Santa Giustina – San Vito al Tagliamento: CAVALLERIA RUSTICANA, 28 – 29 Luglio 2017
Direttore d’Orchestra: Dejan Savic (28 luglio) Eddi De Nadai (29 Luglio)
Regia: Alberto Paloscia assistente alla regia: Teresa Gargano
Personaggi e Interpreti:
- Santuzza: Sofio Janelidze
- Turiddu: Hector Lopez
- Mamma Lucia: Giulia Tenuta
- Alfio: Simon Svitok
- Lola: Chiara Manese
Orchestra Città di Ferrara
Coro Lirico del Triveneto Schola Cantorum di S.Giustina
Coro Polifonico S.Antonio Abate
maestro del coro: Monica Malachin
Luci: Teresa Gargano
Scene e costumi: Società Culturale “Francesco Tamagno”
C’è davvero tanto in Cavalleria Rusticana, già a partire dalla novella di Giovanni Verga e dai suoi vari carteggi. Ed è da qui che comincia a trarre spunto il lavoro di regia del Maestro Alberto Paloscia, un veterano del verismo e in particolare di Mascagni. La scena si apre con le tre donne protagoniste della vicenda: Santuzza, Mamma Lucia e Lola sulle note della siciliana, ed è già forte l’emozione. Santuzza è frastornata, si domanda dove sia Turiddu, lo cerca, è gelosa e sa di essere stata tradita, porta in grembo il figlio della vergogna. Mamma Lucia, così come Lola sono presenze oniriche. La prima è austera, spettrale, colei che Santuzza dovrà affrontare a breve, Lola si compiace soddisfatta della notte appena trascorsa col suo amante del quale si ode la voce fuori scena: “Lola val bene le fiamme dell’inferno”, sembrano voler dire le sue parole.
Mamma Lucia è cosciente dell’inadeguatezza delle azioni del figlio, lei sa, come ogni madre sa tutto del proprio figlio. Siamo in Sicilia e vige la legge dell’onore, una legge che se applicata porta sempre al lutto. Compar Alfio ha sposato Lola alla quale il figlio ha promesso amore eterno prima di andar soldato, di certo Turiddu non l’ha dimenticata. Ora mentre il carrettiere se ne va in giro per il mondo a lavorare di certo il figlio ne starà approfittando, magari con l’alibi di andare a provvedere del vino per la locanda.
Santuzza è stata solo un ripiego per Turiddu, il suo cuore batte per Lola. Non le resta che rivolgersi a Mamma Lucia, nella speranza che possa fare qualcosa. In quel mentre giunge Compar Alfio di ritorno dal lavoro. Le voci di paese corrono più veloci del vento, ed egli ha già un qualche sentore dell’accaduto. Alfio domanda a Mamma Lucia del vino, proprio quel vino del quale Turiddu avrebbe dovuto far scorta. Ma il vino non c’è. Dove ha passato quindi la notte? Tutti sanno, ma nessuno parla. Lo sa Santuzza, che per questo si rivolge disperata alla madre, lo sospetta Compar Alfio, e lo hanno confermato le voci del coro quando alla sua entrata in paese sembravano schernirlo sulle parole mi aspetta a casa Lola che è tutta fedeltà, e lo ha appreso di per certo anche Mamma Lucia che dissimula il proprio terrore per le conseguenze. Alfio esce di scena, il sospetto comincia ad assumere le forme della certezza.
È il giorno di Pasqua, si celebra la Resurrezione, ma anche il sacrificio del Cristo Redentore. L’idea registica, probabilmente la più vicina a quella dell’autore, è che Turiddu rappresenti in pieno l’agnello sacrificale. Lo spensierato, l’incosciente, laverà l’onta col suo stesso sangue. S’inneggia al Signore, Santa è preda dell’astrazione mistica, incarna forse la biblica Maddalena? Ora le comari di paese la venerano, la vogliono toccare come si trattasse di una sacra reliquia. Potrebbe essere questo il momento in cui Santa accarezza l’idea del sacrificio di Turiddu.
Ma nulla deve essere lasciato intentato. La Mamma deve sapere. I due si sono amati ed ora lei porta in grembo il frutto della vergogna. Tutti sanno e presto nulla potrà essere più nascosto. Santuzza è la rejetta del paese, tutti sanno. Si tocca la pancia, cosa le passerà per la testa? Quali saranno i sentimenti per il figlio in arrivo? L’autorità della donna sta per cedere il passo alla compassione, ma ecco entrare in scena Turiddu. Santuzza è struggente, implora l’uomo di non abbandonarla, ma egli è accecato da Lola e sordo alle parole di Santa che vengono prese quale pretesto per allontanarsene. Lola entrerà in scena proprio nell’attimo più delicato, quello in cui forse Turiddu avrebbe potuto cedere alle preghiere di Santa, per schernirla ulteriormente, per ribadire la sua proprietà sul cuore dell’uomo. Ecco che il mito di Medea fa capolino. A Santa non resta che divenire delatrice dei fatti raccontando tutto al Alfio, ben conscia del fatto che la vicenda sfocerà nel sangue. Lo esige il codice d’onore, lo pretendono il paese, gli usi e costumi.
Turiddu è alticcio quando incontra Compar Alfio, riconosce il proprio torto ma sembra pensare ancora a Lola come a qualcosa di suo, alla donna cui promise amore eterno, e che in fondo lo stesso Alfio le ha sottratto. I conti vanno regolati, lo pretende il carrettiere, e Turiddu non intende sottrarsi, anzi è lui stesso a lanciare la sfida con un gesto inequivocabile.
Alfio lo attende dietro all’orto, fuori della piazza del paese. L’addio alla madre è un momento toccante, quel vino è generoso e certo troppi bicchieri ne ho tracannato. Fuori all’aperto lo attende morte certa, egli lo sa e non gli resta altro da fare che consegnare il destino del proprio figlio in arrivo e quello di Santuzza nelle mani della madre. Il ragazzo, lo spensierato, l’incosciente, si è fatto uomo e va incontro all’ineluttabile destino.
Mamma Lucia è in preda alla disperazione, gli eventi precipitano. Di li a poco un urlo annuncerà la morte del figlio, Lola lo confermerà attutendo la caduta della povera donna che perde i sensi. È la pietà, quella del Michelangelo. Santuzza prende coscienza di quanto ha fatto, copre con un velo la madre, accusa il colpo e porta le mani sul proprio ventre come per proteggere il bambino.
Hanno ammazzato compare Turiddu, lo hanno ammazzato. Chi…? tutti sanno, ma nessuno parla. È il non detto l’imperativo dell’intera vicenda, perché quando si dice, allora qualcuno muore.
Mi si perdoni questo lungo preambolo, ma c’è una ragione per tutto. Lo studio della drammaturgia è essenziale per la buona riuscita di una rappresentazione che necessariamente passa per una buona caratterizzazione del personaggio. Qui la regia ha indicato la strada agli interpreti dando precise linee guida, pur lasciando ad ognuno il tempo di metabolizzare il personaggio e la libertà di esprimersi con i propri mezzi. È un lavoro che richiede competenza, sensibilità e capacità comunicative. Ne sono risultati una Santuzza assolutamente credibile nelle sue passioni così come nel turbinio dei continui cambiamenti di stato d’animo. Turiddu è lo scapestrato che prende coscienza di sé soltanto quando vede la sua vita volgere al termine, e forse va incontro alla morte come ad un fatto liberatorio -vado fuori all’aperto- dall’amore impossibile per Lola, da quello indesiderato di Santa, da quello dell’autorità materna e dalla colpa nei confronti di Alfio. Lola è l’amante incauta, sposa per convenienza. Alfio un “elegante” mafioso, mai spocchioso e troppo pieno di sé, ma sicuro dei suoi mezzi. Mamma Lucia è la mamma, quella che tutto sempre sa e sembra ricordarci la colpa di quando ognuno di noi a volte la abbiamo delusa, ma non ha mai smesso di amarci. Per concludere un ottimo lavoro di regia, raffinato, a cavallo tra il dramma a sfondo religioso e la tragedia greca, mai eccessivo, senza trascuratezze e che denota passione, sensibilità e una profonda conoscenza di questo capolavoro immenso.
Meno bene le cose sotto il profilo organizzativo, almeno per la prima andata in scena a Santa Giustina, laddove sono emerse alcune carenze per quel che concerne l’assenza delle indispensabili maestranze e le necessarie attrezzature. Un direttore di palco che detti gli ingressi non è cosa che si possa improvvisare all’ultimo minuto. Il coro, nella sua completezza, non può presentarsi senza prove due ore prima della recita, anche fosse quello del Teatro alla Scala. L’Orchestra non può provare con un direttore ed essere diretta da un altro con un ultima e sommaria prova generale pochi istanti prima di andare in scena (esponendo orchestrali e strumenti ad un sole cocente) con i solisti costretti ad accennare per risparmiare le fatiche. Le luci per una rappresentazione teatrale non dovrebbero somigliare ad un impianto da cantiere edile, e per restare nell’ambito dell’attrezzatura tecnica, l’assenza dei monitor per le parti fuori scena non può che creare problemi. Produrre un’opera ha dei costi spesso insostenibili e laddove si è costretti a contenerli sono proprio le capacità organizzative e l’inventiva a dover meglio provvedere.
Dura prova, quindi, per tutte le parti in causa, a partire dai solisti che hanno comunque saputo dare il meglio di sé in modo particolare nella seconda recita, decisamente meglio organizzata e strutturata sotto ogni profilo, se pur senza riposo e ulteriormente aggravata dal viaggio che separa le due location. Sotto la direzione del Maestro Eddi De Nadai nella recita di San Vito, si sono potuti meglio apprezzare il coro, un ensemble tra il Coro Lirico del Triveneto Schola Cantorum di S.Giustina e il Coro Polifonico S.Antonio Abate diretti dal M° Monica Malachin, decisamente più compatto e a fuoco l’Orchestra della Città di Ferrara che ha tenuto tempi decisamente più adeguati. L’amplificazione, dettata dalle non indifferenti dimensioni della piazza, ha certo inficiato la qualità del suono, ma non la godibilità dell’evento. Le luci, fornite da CLAPS Pordenone, sono qui curate da Teresa Gargano, assistente di regia, questa volta messa nelle condizioni di poter operare un buon risultato.
Bene, dunque i solisti tutti, a partire dalla protagonista Sofio Janelidze mezzosoprano in Santuzza, per passare dal tenore Hector Lopez nei panni di Turriddu (peraltro impegnato negli stessi giorni a Torre del Lago in Tosca), dalla Mamma Lucia di Giulia Tenuta – mezzo, per arrivare a Simon Svitok – baritono in Compar Alfio e non ultima il mezzo Chiara Manese interprete di Lola.
Roberto Cucchi