alessandro Della Morte (Jago), e Rodrigo Ortiz (Don Riccardo), tutt’e tre membri del progetto “Fabbrica”, il programma per giovani artisti dell’Opera di Roma, il più interessante sembrava l’ultimo.
Il Coro istruito da Roberto Gabbiani era molto affiatato con delle piccole incertezze in qualche attacco nell’atto terzo, forse anche dovuto al fatto che due dei suoi integranti arrivavano alla pensione e è stato loro concesso un saluto particolare al pubblico, che applaudiva con entusiasmo.
L’Orchestra del Costanzi è una brava compagine che seguiva bene la bacchetta di Marco Armiliato, che a me particolarmente non ha entusiasmato troppo. Troppo marziale, pochi momenti di lirismo acceso e un volume che, se non inficiava le prove della Meade e di Tézier, metteva un po’ a disagio gli altri.
Del successo e la presenza numerosa del pubblico si è già detto.
Jorge Binaghi